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Il giudicato penale e la riapertura del giudizio penale a seguito della sentenza d

La questione dell’aperturra del giudizio penale a seguito di una sentenza di condanna della Corte di Strasburgo, ormai è una problematica che ha riguardato più o meno tutti i Paesi membri del Consiglio d’Europa. Infatti, tutti i Paesi hanno provveduto alla possibilità di riaprire il processo penale a seguito delle sentenze della Corte europea, per via dell’intervento del legislatore nazionale a introdurre una clausola sulle norme processuali volte a consentire la revisione del giudizio “post- Strasburgo”, oppure in via giurisprudenziale attraverso le pronuncie delle giurisdizioni superiori.

Le misure prese a livello nazionale da ciascun paese, sicuramente hanno come obiettivo di evitare le condanne della Corte europea, in un meccanismo come quello di Strasburgo che vede come protagonisti principali proprio le giurisdizioni nazionali che tutelano in prima battuta i diritti dei propri cittadini. L’obbligo all’adeguamento alle decisioni della Corte EDU serve proprio a titolo precauzionale, evitare le eventuali condanne pro futuro. Occorre sottolineare che, tutte le Alte Parti hanno reagito in tempi e in modi differenti. Gli interventi legislativi o giurisprudenziali hanno riguardato prevalentemente il giudicato penale e molto meno il giudicato civile e amministrativo.

Ad esmpio in Francia, piuttosto nota è la legge n. 516 del 15 giugno 2000 e le successive modifiche, con cui è statta introdotta nell’ordinamento francese Code de procedure penale la possibilità di richiedere la revisione del giudizio penale a seguito di una decisione di condanna da parte della Corte di Strasburgo. In Germania, la

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Art. 74 l. organica 10 ottobre 2000 n. 8577 sull’organizzazione e funzionamento della Corte costituzionale.

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revisione dei processi penali a seguito di sentenze della Corte europea è stata introdotta nel 1998 art. 359, n. 6 Codice di procedura penale229. Per quanto attiene l’esperienza italiana, ci siamo soffermati nella prima parte di questo lavoro.

La vicenda albanese parte dal noto caso Xherraj c. Albania, che ha concluso il lungo iter all’interno del sistema domestico, per finire poi alla Corte di Strasburgo. Il ricorrente lamentava dinanzi alla Corte Suprema Sezione Penale, la violazione del principio di sicurezza giuridica, in quanto assolto nel giudizio di primo grado, il P.M aveva impugnato la sentenza del primo grado, passata in giudicato, oltre i termini stabiliti dalla legge. Inoltre, l’imputato non era presente al processo penale svolto presso la Corte d’Appello e quest’ultima ha deciso per la riapertura del processo dietro istanza del Pubblico Ministero. Successivamente il ricorrente si è rivolto alla Corte costituzionale, la quale ritenne inammissibile il ricorso in quanto non rientrava nella giurisdizione del giudice costituzionale.

La Corte di Strasburgo decise a favore del ricorrente, obbligando allo stesso tempo i giudici nazionali alla riparazione integrale delle violazioni subite, in virtù del principio dell’art. 6 CEDU. La Corte Suprema rifiutò a prendere di nuovo all’esame la causa, con la motivazione che manca nella legislazione nazionale c.p.p una specifica ipotesi che determina la riapertura del processo penale. Le cause di riapertura sono tassativamente previste dal legislatore, pertanto dichiarò il ricorso irricevibile.

Il ricorrente si è rivolto nuovamente alla Corte costituzionale, che decise con la sent. n. 20/2011, la quale per la prima volta affronta il problema del collocamento della CEDU nell’ordinamento giuridico nazionale, nonché gli effetti giuridici delle sentenze della Corte di Strasburgo. Allo stesso modo, il Giudice delle leggi offre una soluzione all’ipotesi di contrasto della normativa nazionale con la CEDU. Anche in questa occasione, la decisione è sorta proprio in caso di conflitto con la Corte Suprema, la quale non riconosce gli effetti vincolanti alle decisioni della Corte di Strasburgo.

Questa sentenza, viene emessa all’indomani della sentenza della Corte costituzionale italiana, sent. n. 113/2011, riguardo la riapertura del giudizio penale, una sentenza per di più richiamata dalla Corte costituzionale albanese facendo uso

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V.SCIARABBA, Il giudicato e la CEDU. Profili di diritto costituzionale, internazionale e

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appunto delle sentenze straniere delle omologhe corti, per supportare il proprio atteggiamento al riguardo.

«Sul giudice nazionale grava l’obbligo di sindacare la compatibilità della legislazione nazionale con la CEDU e la sua giurisprudenza, in caso di contrasto deve disapplicare la normativa nazionale a favore della norme pattizie. Questo in virtù del dettato costituzionale, il quale stabilisce la prevalenza della fonte pattizia sulla normativa nazionale». A seguito di questa emblematica decisione, la stessa Corte Suprema, ha deciso la riapertura del giudizio penale di ricorrenti risultati vittoriosi a Strasburgo come; Berhani c. Albania, Caka c. Albania, Laska c. Albania, riconoscendo la diretta applicazione della CEDU e della giurisprudenza di Strasburgo. La questione della riapertura del giudizio penale a seguito di una sentenza di condanna, è stata risolta in via giurisprudenziale, successivamente, il legislatore nazionale nel 2014 ha apportato le modifiche al codice di procedura penale art. 450 c.p.p lett. d), introducendo una nuova ipotesi di apertura del processo penale, «quando la Corte europea dei diritti dell’uomo ha constatato violazioni della CEDU e dei suoi protocolli».

Al contrario, in riferimento al giudicato civile, è stato il legislatore ad intervenire in materia; il Parlamento, ha provveduto ad apportare talune modifiche in materia civile nel 2008, art.498 c.p.c., nel quale è stata inserita una nuova clausola della revisione del processo civile, lett) e, l’ipotesi «quando la Corte EDU ha condannato l’Albania per violazioni della Convenzione e dei suoi protocolli addizionali, ratificati da parte dello Stato».

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5. L’uso della CEDU e della giurisprudenza di Strasburgo da parte della Corte