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Sanità e bioetica

Anche di fronte all’emergenza Covid 19 la giustizia amministrativa si tro-va in prima linea, al fine di dare una risposta alle prime richieste di tutela, derivanti dall’adozione e applicazione delle stringenti misure anti contagio.

In linea generale è noto come queste ultime, in quanto chiamate a inci-dere pesantemente sulle libertà fondamentali di ciascuno di noi, abbiano posto, pongano e porranno non poche perplessità, e non solo con riferi-mento agli strumenti giuridici normativi o amministrativi adottati.

Il riconoscimento della duplice valenza del diritto alla salute ha costituito una prima risposta, la quale, peraltro, dovrà essere seguita da un necessa-rio approfondimento in relazione ai diversi ambiti di bilanciamento che una tale estensione impone, specie rispetto ai più elementari diritti e libertà della persona umana.

E quando il bilanciamento fra poteri e soggetti ovvero fra diversi interes-si pubblici e privati viene in rilievo, il giudice amministrativo si trova al centro del dibattito e dell’arena, sia per l’estensione della propria cognizio-ne rispetto all’esercizio di ogni potere autoritativo, sia per la rapidità di ri-sposta di cui si sta dimostrando capace il relativo processo.

Non ultimo, anche l’ambito in oggetto, oltre ai delicatissimi versanti in-taccati in tema di diritti fondamentali, contiene questioni di rilevanza anche processuale, a partire dal dibattuto tema dell’appellabilità dei decreti caute-lari monocratici.

La normativa

Il corretto inquadramento delle questioni che hanno cominciato a inte-ressare le aule della giustizia amministrativa impone un rapido excursus della normativa eccezionale che si sta susseguendo in maniera vorticosa da due mesi a questa parte.

Il nucleo normativo è costituito dall’articolo 3 del decreto legge n. 6 del 2020, poi ripreso e chiarito negli articoli del decreto legge n. 19 del 25 marzo 2020, che ha radicato la gestione dell’epidemia COVID-19 con la previsione che, tramite uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, possano essere adottate le misure di contenimento del contagio indicate nelle norme degli stessi decreti legge.

Mentre l’articolo 1 del Dl ora vigente contiene una specifica enumera-zione di misure urgenti (tra le quali: divieto accesso o allontanamento dal-l’area interessata; sospensione dell’attività scolastica, di viaggi di istruzione, di manifestazioni e eventi, concorsi, chiusura di tutte le attività commercia-li, sospensione delle attività lavorative per le imprese, a esclusione di quelle che erogano servizi essenziali, sospensione o limitazione dello svolgimento delle attività lavorative, applicazione della misura della qua-rantena per soggetti a rischio. ecc.), l’articolo 2 del Dl n. 19 individua il percorso procedimentale e disciplina il regime transitorio delle misure di carattere regionale, l’articolo. 3 disciplina le misure urgenti di carat-tere regionale o infraregionale, tentando la difficile strada di metcarat-tere un po’ di ordine nel caos derivante da una sorta di federalismo normativo im-Quando il bilanciamento

fra poteri e soggetti ovvero fra diversi interessi pubblici e privati viene in rilievo, il giudice amministrativo si trova al centro del dibattito e dell’arena Davide Ponte

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pazzito, in cui ogni giorno si susseguono ordinanze regionali sugli ambiti più disparati, spesso in termini non coincidenti con le previsioni statali.

Sulla base normativa di rango primario, sopra riassunta, anche a seguito della dichiarazione dello stato di emergenza datata 31 gennaio 2020 ai sen-si del codice della protezione civile (Dlgs n. 1 del 2018), sono stati nell’ordi-ne emanati i seguenti principali atti statali:

Dpcm 20 febbraio 2020, contenente misure urgenti di contenimento del contagio in undici comuni di Lombardia e Veneto (c.d. “zona rossa”);

Dpcm 25 febbraio 2020, con cui sono state previste ulteriori misure di contenimento per un’area più ampia di quella iniziale (e cioè per i comuni delle regioni Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Liguria, Piemonte e Veneto);

