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Giardini mughal impianti formali

In introduzione ad una collectanea che segnava un altro punto fondamentale nel dibattito storico sui giardini islamici, Attilio Petruccioli ha voluto riassumere criticamente lo stato di avanzamento degli studi a cui si era giunti. Nella stessa sede di dibattito, la riflessione interessò anche le metodologie di indagine e vennero forniti delle indicazioni e dei moniti sui rischi delle classificazioni, i quali a distanza ormai di due decenni, non hanno perso il loro significato ed è sempre utile tenerli in debita considerazione.

Concordo con Petruccioli in merito al pericolo di una riduzione dell’informazione insita nel processo di categorizzazione, anche se si tratta di un passaggio obbligato nel processo di ordinamento e comprensione dei dati. Tra gli studiosi che hanno intrapreso lo studio del giardino islamico, alcuni hanno inteso distinguere tra un giardino-corte, quale ambiente interno alle aree palaziali come nella tradizione romana, e un giardino-parco di tradizione persiana; tuttavia questa distinzione è generica e spesso non rispecchia una realtà in cui le due tipologie risultano compresenti (Lehrman Grimal 1976). Tra gli studiosi contemporanei, la storica Elizabeth Moynihan ha dato un notevole contribuito nell’approfondimento della tematica dei giardini islamici, ma la sua classificazione dei giardini in giardini-tomba, giardini palaziali e giardini di piacere risulta essere ambigua e incompleta (Mohniyan 1980). Mahvash Alemi presenta una classificazione di tipologie strutturali dai caratteri codificati e limitata geograficamente, ma a mio avviso non aiuta a comprendere il valore simbolico potenziale insito nelle strutture. Secondo il mio punto di vista, alla classificazione proposta da Alemi sarebbe utile un’integrazione approfondita sul contesto storico di impiego delle strutture individuate.75 Inoltre, secondo Attilio Petruccioli, alle strutture indicate andrebbe aggiunta la categoria del padshāh bāgh, ovvero il giardino di stato che in Persia, in India e nell’area timuride aveva segni peculiari essendo destinato alla celebrazione del potere del re e alla sua teofania.76 Per lo storico, sarebbe possibile distinguere i giardini in base alla loro funzione, quindi sarebbe possibile discernere tra un giardino di base e un giardino monumentale: il

75 Alemi distingue tra pairidaeza, bāgh, būstān, khīyābān-ī cahārbāgh, bāgh-ī takht, dawlatkhāne, cihil sutūn,

jahān namā e hasht bihisht, distinguendo gli impianti formali e le strutture che li componevano. Secondo Attilio

Petruccioli alle strutture indicate andrebbe aggiunta la categoria del padshāh bāgh, ovvero il giardino di stato che in Persia, in India e nell’area timuride aveva segni peculiari essendo destinato alla celebrazione del potere del re e volta a creare una teofania (Alemi 1994a, pp. 39-62).

76 Essendo volto a creare una teofania, il padshāh bāgh era pensato come luogo teatrale atto ad ospitare rituali

basati su etichette precise e ripetitive, diverse da dinastia a dinastia. La distribuzione degli ambienti che poteva essere una replica vegetale del palazzo di Iram o dell’accampamento in India, implicava una sequenza ricorrente dal vestibolo (nawbat khāne), al recinto delle udienze pubbliche (dīwān-i ‘ām), al successivo delle udienze private (dīwān-i Khāṣ) fino alla residenza privata (zenāna) (Petruccioli 1994, p. 11).

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giardino di base è individuato come prodotto del quotidiano, «frutto di variazioni infinitesimali in funzione del rendimento» e trova degli esempi negli orti irrigui suburbani; mentre il giardino monumentale è il risultato della progettazione intellettuale delle classi dominanti ed ha una funzione estetica oltre che di rappresentanza (Petruccioli 1994, p. 11). Sarebbe inoltre inadatto ricercare un ‘tipo’ di giardino.

