5. Il ruolo del settore forestale
5.5. I gestori delle aree forestali nella riduzione delle emissioni L’insieme delle moderne tecniche selvicolturali normate e pianificate che “l’imprenditore
forestale” mette in atto, consentono oggi di ottenere dal bosco grandi servigi collettivi oltre ai
benefici non solo economici per proprietari e/o gestori. Quest’ultimi, attraverso la gestione
selvicolturale attiva, garantiscono per la società e il territorio nazionale, un importante risorsa nella salvaguardia ambientale e paesaggistica, nella tutela dell’assetto del territorio e delle risorse idriche e non ultimo nel contenimento dei cambiamenti climatici e degli impatti ad esso correlati.
Queste esternalità positive, legate ai servizi ecosistemici e fornite nella maggior parte dei casi da una utilizzazione sostenibile a fini produttivi del bosco, oggi sono sempre più riconosciuti ma non remunerati, non potendo cosi da un lato compensare la scarsa realtà produttiva del settore nazionale, e dall’altro garantire un’efficiente gestione del territorio con indubbi benefici per la società.
Al fine di migliorare la capacità produttiva di assortimenti legnosi di qualità coniugando le necessità ambientali ed ecologiche del nostro Paese, sarebbe opportuno incentivare nuovi sistemi selvicolturali che richiamino i principi della “selvicoltura ad albero”. Tale metodica (sviluppata in Germania e Francia negli ultimi 30‐40 anni) nasce dalla necessità di conciliare le esigenze dei proprietari e gestori e le sensibilità ambientaliste, cercando di aumentare il reddito ottenibile dai boschi attraverso:
l’aumento del valore unitario dei prodotti legnosi ottenibili; la riduzione dei costi di gestione.
Per quanto riguarda il primo aspetto è possibile aumentare il valore unitario ottenendo legname di grosse dimensioni e con buone caratteristiche tecnologiche, cosi da facilitare una migliore collocazione del prodotto sul mercato a prezzi più elevati. Per quanto riguarda invece i costi di gestione è necessario concentrare tutte le operazioni che vanno dall’allestimento all’esbosco fino alla lavorazione finale in un raggio chilometrico il più ridotto possibile, incrementando l’utilizzo di tecnologie innovative e a basso impatto ambientale (es. gru a cavo), permettendo così ai gestori, di ridurre i costi e aumentare i profitti, senza tralasciare gli indubbi benefici legati alla riduzione dei mezzi ad alto potenziale di emissione.
Nello specifico le strategie perseguibili dai gestori delle aree forestali per la riduzione delle emissioni di CO2 possono essere schematicamente inquadrate in funzione delle seguenti finalità (Corona e Barbati, 2010):
preservazione da fattori di disturbo e conservazione dei boschi esistenti; tale strategia è applicabile nei contesti operativi caratterizzati da boschi con organizzazione e struttura a elevato grado di complessità ed efficienza bioecologica. Questi tipi di sistemi forestali vengono lasciati alla libera evoluzione, pertanto la gestione si concretizza in un attento monitoraggio dei processi di autorganizzazione che si instaurano naturalmente e che sono alla base della capacità di fissazione della CO2; rinaturalizzazione boschiva: boschi con organizzazione e struttura a diverso grado di semplificazione, in cui gli interventi selvicoltuali sono orientati a favorire il pieno ripristino dei processi naturali e dell’integrità funzionale, con particolare attenzione alee aree sottoposte in passato a rimboschimenti monospecifici con specie alloctone o fuori areale.
rimozione dei fattori di degrado negli ecosistemi a resilienza nulla o scarsa; attraverso l’utilizzo di tecniche selvicolturali utili al miglioramento della densità, biodiversità, struttura, funzionalità ecologica;
uso produttivo: realtà non ricadenti nelle prime tre tipologie, in buon equilibrio bioecologico; il gestore si pone al servizio del sistema e ne trae benefici economici diretti, contenendo i prelievi legnosi entro i limiti del tasso naturale di accrescimento dei soprassuoli forestali per mantenere positivo il bilancio di CO2 dell’ecosistema e garantire i servigi eco sistemici forniti dal sistema bosco;
ampliamento delle superfici forestali attraverso:
i. la rinaturalizzazione di terreni privi di copertura forestale, aree degradate di montagna e costiere tramite rimboschimento;
ii. la realizzazione di piantagioni da legno (terreni di buona fertilità e privi di copertura forestale).
iii. la rinaturalizzazione e gestione delle aree ad elevata vulnerabilità ambientale, con particolare attenzione al ruolo di contenimento che i boschi e la gestione selvicolturale possono fornire nei confronti dei processi, che già si registra localmente in alcune aree del paese, di desertificazione, erosione e degrado dei suoli, di scarsità idrica e intrusione di cunei salini.
