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Il gioco proibito nell’età moderna

Uno dei punti di snodo circa la percezione dell’azzardo e dunque la sua trattazione all’interno della normativa avviene agli inizi del XVIII secolo. Nel 1709 Jean Barbeyrac, docente di diritto pubblico prima a Losanna poi a Groningen, pubblica ad Amsterdam un’opera dal titolo Traité du

jeu, in cui il gioco viene visto come un fenomeno naturalmente

appartenente all’uomo e che dunque di per sé non è riprovevole né socialmente né moralmente:

le Jeu […], consideré par lui-memê, et sans aucun rapport à la fin que se proposent les joueurs, ne paraît contenir iren de mauvais […]71

Questa piccola rivoluzione operata da Barbeyrac verrà tuttavia raccolta soltanto in parte dal Codice civile Francese solo nel 1804. Ci volle dunque quasi un secolo perché l’eredità di Barbeyrac si facesse strada tra le precedenti concezioni del fenomeno ludico.

71 Barbeyrac, J., 1709, Traité du jeu: où l’on examine les principales questions de droit naturel et de morale qui ont du rapport à cette matiere, Humbert, Amsterdam, p.36

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Il lavoro di Barbeyrac parte dagli assunti del giusnaturalismo e del sentire comune che avvertono il gioco, laddove non raggiunga degli eccessi dannosi, come una attività del tutto lecita e perfino utile.

In questa concezione, che avrà una lunga fortuna in Europa, il gioco è visto come complementare in un binomio che già nei secoli precedenti e specialmente nel Medioevo aveva avuto un grande riscontro, quello per l’appunto di gioco e lavoro.

Nei secoli del Medioevo, il binomio era spostato in favore dell’antinomia tra preghiera e gioco, laddove anche in virtù di una concezione del tempo propria del Medioevo, il gioco, lo abbiamo visto nelle parole dei predicatori, rappresentava uno sperpero di tempo che veniva di fatto sottratto alla preghiera.

In età moderna invece il binomio muta in considerazione anche del diverso rapporto con il tempo-lavoro in favore più che antinomica complementare tra gioco e lavoro. Il riposo, lo svago e dunque il gioco cominciano ad assumere le connotazioni di un valore indispensabile al lavoro. L’uomo per Berbeyrac è più che un essere puramente vivo, animale. Ciò che lo eleva e lo distingue dalla pura esistenza, che fornisce senso alla sua vita è il lavoro. Eppure il lavoro non può essere incessante, al contrario, per poter meglio esprimersi nelle sue capacità poietiche l’uomo ha bisogno del riposo e dunque del gioco.

È qui che si opera per la prima volta forse l’eguaglianza tra gioco e ricreazione, ovvero si pone la visione del gioco come momento ergico e funzionale al duro lavoro quotidiano:

une espéce de combat recréatif, dans lequel deux ou plousieurs personnes, après être convenues de certaines loix, sont à qui sera plus adroit ou plous heureux par rapport à certains mouvements don’t

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l’effet ou ne depend point du tout de leu direction, ou en depend du moins en partie72

Il gioco è dunque secondo Barbeyrac un vero e proprio contratto in cui le parti accettano un regolamento condiviso cercando ognuno, nella vittoria, il proprio vantaggio. Se dunque il gioco è un contratto esso non è diverso da altre forme di contratto che il codice ha già iscritto tra le pratiche lecite e dunque deve essere stato stipulato seguendo alcuni requisiti, pena la sua nullità.

1) Libertè dans l’engagement 2) L’égalité dans les conditions 3) Fidélité dans l’exécution73

72 Barbeyrac, J., 1709, Traité du jeu: où l’on examine les principales questions de droit naturel et de morale qui ont du rapport à cette matiere, Humbert, Amsterdam, p.102

73 Barbeyrac, J., 1709, Traité du jeu: où l’on examine les principales questions de droit naturel et de morale qui ont du rapport à cette matiere, Humbert, Amsterdam, pp.104-

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In caso il contratto di gioco viene stipulato tramite la coercizione o il raggiro o il soggetto non è nelle condizioni di intendere e volere perché ad esempio è un bambino il contratto è da considerarsi nullo (liberté). Nel caso il gioco non sia equo esso è da considerarsi nullo il contratto (égalité)

L’ultimo caso è relativo all’onestà e alla lealtà nel gioco attributo senza il quale, come per i due casi precedenti, un contratto di gioco è da considerarsi nullo. Barbeyrac dunque pone le basi per una nuova collocazione del gioco all’interno del diritto e dunque della società. Queste indicazioni tuttavia, pur provenendo da un autore che godeva di molta considerazione all’epoca vennero quasi interamente ignorate dalla giurisprudenza coeva.