Il giardino mughal è incluso nell’ambito del giardino islamico, il quale è oggetto di un attento studio da parte degli storici dell’arte a partire dagli anni Settanta-Ottanta del Novecento; sulle origini e sulla formazione del giardino indo-islamico si sono fatte molte speculazioni, ma è ormai attestato che il giardino indo-islamico derivi in parte dalla tradizione timuride (Petruccioli 1994, p. 7). Mentre vi è un generale accordo nel ritenere il giardino mughal quale risultato di un adattamento alle condizioni geografiche e non una mera copiatura del modello timuride o di quello persiano, c’è discordanza e una forzatura volta all’individuazione di un presunto modello primevo quadripartito.77 L’ipotesi attualmente più accreditata è quella evidenziata dallo storico James Dickie, per la quale sarebbe esistita una tipologia di giardino comune, simile a tutta l’area musulmana che, con la dinastia timuride, si sarebbe modificata e avrebbe dato esito successivamente a due espressioni peculiari: a sud nei giardini persiani safavidi e ad est nei giardini mughal (Dickie 1986, p. 129). Ad eccezione di alcuni giardini arabo-ispanici, abbiamo scarse testimonianze archeologiche e rare fonti scritte coeve sui giardini islamici prima dell’epoca timuride, di conseguenza non possiamo ricostruirne con certezza le apparenze estetiche; si riconosce tuttavia che alcuni elementi come l’acqua e la vegetazione fossero ricorrenti nella composizione dei giardini islamici.78

Il principe Babur introducendo la tipologia del giardino lussureggiante centro-asiatico, ha prodotto la mutazione materializzata del giardino indo-islamico, ancor oggi produttiva.79 Le modifiche apportate alla struttura del modello timuride furono dovute alla sua introduzione nella piana indo-gangetica, per via delle problematicità insite nella conformazione geografica

77 Per Susan Jellicoe, il giardino indo-musulmano risultava essere l’esito di un adattamento alle caratteristiche

climatiche del sito (Jellicoe 1976, p. 109). Per Donald Wilber una tipologia generale era migrata in due direzioni: verso oriente (verso l’India) sarebbe stata portata da Babur ed il suo sviluppo avrebbe risentito del clima e della topografia del subcontinente indiano, mentre verso occidente (nell’altopiano iranico) avrebbe sviluppato forme distintive. Lo storico individuava Babur come il responsabile dell’introduzione in India dell’impianto quadripartito, dell’uso dell’acqua corrente e delle simmetrie (Wilber 1962, p. 71).

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Per un’analisi del giardino islamico in generale si vedano, tra gli altri, i testi: Ruggles Fairchild 1994, pp. 143- 154; Ruggles Fairchild 2008; Titley 1994, pp. 127-142; Zangheri 2006. La letteratura abbonda di articoli e libri monografici su precise aree e contesti storici. Cito a titolo d’esempio per il contesto italiano, Caselli 1994, pp. 185-200; per la Spagna andalusa, Ruggles 1989, pp. 73-82, Ruggles 2003.

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L’arte del giardino indo-islamica sarebbe ancor attiva come dimostrerebbero il giardino del coadiuvatore del Lutyens, W. R. Mustoe, del dipartimento dell’Orticoltura, disegnato per la casa del viceré di Delhi, e il nuovo giardino tra quelli di Lawrence (Jinnah Bagh) a Lahore (Dickie 1986, p. 129).

57 del territorio: scarsità d’acqua perenne, prevalenza di zone pianeggianti e, come notato dallo storico Wilber, la limitazione climatica dovuta all’assenza di una stagione fredda che permettesse il riposo vegetazionale (Wilber 1962, pp. 75-6). Inoltre, la conformazione rocciosa e morfologica del territorio indiano era diversa da quella montuosa centro-asiatica, dove l’acqua era presente in ruscelli e defluiva per gravità lungo le pendici collinari.