Solamente attraverso forme di incentivazione alla gestione attiva del patrimonio forestale si può garantire, nel medio lungo periodo, una salvaguardia del territorio e un efficace azione di adattamento ai cambiamenti climatici in atto. La buona parte degli studi forestali in Italia condotti sino a oggi, hanno interessato temi selvicolturali relativi alle modalità e tecniche colturali secondo gli schemi e obiettivi “classici” come protezione idrogeologica, produttività, conversioni e trattamenti selvicolturali, con un maggior interesse, in anni relativamente recenti, ai dinamismi forestali e alle forme di pianificazione che contemplano più o meno la conservazione o il miglioramento della biodiversità e un miglior equilibrio dell’ecosistema forestale o almeno delle popolazioni di specie forestali.
Spesso mancano riferimenti organici alle varie componenti della foresta che, come noto, nella realtà operano all’unisono. Ne consegue un quadro di difficile interpretazione tanto più si desideri affrontarne anche i risvolti economici, ambientali, produttivistici, qualitativi, di conservazione e produzione di risorse idriche, di miglioramento della biodiversità, paesaggistici e turistico‐ricretativi, se non nel quadro ristretto di forme di approccio alla gestione forestale che tendono a ripetere se stesse, quindi con poco spazio per l’innovazione o l’esplorazione di sistemi e modalità che penetrino altri campi e/od amplino le potenzialità dell’esistente.
In tale direzione la Strategia Nazionale definita con il Programma Quadro per il settore forestale sottolinea la necessità di promuovere e incentivare forme di gestione attiva del patrimonio forestale, in una visione di lungo termine, adottando le tecniche selvicolturali più idonee alle esigenze di salvaguardia, conservazione e tutela del patrimonio forestale. Ciò deve avvenire non solo secondo le specifiche caratteristiche ecologiche delle diverse realtà forestali presenti nel territorio nazionale, ma anche nel rispetto delle necessità ed esigenze socioeconomiche locali e nel rispetto dei vincoli e delle norme vigenti (Romano, 2009). La Strategia Nazionale per la Conservazione della Biodiversità (Andreella et al., 2010) sottolinea invece la necessità di incentivare, in particolare per le aree naturali protette e i siti Natura 2000, un “approccio sistemico” alla gestione forestale, al fine di favorire l’aumento della
complessità strutturale e compositiva dei processi naturali di adattamento al cambiamento climatico (Barbati et al., 2010). Occorre quindi, stabilire sempre una solida correlazione tra gli strumenti di pianificazione forestale e la gestione attiva del territorio, anche al fine di permettere l’individuazione di aree di collegamento ecologico e di assicurare continuità spaziale tra le tessere naturali e seminaturali del mosaico territoriale su vaste aree.
Particolare attenzione merita l'imboschimento di terreni ad uso storicamente agricolo, con impianti arborei o arbustivi, temporanei o permanenti, dedicati a fini specifici, principalmente per la produzione di legna e legname, ma anche per fini ambientali e paesaggistici. Le politiche incentivanti gli impianti arborei su terreni agricoli sono sempre state realizzate con il fine di ridurre gli eccessi di produzione agricola o contenere problemi ecologici. Oggi, in Italia, vi è l'opportunità di rilanciare una efficiente politica di impianti arborei su aree ad uso agricolo dismesse o abbandonate. Ciò contribuirebbe non solo alla riduzione di CO2 atmosferica ma anche a poter usufruire nel medio‐lungo periodo di materiale da opera o per usi energetici utile alle industrie di trasformazione nazionali. La progettazione consente una grande adattabilità degli impianti alle esigenze del proprietario e della società. le tecniche di conduzione consentono di recuperare impianti che un tempo si sarebbero considerati falliti. La sperimentazione ha aperto nuovi orizzonti, sia per la produzione che per la riduzione degli impatti ambientali (Mori P., 2011).