Dpcm 1° marzo 2020, che contiene un’ulteriore serie di misure di conte-nimento del contagio in alcuni comuni e province, nonché nelle regioni Emilia-Romagna, Lombardia e Veneto, cui si affiancano alcune prime mi-sure, meno stringenti, sull’intero territorio nazionale;

Dpcm 8 marzo 2020, che, oltre a misure più restrittive per la regione Lombardia e alcuni territori provinciali, impattanti su molteplici ambiti (scolastico, ludico-sportivo, religioso, sanitario, ecc.), reca, tra l’altro, una raccomandazione, presidiata da una norma incriminatrice, al fine di non consentire, dalla data dell’8 marzo e fino al 3 aprile 2020, lo spostamen-to “in entrata e in uscita” dai terrispostamen-tori della regione Lombardia e delle province oggetto del provvedimento;

Dpcm 9 marzo 2020, che ha previsto analoga limitazione, estendendo all’intero territorio nazionale le misure di cui all’articolo 1 del Dpcm 8 marzo, con decorrenza dal 10 marzo al 3 aprile 2020; ha inoltre fatto di-vieto di ogni forma di assembramento di persone in luoghi pubblici o aperti al pubblico e ha sospeso tutti gli eventi e le competizioni sportive di ogni ordine e disciplina, in luoghi pubblici o privati;

Dpcm 11 marzo 2020, che contiene ulteriori misure sull’intero territorio nazionale, tra le quali la sospensione delle attività di ristorazione e delle attività commerciali di vendita al dettaglio, fatta eccezione per le attività di vendita di generi alimentari e di prima necessità;

Dpcm 22 marzo recante ulteriori misure applicabili sull'intero territorio nazionale, limitative in specie delle attività produttive;

Dpcm 1 aprile di proroga al 13 aprile delle misure vigenti.

A valle, le Regioni e gli altri enti territoriali hanno adottato una serie di misure ulteriori ovvero più restrittive, che, più o meno fondate sul richiamo all’articolo 32 della Costituzione e all’articolo 32 della legge 23 dicembre 1978 n. 833, hanno dato vita a un vero e proprio codice dell’emergenza di centinaia di pagine, con buona pace della certezza del diritto.

Le criticità di fondo

Come si evince dall’elencazione normativa e dei decreti attuativi, sono state imposte, con le misure di contenimento del contagio, forti restrizioni alle libertà fondamentali su tutto il territorio nazionale, in nome della tutela del fondamentale diritto alla salute.

Con particolare riguardo all’estensione territoriale, la parziale scopertura derivante dall’articolo 1, comma 1, del Dl n. 6, riferibile a un’area determina-ta, pare superata dalla disciplina sopravvenuta del Dl n. 19.

Peraltro, è nella sostanza delle limitazioni che si pongono le maggiori perplessità.

Ciò non solo sul versante formale della natura dello strumento utilizzato per l’individuazione delle misure restrittive (Dpcm) a fronte di una norma di legge a monte estremamente povera (quantomeno in origine) in ordine ai criteri di riferimento, ma anche su quello dell’estensione e dell’incisività delle misure restrittive imposte, prive di reale parametro di confronto nella storia repubblicana.

Ulteriore profilo di rilevante criticità è il rapporto fra competenze statali e regionali, la cui incertezza ha dato (e sta dando) vita a veri e propri scontri istituzionali, in cui provvedimenti statali e regionali si inseguono in un

vor-Regioni e altri enti territoriali hanno adottato una serie di misure ulteriori o più restrittive, che hanno dato vita a un vero e proprio codice dell’emergenza

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tice in cui cittadini e certezza del diritto vengono sostanzialmente travolti in contemporanea.

La fattispecie controversa

Un breve riassunto della vicenda contenziosa esaminata nel decreto cautelare di cui in epigrafe può essere utile al fine di comprendere le con-clusioni riassunte

Un bracciante agricolo si vedeva notificare l’ordine del Sindaco di qua-rantena/isolamento domiciliare fino al 3 aprile 2020.