Tuttavia, con il primo giardino costruito in India, Babur non solo introdusse il concetto di simmetria, ma anche un importante elemento della cultura persiana. L’intenzione dichiarata di Babur era di conferire ordine e bellezza al disarmonico territorio indiano, imprimendo simmetria e geometria sotto forma di chahār bāgh. I termini chahār bāgh o charbāgh indicano un preciso impianto basato sulla quadripartizione dello spazio, come si intuisce da una prima interpretazione, scomponendo le parole in char, chahar ovvero ‘quattro’ e bāgh, ‘parcella di terreno, giardino’. Tuttavia, data l’ambiguità del termine persiano, è bene specificare che Babur usò il termine «chahar bagh» sia per indicare il suo primo giardino costruito ad Agra nel 1526 intendendo un giardino pianificato architettonicamente, sia nella sua accezione più estesa, includendo giardini in pianura e giardini terrazzati (di cui un esempio famoso è il Bagh-i Nilufar a Dholpur). Babur dunque usò l’espressione tipicamente persiana, ma nelle sue memorie non riportò mai indicazioni precise dell’impianto formale dei suoi giardini che testimoniassero di viali o canali d’acqua intersecantisi a formare apposite sezioni.

Dai numerosi esempi di giardino che ereditiamo dalla dinastia mughal, si possono estrapolare tre modelli di impianto formale, due forme prototipiche e l’esito peculiare della cultura indo- islamica mughal: il chahār bāgh ideale, il giardino terrazzato e il giardino fronte-fiume. Il modello persiano del chahār bāgh si ritrova spesso nei monumenti funebri della dinastia e si costituisce idealmente in un’area quadrata, suddivisa in quattro macro sezioni dall’intersezione di due sentieri (khiyābān) o canali principali al centro del giardino. I marciapiedi, spesso rialzati sulle aree circostanti, sono percorsi dall’elemento acqueo, il quale è disposto variamente in corsi d’acqua corrente scavati (nahr) o in vasche. L’acqua rivestiva un ruolo fondamentale nella composizione del giardino, oltre ad esserne fonte di sostentamento; l’elemento idrico era talmente importante da occupare talvolta il centro geometrico dell’area nella forma di una piscina o di una fontana e assumendo un valore simbolico non inferiore a quello di un padiglione (‘imarat, nashīman) o di una tomba. I khiyābān dipartivano dal centro e nel luogo in cui intersecavano il muro perimetrale si

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fregiavano di veri o falsi portali (darwāza). Le quattro aiuole ottenute (chaman) erano a loro volta suddivisibili in sezioni più piccole, aiutando i giardinieri nella composizione di quadri fioriti.

La seconda tipologia riscontrabile è il giardino terrazzato che richiama direttamente i modelli centro-asiatici; questa tipologia si avvantaggiava delle caratteristiche naturali del paesaggio, sfruttando il declivio e le fonti d’acqua presenti per l’irrigazione e il mantenimento del giardino. I giardini si componevano in diverse terrazze successive lungo le pendici collinari, le quali ospitavano anche le costruzioni e le disposizioni a chahār bāgh. Anche in questo impianto l’acqua costituiva un elemento fondamentale, ricalcando l’asse visuale centrale che attraversava il giardino longitudinalmente lungo tutte le terrazze. L’assialità era sottolineata da filari e viali di pioppi o dei preferiti platani (o chenar/chinār). Schema tipico dei giardini centro-asiatici, l’impianto terrazzato fu ampiamente applicato, ad esempio, al paesaggio del Kashmir, dove i Mughal furono attivi patrocinatori di giardini e palazzi.80

