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Individuazione dell’oggetto di studio

Da un punto di vista classificatorio, tentare di dare una definizione di gioco d’azzardo è un’operazione tutt’altro che semplice anche e soprattutto perché deve poggiare su una definizione di gioco. Abbiamo visto in precedenza come ad oggi non vi siano definizioni unanimemente accettate e tuttavia, per evitare digressioni che sono fuori dalla portata di questa ricerca ci avvarremo in questo lavoro della definizione di Roger Caillois sopra riportata. Avendo dunque “sposato” la definizione di gioco di Caillois resta comunque aperta una questione non secondaria: cos’è il gioco d’azzardo.

Nella percezione comune il gioco d’azzardo è un’attività ludica che comporta una fondamentale dose di fortuna e una altrettanto fondamentale posta economica in gioco. Tuttavia definizioni come queste, se “osservate più da vicino”, mostrano diversi punti deboli e sollevano diverse perplessità. Il discrimine riguardo la fortuna per esempio è piuttosto vago nel senso che non tutti i giochi hanno la stessa incidenza stocastica.

Laddove per esempio la roulette, ma anche i dadi, mazzetti, il lotto etc., possiedono tutti gli elementi per essere un gioco di pura fortuna ovvero in cui la fortuna ha il totale predominio rispetto alle scelte del giocatore, altri giochi, considerati comunque d’azzardo limitano l’incidenza del caso fino quasi, è il caso del Blackjack, ad espungerlo dalla pratica ludica.

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Il poker ad esempio è un gioco in cui il bluff, la conoscenza dei punti e delle loro possibilità di entrata limitano, moderano, l’incidenza del caso. È percezione comune che un “bravo” giocatore di poker possa facilmente portare via una discreta somma ad un “pollo”. Questo banale luogo comune in realtà cela un semplice dato di fatto: a poker vince chi è più bravo. Uno dei giochi da casinò per eccellenza, il Blackjack (o Ventuno in italiano) fu messo a dura prova all’inizio degli anni Sessanta da Edward O. Thorp, docente di matematica presso l’M.I.T. che riuscì, seguendo calcoli probabilistici, a dimostrare che il banco poteva essere battuto seguendo alcune complesse strategie di gioco, dimostrazione che mise regolarmente in pratica a Las Vegas guadagnandosi l’interdizione a vita in tutti i casinò del mondo.

Questi due esempi possono essere estesi anche ad altri giochi comunemente rientranti nella categoria dell’azzardo, in cui fortuna e strategia si mescolano senza che nessuna delle due prevalga del tutto sull’altra. Per questo si parlerà nel corso di questo lavoro di gioco d’azzardo puro nel caso si intendano giochi legati esclusivamente o preponderantemente alla sfera della fortuna, e di giochi d’azzardo misti nel caso di tutti quei giochi che prevedono una parte di strategia che influisce sensibilmente nella pratica ludica.

Ma si può fare anche un’altra considerazione riguardo i giochi comunemente ritenuti d’azzardo e specialmente circa alcune pratiche che si mantengono in uno stato di ambiguità tale da essere ancora oggi in una zona grigia. È il caso delle scommesse. Questo tipo di pratica, come accennato, resta in una specie di limbo che non sempre il senso comune ha ascritto alla ludicità, dandogli di volta in volta (pur trattandosi sempre dello stesso gioco) ora valenza di gioco d’azzardo e dunque negativa, ora valenza divinatoria ora di pratica aristocratica (come nel mondo anglosassone). È possibile immaginare, anche nell’eseguità delle fonti, che questa forma ludica sia antichissima e sicuramente molto frequentata.

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Nel corso della storia l’uomo ha scommesso praticamente su ogni possibile esito, dalle competizioni sportive alle guerre, dall’elezione dei papi a quelle dei governanti. Il semplice ed ineffabile meccanismo della scommessa si basa su una predizione che può avverarsi o meno ma su cui è possibile speculare in termini di probabilità. Il tentativo di indovinare l’esito di una scommessa è sempre stato al centro delle pratiche più diverse che vanno dalla divinazione (è il caso ad esempio della celebre “smorfia” napoletana) ad una ricognizione oggettiva delle condizioni (come per esempio la forma fisica di un atleta), fino alla scaramanzia.