L’interessato contestava l’ordine evidenziando diversi profili: il non esse-re positivo al virus, non aver avuto esse-recenti contatti con persone contagiate, di lavorare in un settore non bloccato dai provvedimenti in vigore concer-nenti le eccezionali misure anti contagio, non conoscere per quale specifica violazione della ordinanza regionale gli sia stata imposta la quarantena - isolamento domiciliare. Dal punto di vista del pregiudizio, lamentava il non poter lavorare, con conseguente rischio di licenziamento, oltre alla pre-clusione nell’attendere ad attività di stretta necessità quotidiana.

Il Presidente del Tar, adito in via cautelare monocratica, respingeva l’istanza. Con il decreto di cui in epigrafe il Consiglio di Stato confermava la statuizione negativa.

La decisione

Preliminarmente, va evidenziato come l’urgenza abbia dato vita a un cu-rioso (e pericoloso) corto circuito per cui, sia le norme che le decisioni giu-risdizionali sono frutto di attuazione attraverso la forma del “decreto”, cioè una forma in cui, rispettivamente, l’esecutivo e il singolo magistrato si so-stituiscono (in teoria solo per l’urgenza) all’organo deputato dall’ordina-mento alla decisione, cioè il legislatore e il collegio giudicante.

Passando all’esame del merito della statuizione (cfr. in senso analogo Consiglio di Stato, sezione III, decisione, 31 marzo 2020 n. 1611), che costi-tuisce l’occasione per un primo approfondimento, il Presidente della sezio-ne interessata ha affrontato in primo luogo il tema dell’impugnabilità dei decreti monocratici, non prevista dal codice del processo amministrativo.

A tal proposito nel richiamare alcuni precedenti, la decisione in esame ha ribadito la tesi (non univoca in giurisprudenza e dottrina, sul versante for-male, sebbene pienamente comprensibile in via sostanziale) l’appello di un decreto monocratico cautelare è da ritenersi ammissibile nei soli, limi-tatissimi casi in cui l’effetto del decreto presidenziale del giudice di primo grado produrrebbe la definitiva e irreversibile perdita del preteso bene della vita, e che tale “bene della vita” corrisponda a un diritto costituzional-mente tutelato dell’interessato.

Applicando tale principio al caso di specie, seppure per il limitato periodo residuo (4 giorni) di efficacia temporale del decreto sindacale impugnato in primo grado, la pretesa dell’appellante è di potersi recare al lavoro, di evita-re il rischio di licenziamento, e di evita-recarsi, con le limitazioni in vigoevita-re, a effet-tuare acquisti di beni di prima necessità. Ne consegue che la pretesa toc-ca diritti tutelati dall’ordinamento anche a livello costituzionale. Da ciò il decreto ne fa discendere l’ammissibilità dell’appello contro il decreto del Presidente del Tar.

Resta sullo sfondo l’assenza dell’appellabilità dei decreti monocratici nel-la disciplina codicistica e le diverse perplessità ancora di recente espresse, a cagione del silenzio del legislatore, sia a livello dottrinario che giurispru-denziale (cfr. ad esempio Consiglio di Stato, sezione VI, decreto 1° aprile 2019 n. 1715).

Nel merito il decreto mette in luce che il provvedimento regionale e il decreto esecutivo del Sindaco sono stati adottati in giorni caratterizzati dal pericolo concreto e imminente di un trasferimento massivo di per-sone e di contagi, dalle regioni già gravemente interessate dalla pandemia, a quelle del mezzogiorno, con la conseguenza che gli atti regionali hanno, ragionevolmente, imposto misure anche ulteriormente restrittive quale pre-venzione, tanto che, si auspica, la non massiccia diffusione di Covid-19 al L’interessato lamentava

il non poter lavorare, con conseguente rischio di licenziamento, oltre alla preclusione ad attività quotidiane

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Sud possa scontare positivamente l’effetto di tali misure. In tale quadro, lo stesso decreto evidenzia come, per la prima volta dal dopoguerra, si siano definite e applicate disposizioni fortemente compressive di diritti anche fondamentali della persona - dal libero movimento, al lavoro, alla riserva-tezza - in nome di un valore di ancor più primario e generale rango costitu-zionale, la salute pubblica, e cioè la salute della generalità dei cittadini, messa in pericolo dalla permanenza di comportamenti individuali (pur pie-namente riconosciuti in via ordinaria dall’Ordinamento, ma) potenzialmente tali da diffondere il contagio, secondo le evidenze scientifiche e le tragiche statistiche del periodo.