La terza tipologia rappresenta il modello peculiare sviluppato dalla dinastia mughal nel paesaggio pianeggiante dell’Hindustan, dove le fonti d’acqua sono costituite dai grandi fiumi o laghi e non da torrenti montani come nel Centro Asia. L’originale adattamento alle condizioni della piana indo-gangetica, ha indotto allo spostamento delle costruzioni principali (specie padiglioni e palazzi) dal centro del giardino verso l’estremità affacciata lungo il corso d’acqua, mentre il chahār bāgh si sviluppava nella parte dell’entroterra. Il giardino occupava un’area rettangolare circondata da mura perimetrali ed era percorso al suo interno da canali idrici e sentieri, ma era dominato da una terrazza rialzata (kursī), oblunga lungo la riva del fiume e conterminata da torri ai suoi estremi. La bellezza della vista e della mitigazione climatica delle quali si poteva godere nelle sale e nelle camere ospitate nelle terrazze e nei padiglioni, contribuirono ad eleggere questa tipologia di giardino a formula residenziale preferita all’interno del ceto dominante mughal, specialmente ad Agra durante il governo di Shah Jahan; tale tipologia si confece anche agli spazi della corte, come modello architettonico di alcuni forti, tra i quali il Forte Rosso di Delhi, ed ebbe sviluppi ulteriori a livello urbano.81

80 Con il governo mughal, il Kashmir assistette ad una grande attività di costruzione del suo territorio. 81 Tra gli altri, si faccia riferimento ai saggi di Koch 1997a e 1997b.

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Le architetture

Il progetto di un giardino mirava a creare un’armonia tra l’elemento vegetale e le architetture, in modo da ottenere l’effetto di un’esaltazione reciproca: come è stato sottolineato anche da Susan Jellicoe, il suolo e le architetture dei giardini creavano uno schema compositivo evidentemente statico, la cui rigidità era bilanciata dagli altri elementi costitutivi, in particolar modo dalle piante e dall’acqua. Specialmente l’acqua, componendosi come un «arabesco liquido», modificava e sottolineava le relazioni spaziali tra gli elementi esistenti e grazie al suo movimento congiungeva il livello superiore delle strutture fisse al livello inferiore della vegetazione (Dickie 1986, p. 130). La dinamicità della risorsa idrica venne incanalata nell’originale forma del chadar, ovvero un piano inclinato costituito da lastre di marmo, che convogliava l’acqua da un piano all’altro dei giardini; la particolare trama a ‘v’ delle scanalature scolpite sul fondo, enfatizzava le qualità maggiormente apprezzate, ovvero la sonorità risultante dal movimento e la lucentezza data dalla riflessione della luce solare.82

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Chadar è il termine mughal per indicare il shadirwan persiano, per approfondire le implicazioni e i riferimenti coranici connessi (Tabbaa 2014). Mi riservo di appurare l’ipotesi espressa dallo studioso Bryan Hirst, secondo cui il grado di inclinazione dei chadar era funzionale a riflettere la luce solare (Hirst 2015).

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a b

c d

Figura 10: a Veduta verso nord dalla quarta terrazza del Nishat Bagh, Kashmir. L’acqua è convogliata nei canali e movimentata da chadar e fontane disposte lungo il percorso, collegando gli elementi architettonici come il chabūtra sommitale e la vegetazione circostante. b. Chadar e

chabūtra sommitale nel Nishat Bagh (1633-1634). c. Dettaglio delle scanalature presenti nel chadar della terza terrazza del giardino mughal a Pinjore, Kashmir. d. Dettaglio delle

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a. b.

Figura 11: a. Chadar principale tra la seconda e la terza terrazza del Chashma Shahi (1632- 1633). b. Dettaglio dell’inclinazione del chadar tra la prima e la seconda terrazza del Chashma Shahi.

La componente architettonica, assieme all’impianto vegetale, ebbe notevole influenza soprattutto nello sviluppo delle tombe monumentali mughal. Gli elementi che componevano il complesso verde avevano sia ruoli funzionali che simbolici e si ritrovavano accostati, malgrado la diversa provenienza culturale: oltre agli apparati mobili di memoria timuride (tende, tappeti, cuscini), nei giardini erano presenti numerosi edifici e decorazioni in stile persiano o hindu. Oltre ai vari spazi funzionali quali moschee, bagni o spogliatoi e alle piattaforme (chabūtra) dove si ergevano tende, gli edifici maggiormente presenti e fondamentali in un giardino erano i padiglioni, ovvero strutture variamente aperte sul circostante, dedicate al riposo, all’ospitare attività, intrattenimenti e a permettere la contemplazione del paesaggio. In qualità di simboli della sovranità e della discendenza timuride, le tende trovarono una collocazione anche all’interno del primo mausoleo dinastico mughal, ovvero la tomba dell’imperatore Humayun; infatti, grazie al mercante inglese William Finch sappiamo che, oltre ai ricchi tappeti, il cenotafio era ricoperto da una piccola tenda bianca che egli chiama «semiana» (shamiydna) (Finch 1921, p. 156).