Escludendo i metodi meno empirici, nelle scommesse oltre ad una buona dose di fortuna la conoscenza dell’argomento può incidere sulla possibilità di indovinare un pronostico. Se ad esempio mi trovassi a dover scommettere sul risultato di una partita di calcio, avrei migliori possibilità di vincere la mia scommessa se seguissi quotidianamente questo sport e conoscessi le caratteristiche degli atleti, piuttosto che se mi affidassi solamente all’istinto per scegliere su chi scommettere tra le due squadre. Conoscere l’argomento su cui si investe ovviamente non annulla il rischio di scommessa, ma lo riduce (come sanno bene i bookmaker che decidono le quote). Lo stesso ragionamento può essere applicato anche ad altri ambiti di scommessa, ma non, ovviamente, a quelle particolari forme di scommessa che sono, per esempio, la roulette o il lotto in cui tutte le possibilità hanno la stessa probabilità di estrazione.

Ai nostri giorni è possibile scommettere legalmente su moltissimi esiti, con quote valutate da bookmaker professionisti, non più solo prima dell’inizio dell’evento, ma addirittura di cambiare la posta durante lo svolgimento dell’evento. Non solo. Possiamo scommettere in ogni momento della giornata grazie alla telematizzazione del gioco e osservare in tempo reale il cambiare delle quotazioni. Inoltre il tutto è

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garantito dal Monopolio dello Stato che vigila su ogni aspetto del gioco e che dal gioco trae fondi che reinveste.

Tuttavia è nelle scommesse che il confine tra gioco e quella che viene comunemente definita vita “seria” (proprio in opposizione ad una presunta non serietà del gioco) dimostra la sua discrezionalità. Se si osservano criticamente alcune consolidate pratiche commerciali possiamo ritrovare, nel corso della storia come ai nostri giorni, similitudini tali da poterle accomunare con quello speciale e fondamentale ingrediente del gioco d’azzardo che è la scommessa.

Se definissimo il gioco d’azzardo come:

una scommessa di cui è possibile indagare in parte (o affatto) l’esito

allora saremmo costretti ad includere in questa categoria molte attività umane che non siamo abituati a vedere come tali.

Se alla base del gioco d’azzardo c’è il principio della scommessa, e se pensiamo alla scommessa come un gioco o una attività che sta in un posto mediano tra divinazione e analisi dei dati disponibili, allora possiamo vedere che molte attività umane che non vengono annoverate tra i giochi d’azzardo ne posseggono comunque gli attributi. Pensiamo per esempio alla finanza e alle transazioni di borsa, esse (che oggi versano in serio dispregio a causa della crisi economica, ma che soltanto uno o due lustri fa venivano tenute in tutt’altra considerazione) posseggono molte caratteristiche del gioco d’azzardo; si scommette su guadagni futuri (l’andamento del mercato) mettendo in gioco una posta anticipata (le azioni) che dovrebbe fruttare senza altro “lavoro” che quello di indovinare il giusto posto e il giusto momento in cui investire. In questo caso l’esempio è fin troppo calzante, ma in una definizione vaga come quella che si è proposta (e che tuttavia è l’unica che mi pare

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possa includere tutti i giochi d’azzardo), potrebbero rientrare anche numerose altre attività.

Per evitare questa deriva definitoria, che pure è indice di una seria compromissione tra gioco d’azzardo e altre occupazioni umane (rapporto sul quale insisteremo più avanti) si è deciso in questo lavoro di individuare “giochi d’azzardo” non in base ad una più o meno calzante definizione, ma relativamente alla percezione delle persone che di quel fenomeno si occupano, indipendentemente dal fatto che costoro possano assumere tassonomie non del tutto coerenti.

Ci si atterrà dunque a quello che gli attori di questo fenomeno (giocatori, guardie di pubblica sicurezza, giudici, questori, etc.,) ritengono sia gioco d’azzardo.

Il gioco illegale per sua stessa natura offre allo studioso una serie di documenti rintracciabili. Se da un lato dunque il gioco proibito per sua stessa definizione si pone come fenomeno “celato” all’autorità, e quindi difficile da rilevare, dall’altro esso produce non solo una evidenza documentaria nelle carte di polizia, là dove si scontra con la legge, ma alimenta anche un dibattito legislativo e sociale cui può attingere lo storico.

È il caso ad esempio delle numerose carte della Questura riguardanti le irruzioni nelle case da gioco, la sorveglianza nelle bettole e nei caffè più a rischio, ma anche delle lamentele, delle lettere anonime di parenti e familiari i cui cari sperperavano ingenti somme nel gioco. In questo senso scegliere un fenomeno ludico legato ad un controllo di polizia fornisce un indubbio vantaggio.

Il gioco vietato pone inoltre lo studioso davanti a un fenomeno in cui sono presenti due attori, il giocatore e l'autorità, che si fronteggiano. Il confronto (o più spesso lo scontro) che nasce dalla contrapposizione di

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questi due soggetti può fornire elementi di studio e offre naturalmente un duplice punto di vista.