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Il gesto e la condotta Oltre il cerchio.

Nel documento Guarda Il cerchio dell'umano (pagine 110-114)

La pratica del cerchio

3.2. Il gesto e la condotta Oltre il cerchio.

Una volta retroflesso lo sguardo verso lo sfondo dell’agire umano, colto, come abbiamo visto, nei termini di un’esperienza in prima istanza retorico- simbolica, non resta che affrontare l’ultimo passaggio che separa il soggetto in cammino dalla finale affermazione del proprio sé e della propria sfera morale (nel senso etico-pratico che si è definito in precedenza). Ora non resta quindi che “chiudere il cerchio”, ovvero trovare il giusto canale di accesso al mondo comune una volta conclusosi il percorso circolare che ha accompagnato il soggetto nel suo viaggio di riconoscimento e affermazione. Il terminus ad

quem sarà allora non solo l’avvistamento dell’inizio (come in un percorso

circolare), ma anche l’attraversamento della soglia dell’emblema che separa l’uomo dalla possibilità della sua rinascita come essere morale. Occorre giungere ad una nuova “percezione morale” a partire dalla verità del gesto come espressione del carattere, individuando, come fa Emerson, nel corpo il luogo elettivo per la trasformazione finale del pensiero in azione. Il pensiero è, infatti, già nel corpo. Il linguaggio delle maniere e dei gesti che caratterizza l’apertura privilegiata del canale di comunicazione tra il soggetto e il mondo, contribuisce direttamente alla realizzazione del pensiero del proprio essere, pensiero che «sta nelle mani e nei piedi», pensiero che è già azione, già calato nella pratica quotidiana della sua effettuazione. Chiarisce meglio lo stesso Emerson nel saggio Behaviour:

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L’anima da cui è animata la Natura si rende pubblica non meno significativamente nella figura, nelle movenze e nei gesti dei corpi animati di quanto non avvenga nell’ultimo suo veicolo, il linguaggio articolato. Questo è il linguaggio silenzioso e sottile delle Maniere; non cosa, ma come. La vita esprime. Una statua non ha lingua e non ne richiede alcuna. Dei buoni quadri plastici non han bisogno di declamazioni. La natura dice ogni segreto una volta sola. Sì, ma nell’uomo ella lo dice tutto il tempo, mediante la forma, l’atteggiamento, i gesti, il portamento, il volto e le parti del volto, e mediante tutta l’azione della macchina. Al contegno visibile, o azione dell’individuo, come risulta dal suo organismo e dalla sua volontà combinate, diamo il nome di maniere. Cosa sono queste se non pensiero che entra nelle mani e nei piedi, che controlla i moti del corpo, l’eloquio e il comportamento?229

Emerson delinea così una suggestiva filosofia del gesto in grado di spiegare il «linguaggio sottile e silenzioso delle maniere», dove si situa lo spazio per un’etica pratica che faccia i conti con la dimensione corporeo- espressiva dell’individuo. Il pensiero delle maniere è già il pensiero che si è fatto azione, potenza che si tramuta in atto attraverso il gesto di affermazione della propria volontà tramite il linguaggio corporeo che in questo senso diviene anche metaforico e poietico. Le maniere stesse, afferma ancora Emerson, sono “l’inizio della civiltà”. Così com’era stato per Vico, anche qui l’espressione gestuale diviene non solo il centro della genesi della coscienza storica dell’uomo, ma anche costituisce l’emergenza di ogni fattore umano in senso generale. L’espressività del corpo umano è in grado di «rendere pubblico il suo significato», in quanto mostra, porta fuori (proprio come la metafora) il senso stesso dello stare al mondo. Emerson si rende conto di come la dimensione pubblica della conoscenza (conquistata, ricordiamolo, a partire dall’isolamento iniziale al di fuori della società), si conquisti solo ed esclusivamente tramite l’esposizione del gesto della propria condotta, cioè attraverso i mille modi con cui il corpo comunica i suoi stati espressivi allo

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sguardo dell’Altro. Il gesto è pertanto l’emblema della coincidenza fra conoscenza e azione, fra teoria e prassi, tra l’idea e il suo fatto; in breve, esso è

pragma. Il corpo stesso assume lo status di strumento comunicativo e

conoscitivo. Di seguito l’esempio degli occhi e dello sguardo come veicolo di una «misteriosa comunicazione»:

L’occhio obbedisce esattamente all’azione della mente. Quando un pensiero ci colpisce, l’occhio si fissa e rimane così a guardare a distanza; se pronunciamo i nomi di persone o paesi, come la Francia, la Germania, la Spagna, la Turchia, sbattiamo le palpebre a ogni nome nuovo. Gli occhi, nell’acquisizione di ogni fine conoscenza ricercata dalla mente, entrano sempre in gara. […] Gli occhi sono coraggiosi come leoni, vagano, corrono, saltano, qui e là, lontano e vicino.

Parlano ogni lingua (cors. mio). […] Che inondazione di vita e pensiero è

scaricata da un’anima nell’altra, mediante quelli! L’occhiata è magia naturale. La misteriosa comunicazione stabilita da una part all’altra di una casa fra due completi estranei, muove ogni slancio della meraviglia. La comunicazione mediante l’occhiata per lo più non è soggetta al controllo della volontà. È il simbolo corporeo dell’identità della natura.230

L’inizio della civiltà, cioè del Pubblico, del Politico, dell’Etico, è posto a partire dal primo gesto mostratosi allo sguardo dell’Altro, a significare il ruolo del linguaggio del corpo come “veicolo di potenza”, cioè come via liberatrice del fato attraverso la volontà, secondo lo schema polare della dialettica fato- potenza. «Le maniere sono potenza», dichiara Emerson e il pensiero del momento presente si attua in esse come gesto espressivo della condotta umana.

Come si vede gesto e condotta sono infine riuniti in unico momento simbolico, vale a dire quello della pratica del cerchio intesa come interpretazione morale del proprio stare al mondo tramite l’esposizione pubblica dell’elemento corporale. Tutto ciò che riguarda le maniere, il

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comportamento, i gesti, il movimento, confluisce nel primato del linguaggio espressivo nella comunicazione del senso etico dell’esistenza che non ha quindi ragione di esistere se non è vissuto, realizzato, praticato. È qui che etica e pragmatica s’incontrano, a partire dalla dimensione simbolica dell’esistenza passando attraverso il gesto come espressione del carattere e metafora dell’azione, del fare umano. Non può darsi etica senza la pratica del suo significato, senza la corsa intorno al circolo dell’esistenza infine chiuso, ricominciato ed attraversato. Passata la soglia dell’ultimo cerchio, tocca al soggetto ricominciare il cammino verso la penultima metamorfosi del suo sé, tramite nuove maniere, nuovi comportamenti e nuovi sguardi. Il gesto etico più autentico consiste nel trapassare sé stessi, nel «tracciare un nuovo circolo»231.

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Bibliografia

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