Per lo storico Fairchild Ruggles, il padiglione fissa la vista e ‘reifica’ l’atto del vedere, poiché si costituisce come il punto focale attorno il quale il giardino è organizzato e dal quale si deve

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vedere (Ruggles 1997, pp. 176-177). Il padiglione rappresenta lo spettatore o il soggetto che guarda sul circostante; nei giardini reali, il soggetto della visione è il re, che è contenuto nel padiglione quando è presente fisicamente ed è simboleggiato da esso quando il sovrano è fisicamente assente. Allo stesso tempo, anche se solo allegoricamente, lo spettatore può condividere il potere insito e implicato nella centralità della struttura dalla quale il circostante dipende.

Questa rappresentatività dell’architettura è esaltata nei complessi funerari, in cui la tomba rappresenta maggiormente il sovrano rispetto al semplice padiglione, ospitandolo eternamente e divenendo il luogo delle liturgie sacre, specie la performazione della circumambulazione rituale (ṭawāf); in questo caso, sempre secondo Ruggles, la relazione tra giardino e architettura si invertirebbe, divenendo il padiglione oggetto della visione e non più soggetto. Inoltre, nella tomba stessa è replicata la dicotomia tra assenza e presenza del sovrano, dato che egli non è visibile, perché assente (nella morte), ma presente nella salma. Questa dicotomia si evidenzia nella divisione tra la sepoltura reale (la cripta sepolcrale) e la sepoltura fittizia (nel cenotafio).83

Il padiglione divenne un condensato di significati, grazie soprattutto alle forme architettoniche e alle decorazioni assunte; in particolar modo, nella costruzione dei padiglioni vennero preferite due forme architettoniche peculiari, cioè il cosiddetto hasht bihisht e il padiglione a torre.

L’hasht bihisht divenne una formula costruttiva molto utilizzata dai Mughal sia per i padiglioni centrali che per i mausolei, specialmente nei secc. XVI e XVII. Si trattava di una struttura pianificata centralmente, derivante da un modello persiano dal quale prende il nome e che significa ‘otto paradisi’. Nel sec. XVII, Jahangir e Shah Jahan hanno indotto il decentramento della struttura residenziale e ridotto l’impiego di hasht bihisht, preferendo strutture consistenti in larghe sale centrali, affiancate da stanzette laterali; malgrado questo relativo abbandono, il modello ottagonale continuò ad essere impiegato nelle tombe, come

83 A questo punto credo di dover dissentire dallo storico, il quale sostiene che il giardino nei contesti funebri

diventerebbe un mero setting fisico, dato che questa prospettiva sminuirebbe il rapporto di reciproca interdipendenza tra giardino e architetture (Ruggles 1997, p. 177). La ṭawāf nell’Islam era una pratica cultuale di venerazione che prevedeva la circumambulazione della tomba di un santo o di una personalità per sette volte in senso orario. Si tratta di una pratica rispettata anche dai sovrani mughal, di cui abbiamo testimonianza in varie fonti. L’Akbarnama, per esempio, registra le nove circumambulazioni di Akbar nella tomba del padre Humayun a Delhi e le otto alle tombe dei santi. Il rituale serviva ai sovrani come dispositivo per dimostrare la propria umiltà e pietà religiosa. L’esempio di Akbar fu seguito anche dai successivi imperatori Jahangir e Shah Jahan, i quali mantennero la pratica di visitare e periambulare la tomba di Humayun, degli antenati e delle personalità religiose di rilievo (Abu'l-Fazl 1939, vol. 3, p. 322; Ruggles 1997, p. 177).