In Italia Cesare Beccaria, nel suo famoso trattato Dei delitti e delle pene, cita il problema dei giochi pubblici e specialmente delle loro degenerazioni sostenendo che esse possono portare a fatti cruenti e destabilizzanti per l’ordine pubblico e dunque vanno severamente punite dall’ordine costituito. Beccaria è autore anche di un trattato decisamente meno noto che riguarda il gioco del faraone74, uno dei giochi d’azzardo più diffusi dell’epoca. In questo articolo apparso sulla rivista Il Caffè Beccaria mostra le sue conoscenze matematiche e

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statistiche per valutare il guadagno del banco durante lo svolgimento di una partita del suddetto gioco.

Con l’arrivo dell’età dei Lumi il tema del gioco viene ripreso da importanti pensatori e giuristi nell’ottica di una rinnovata percezione del gioco come fatto sociale.

Montesquieu nell’Esprit des lois parla dei giochi come di una attività che tende a sviluppare attitudini positive:

les jeu nous plait en géneral parc qu’il attache notre avarice, c’est à dire, l’esperance d’avoir plus. Il flatte notre vanité, par l’idée de la préférence que la fortune nous donne, et de l’attention quel es autres ont sur notre bonheur. Il satisfait notre curiositè, en nous procurant un spectacle.75

Negli anni dell a rivoluzione francese i giochi d’azzardo tornano a suscitare l’interesse dei legislatori:

Il 26 febbraio 1971, in seno all’Assemblea nazionale, è all’ordine del giorno il tema delle case da gioco. Il cuore della questione è il malsano costume

75 Charles-Luis de Secondat de Montesquieu, Esprit des lois, in Ouvres de Montesquieu,

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dell’indebitamento maturato a causa delle consistenti puntate in occasione dei giochi d’azzardo. Marat esprime la necessità di approntare un sistema che permetta la diffamazione dei giocatori e il controllo delle bische, e ricorda come tanti “importanti compagni”, tra i quali Tisson, Marmé, Chavigny, Delsanne e altri ancora, avessero contratto debiti senza onorarli. Ma il passo decisivo viene compiuto tra il 19 e il 22 luglio 1971, con un decreto sull’Organisatione d’une police municipale et

correctionelle che mira tra le altre cose ad arginare il

fenomeno delle maison de jeu: vengono proibiti tutti i giochi di fortuna; aumentate ad un anno di prigione le condanne, a cui si aggiungono un ammenda da 1.000 a 3.000 franchi per i giocatori e soltanto di 300 franchi per i proprietari.76

Le norme dunque anche in questo caso vanno in una direzione decisamente punitiva e dunque diversa rispetto alle indicazioni del dibattito tra i giuristi. Solo il 24 termidoro dell’anno VIII (ovvero il 12

76 Cappuccio, A., 2011, ‘Rien de Mauvais’ i contratti di gioco e scommessa nell’età dei codici, Giappichelli, Torino, p. 79

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agosto del 1800) appaiono nuovamente i giochi d’azzardo e di scommessa in un progetto di legge che tiene finalmente conto delle indicazioni derivanti dai lavori di Barbeyrac:

Titre XIX. Des contracts aléatoires.

1. Le contrat aléatoire est celui par laquel chacune des parties contractans s’engage à donner ou à faire une chose, et ne reçoit, en equivalent de ce qu’elle donne, que le risqué don’t elle s’est charge, et qui depend d’un événement casuel et incertain. Tels sont: le contrat d’assurance

Le prêt à grosse aventure Le jeu et le pari

Le contrat de rente viagére.

Les deux premiers, appartenant au commerce maritime, sont étrangers au Code civil propremente dit.

Chapitre I. Du jeu et du pari

2. La loi n’accorde aucune action pour le paiement de ce qui a été gagné au jeu ou par un pari,

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excepté pour les jeux propres à exercer au fati des armes; tel que l’exercise qu fusil, le courses à pied ou à cheval et de chariot, et le jeu de paume. Al’égard de ces sortes de jeux, le juge peut dénier l’action, quand les sommes jouées ou pariées excédent vingt-quatre francs.

3. Dans tous le cas où la loi dénie l’action au gagnant, elle refuse au perdant la repetition de ce qu’il a volontairment payé. Néanmoins l’action en repetition est admise par la voie de la police correctionelle, quand il y a eu, de la part de l’un des joueurs, dol, supercherie ou escroquerie.77

77 Fenet, P.A., 1828, Recueil complet des travaux préparatoires du Code Civil, t.I,

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