la e la leggenda dell’anti-
semitismo spirituale,
Soveria Mannelli, Rubbettino, 2007, pp. 126.Nel suo principale scritto autobiografico (Il cammi-
no del cinabro, edito in prima edizione nel 1963 e
ripubblicato nel 1972) Julius Evola si era riferito ai suoi interventi del periodo 1936-1942 come a una contingente «parentesi razzista», prima e dopo la quale il suo interesse nei confronti della questio- ne razziale e della questione ebraica sarebbe stato esclusivamente di tipo filosofico, e in ogni caso,
anche durante la «parentesi», il suo approccio sa- rebbe stato mirato a denunziare l’unilateralità e la pericolosità dell’antisemitismo fanatico e visiona- rio. Con ciò confermando che – a suo parere – di razzismi e antisemitismi po[tev]ano esistere diver- se tipologie, una delle quali – la sua – in definitiva fondata e non esecrabile (p. 18).
A partire da questa lettura che Evola ha dato del suo antisemitismo, e dalla fortuna di cui questo personaggio ha goduto in determinati ambienti politici nel dopoguerra, si sono radicati equivoci sul suo pensiero che sono tuttora diffusi negli ambienti «evoliani» più ortodossi (per tutti valga G. De Turris, Elogio e difesa di Julius Evola.
Il Barone e i terroristi, Roma, Mediterranee, 1997
– ma l’A. fa più ampio riferimento a numerose ristampe evoliane e saggi recenti), e che è giun- to il tempo di dissipare definitivamente. Nel farlo, Scipione Rossi ha scritto un libretto agile, che si muove sul doppio binario della polemica politica più recente – riferita agli ambienti della destra, di cui l’A. illustra vizi e idiosincrasie in parte da riportarsi alla confusa stagione degli anni Settanta – e della ricostruzione del pensiero evoliano, con- siderato a partire dalla metà degli anni Trenta.
Rispetto a questo secondo tema, l’A. ar- gomenta efficacemente come il razzismo evolia- no sia una costruzione teorica originale che solo successivamente si intreccia con le esigenze del regime fascista. Rivolta contro il mondo moder-
no, del 1934, contiene in nuce tutti i temi della
produzione successiva di Evola. Lo stesso suo rap- porto col fascismo e col nazismo è strumentale, nel senso che il loro opporsi alla democrazia e al bolscevismo gli fa immaginare di potersene ser- vire per suscitare la rinascita dello spirito ario in Occidente. «A un biologismo appena dissimulato, si sommano in Evola tutti gli stereotipi popola- ri e politici dell’antisemitismo classico, insieme al complottismo che gli deriva da una precoce lettura di I Protocolli e dalla frequentazione di tutta la letteratura politica antisemita contem- poranea» (p. 30). Evola tuttavia non sposa la tesi dell’autenticità del documento, bensì quella della verosimiglianza, e non considera gli ebrei «come motore del sovvertimento morale e civile dell’Occidente, ma come strumenti oggettivi di forze oscure più grandi di loro» (p. 37). A parti- re dalla pubblicazione del Manifesto della Razza,
Evola cerca di accreditarsi pubblicamente come il più coerente teorico del razzismo, e il suo tenta- tivo è coronato anche da un certo successo, fino al momento in cui, nell’aprile del 1942, la sua collaborazione con «La Difesa della Razza» cessa, la sua Sintesi viene «investita da un’ondata di cri- tiche da parte dei razzisti “biologici” e “politici” […] e il suo progetto di una rivista in doppia edi- zione italo-tedesca, “Sangue e Spirito” (o “Spirito e Sangue”), [viene] archiviato» (p. 52). L’anno successivo Evola riappare in Germania, «infatuato di Himmler e delle SS», e lui e l’amico Giovanni Preziosi saranno insieme al quartier generale di Hitler all’arrivo di Mussolini dopo la prigionia del Gran Sasso.
Nel Julius Evola nel dopoguerra poi, dal processo ai Nar del 1951 ai suoi rapporti con Ordi- ne Nuovo, si conferma come quello razzista sia un elemento sostanziale (in cui dimensione «biologi- ca» e dimensione «spirituale» non risultano distin- guibili) e come, a dispetto delle sue reiterate pro- fessioni di «distacco dal mondo», anche in questa stagione sia in lui costante (come già lo era stato alla fine degli anni Trenta) un’«ansia di fare», os- sia una sostanziale volontà di intervento in campo politico. Con tutti gli «equivoci» – in «un settore minoritario della destra giovanile» (p. 86) – che ne sono derivati.
Stefano Zappoli
Hanno collaborato a questa sezione:
Gianfranco Baldini, Università di Salerno Stefano Bottoni, Università di Bologna Giacomo Brucciani, Università di Pisa Monica Campagnoli, Università di Bologna Jordi Canal, EHESS
Paolo Carusi, Università di Roma III Michele Chiaruzzi, Università di Bologna Luisa Chiodi, Università di Bologna Mario Del Pero, Università di Bologna Anna Di Biagio, Università di Firenze Mirco Dondi, Università di Bologna Angelo D’Orsi, Università di Torino
Massimo Faggioli, Fondazione per le Scienze Reli- giose Giovanni XXIII
Alberto Ferraboschi, Istoreco
Carlo Fiorentino, Archivio Centrale dello Stato Antonio Fiori, Università di Bologna
Andrea Frangioni, Scuola Superiore Sant’Anna, Pisa Gabriele Galli, Università di Bologna
Maurizio Griffo, Università Federico II, Napoli
Giulia Guazzaloca, Università di Bologna Giuliana Laschi, Università di Bologna Stefano Luconi, Università di Firenze
Marzia Maccaferri, Università di Modena e Reggio Emilia
Roberto Maccarini, Università di Genova Michele Marchi, Università di Bologna Chiara Ottaviano, Università di Torino Paolo Pombeni, Università di Bologna Federico Romero, Università di Firenze Guri Schwarz, Università di Pisa
Giovanni Scirocco, Università di Bergamo
Volker Sellin, Ruprecht-Karis-Universität Heidel- berg
Federico Trocini, Istituto Storico Italo-Germanico, Trento
Mikel Urquijo, Universidad del Pais Vasco Loris Zanatta, Università di Bologna Paola Zappaterra, Università di Bologna Stefano Zappoli, Università di Bergamo