Sulla scorta di tali considerazioni il decreto conclude nel senso che la gravità del danno individuale non può condurre a derogare, limitare, comprimere la primaria esigenza di cautela avanzata nell’interesse della collettività, corrispondente a un interesse nazionale dell’Italia oggi non su-perabile in alcun modo. Ciò anche in quanto le conseguenze dannose per l’appellante non avrebbero il carattere della irreversibilità, giacché nelle di-sposizioni, statali e regionali, adottate e che verranno adottate a ulteriore completamento e integrazione per fronteggiare il “dopo-pandemia”, ci sono misure di tutela del posto di lavoro (oltre alla cassa integrazione), misure di soccorso emergenziale per esigenze alimentari e di prima necessità (non a caso demandate ai Comuni), tali da mitigare o comunque non rendere ir-reversibili, anche nel breve periodo, le conseguenze della doverosa stretta applicazione delle norme di restrizione anti-contagio.

La gravità del danno individuale non può condurre a derogare, limitare e comprimere la primaria esigenza di cautela avanzata nell’interesse della collettività CDS, SÌ ANNULLAMENTO ORDINANZA SINDACO DI MESSINA

Il Consiglio di Stato, con il parere della Prima sezio-ne n. 735/2020, pubblicato ieri sera, ha espresso con la massima urgenza, parere favorevole sulla proposta del Ministero dell’interno, pervenuta nella mattinata, per annullamento, in via straordinaria, dell’ordinanza del Sindaco di Messina, n.105 del 5 aprile 2020. L’ordinanza ha imposto a «Chiunque intende fare ingresso in Sicilia attraverso il Porto di Messina, sia che viaggi a piedi sia che viaggi a bor-do di un qualsiasi mezzo di trasporto» l’obbligo di registrarsi, almeno 48 ore prima della partenza,

«nel sistema di registrazione on-line www.sipas-saacondizione.comune.messina.it, fornendo una se-rie di dati identificativi e di informazioni personali, e di Attendere il rilascio da parte del Comune di Messina del Nulla Osta allo spostamento».

La Sezione ha evidenziato come l’istituto dell’an-nullamento straordinario a tutela dell’unità dell’or-dinamento evidenzia oggi una sua rinnovata attua-lità e rilevanza, proprio a fronte di fenomeni di di-mensione globale quali l’attuale emergenza sanita-ria da pandemia che affligge il Paese, al fine di garantire il razionale equilibrio tra i poteri dello

Stato e tra questi e le autonomie territoriali. Tale potere - ha ribadito la Sezione - trova la sua ragion d’essere nell’obbligo gravante sul Presidente del Consiglio dei ministri, sancito dall’art. 95 Cost., di assicurare il mantenimento dell’unità di indirizzo politico ed amministrativo, nel quadro di unità e di indivisibilità della Repubblica, di cui all’art. 5 Cost.

In presenza di emergenze di carattere nazionale - ha concluso il Consiglio di Stato - pur nel rispetto delle autonomie costituzionalmente tutelate, vi de-ve essere una gestione unitaria della crisi per evita-re che interventi evita-regionali o locali possano vanifica-re la strategia complessiva di gestione dell’emer-genza, soprattutto in casi in cui non si tratta solo di erogare aiuti o effettuare interventi ma anche di li-mitare le libertà costituzionali.

Al parere seguirà deliberazione del Consiglio dei Ministri che dovrà essere recepita con decreto del Presidente della Repubblica.

Fonte: Giustizia amministrativa - Ufficio stampa e comunicazione istituzionale - Comunicato stampa - Roma, 8 Aprile 2020

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IL COMMENTO

Consiglio di Stato - Decreto 30 marzo 2020 n. 1553