63 appare evidente nel Taj Mahal. La pianta dell’edificio consiste in un quadrato o in un rettangolo con angoli marcati da torri o smussati, risultando così un ottagono irregolare detto musamman baghdadi o ‘ottagono di Baghdad’. L’hasht bihisht è diviso da quattro linee costruttive intersecantisi che suddividono lo spazio in nove parti: la sala cupolata al centro era affiancata da quattro anticamere rettangolari (aperte nel mezzo dei lati) e quattro stanze angolari (a due piani e spesso voltate); la connessione tra la sala centrale e le anticamere determina uno schema a croce, mentre nell’impianto radiale, con la connessione tra il centro e le stanze angolari, si otteneva uno schema a croce diagonale. Gli otto ambienti ottenuti nella suddivisione degli spazi rievocano gli ‘otto paradisi’ della tradizione musulmana.

I padiglioni a torre erano caratteristici del paesaggio rivierasco come ad Agra, erano derivati dalle strutture militari ed erano stati adattati alla funzione di padiglioni da giardino con l’apertura dei piani superiori, circondanti una stanza ottagonale interna sormontata da un chhatrī (Koch 1986, pp. 32). Per la nuova forma sopraelevata e aperta sul panorama circostante attraverso nicchie o gallerie pilastrate, il padiglione a torre divenne un ottimo punto di osservazione del paesaggio e una struttura molto apprezzata nelle architetture dei giardini. Un esempio è fornito dalla torre Battis Khamba, presente nel Buland Bagh ad Agra. Databile al primo quarto del secolo XVII, questa costruzione di quattro piani si trovava stranamente al centro del fronte fiume ed era fiancheggiata alle estremità da altre due torri contermini, delle quali oggi rimane solo quella meridionale.84

84 Il Buland Bagh (Giardino Alto o superiore) è tradizionalmente attribuito a Buland Khan o Sarbuland Khan,

oppure ad un imprecisato khwajasara o eunuco di Jahangir. Una torre simile appare in un dipinto di Agra del sec. XVII. Questa torre è un esempio in rovina del particolare stile architettonico sperimentale sviluppatosi nel periodo di governo di Jahangir (Koch, Barraud 2006, p. 37).

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Figura 12: Fotografia del Battis Khambha ad Agra realizzata da Edmund William Smith nel 1893-4, 24,5x19,9cm, proveniente dagli archivio dell’Archaeological Survey of India.

Altre strutture a torre conterminavano solitamente le terrazze fronteggianti il fiume, come nel caso del giardino di Jahanara o Zahara Bagh ad Agra; entrambe realizzate in arenaria rossa, ben rappresentano la tipologia di costruzione da giardino e costituiscono un esempio ben conservato. La torre settentrionale è stata rifunzionalizzata a tempio di una divinità hindu per assicurare la protezione del vicino ponte ed è conosciuta oggi come tempio di Kali Maha. La torre sud-occidentale fornisce un esempio di chīnī khāna o ‘stanza cinese’, con decorazioni parietali in arenaria rossa che rievocano le nicchie ricoperte di porcellane orientali. Sembra che il primo nucleo di questa costruzione intrapresa da Mumtaz Mahal sia databile alla fine degli anni Venti del secolo XVII, ciò spiegherebbe il permanere delle forme tipiche dell’architettura di Jahangir, mentre il chhatrī con archi polilobati che cupola l’edificio sarebbe un’aggiunta successiva apportata da Jahanara.85

85 Nelle prime decadi del sec. XIX, la torre era conosciuta come Khushak-i Sayyid o Burj-i Sayyid ovvero

Padiglione o torre dei Sayyid, e Sil Chand ricorda che le persone avevano la consuetudine di tuffarsi da essa nel il fiume (Chand 1830, ff. 119b-129b). La torre venne apprezzata da un ampio pubblico, tra il quale, la viaggiatrice inglese Fanny Parks registrò la sua visita al Syud (Sayyid) Bagh apprezzandola maggiormente

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