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Giulio Bizzozero

Nel documento Personaggi della Chimica Clinica (pagine 44-47)

Giulio Bizzozero (1846-1901), nato a Varese, studia medicina a Pavia dove frequenta il laboratorio di “fisiologia sperimentale”, diretto dal suo fondatore, l’illustre istologo e fisiologo Eusebio Oehl (1827-1903), e quindi il laboratorio di Patologia generale del Mantegazza. Prima della laurea, che consegue ap-pena ventenne a pieni voti (1866), pubblica 7 lavori di anatomia microscopi-ca e istologia normale e patologimicroscopi-ca. L’anno successivo, su sollecitazione del Mantegazza, nonostante le perplessità delle autorità accademiche per la sua giovane età, gli viene assegnato l’incarico di Patologia generale e la direzione del laboratorio a Pavia. Nel corso di alcuni viaggi di studio frequenta Albert Rudolf von Kölliker (1817-1905) a Würzburg e Rudolf Virchow a Berlino dove approfondisce la “fisiologia patologica” alla quale era stato introdotto dai suoi maestri, Mantegazza, Oehl, Salvatore Tommasi e Maleschott. Nel 1873, ventisettenne, vince la cattedra di Patologia generale a Torino. Istituisce un laboratorio frequentato da giovani promesse della medicina italiana fra cui Camillo Golgi (1843-1926), che riceverà il premio Nobel per la medicina nel 1906. A Torino fonda il periodico “Archivio italiano per le scienze mediche” che avrà notevole successo anche all’estero. La sua carriera procede con rapidità: a 39 anni è rettore dell’Ateneo Torinese, nel 1888 membro della prestigiosa Accademia delle Scienze di Berlino e nel 1890 senatore del Regno.

Negli ultimi anni della sua breve vita, affetto da una grave forma di co-roidite che gli impedisce il lavoro prolungato al microscopio, si occupa di igiene pubblica (1,2).

Fra i numerosi lavori di Bizzozero, due interessano da vicino la Medicina di Laboratorio: l’ideazione di uno strumento per il dosaggio dell’emoglobina (1879) (3) e la importante scoperta delle piastrine annunciata nel 1880 (4).

“Parecchi mesi or sono intendendo io di dar principio ad una serie di indagini sulle alterazioni qualitative del sangue, mi trovai nella necessità di scegliermi uno stromento per potere, con precisione e relativa rapidità, dosare l’emoglobina” ( 3 ) .

Non ritenendo adatti alle sue esigenze i metodi chimici e spettroscopici nè il

“globulimetro” di Mantegazza, che ben conosce per aver assistito alla

costru-zione e alle prove, concepisce il suo “cromo-citometro” che si basa sullo stesso principio dell’apparecchio del Mantegazza con “alcune correzioni, modificazio

-ni ed aggiunte, le quali emendassero i difetti che vi erano stati riconosciuti e che ne avevano impedito la diffusione” (3). Il sangue diluito viene osservato attraverso

una sorta di cuvetta a cammino ottico variabile, costituita da due tubi con fondo di vetro che si avvitano uno nell’altro.

“Dallo spessore che si deve dare allo strato onde ottenere un determinato effetto ottico si deduce la ricchezza emoglobinica del liquido preso in esame” (3).

L’uso dello strumento come “citometro” si realizza diluendo il sangue con cloruro di sodio (0.75%) che mantiene in sospensione i globuli rossi. “La ric

-chezza emoglobinica del sangue si deduce dallo spessore che devesi dare allo strato per poter vedere appena distinta la fiamma di una candela posta in una camera buia ad un metro e mezzo di distanza dall’istrumento (...) Quanto maggiore è lo spessore che esige, tanto minore è la ricchezza emoglobinica e viceversa (3). Per trasformare

i dati desunti dallo strumento in valori di emoglobina “ho creduto bene di limi

-tarmi ad esaminare il sangue di buon numero di giovani sani e robusti, dedurne il grado citometrico medio, e, supponendo corrisponda a quest’ultimo una quantità di emoglobina=100, servirmene per punto di partenza per assegnare la ricchezza in emoglobina agli altri gradi dell’istrumento” (3). Un grafico costruito dall’autore

permette di effettuare rapidamente il calcolo.

I risultati sono molto riproducibili e la ridotta quantità di campione ne-cessaria (10 µL) permette l’uso di sangue capillare.

Nell’utilizzo dell’apparecchio come “ c r o m o m e t r o ” i globuli rossi vengono li-sati mescolando il campione di sangue con una opportuna quantità di acqua. Il tasso di emoglobina si ricava operando come per il “ c i t o m e t r o ” con la dif-ferenza che si confronta il colore della soluzione limpida di sangue all’interno della cuvetta variabile con un vetro-campione inserito a lato dello strumento.

“Io spero che il cromocitometro, anche pel suo poco prezzo e pel suo facile ma neggio, incontrerà favore non solo nelle ricerche scientifiche, ma anche presso i medi ci pratici. Quando si consideri su quali criteri questi ultimi siano attualmente co -stretti a fondarsi per diagnosticare le anemie, non deve far meraviglia la speranza, che debba riuscire accetto un istrumento che, con così poco disturbo, permette di constatare l’esistenza dell’oligocitemia, di determinarne il grado, di tener dietro con esattezza alle modificazioni cui soggiace nel decorso della malattia, e sotto l’nfluenza della cura” (3).

Le piastrine, già notate da Hayem nel 1878 e denominate “ e m a t o b l a s t i ” perchè ritenute progenitrici dei globuli rossi, sono osservate da Bizzozero nel sangue circolante nei vasi del mesenterio delle cavie e dei conigli.

“Esaminando con un obiettivo ad immersione il contenuto di questi vasi (siano essi vene o capillari) si giunge a questo sorprendente risultato, che veramente a lato dei globuli rossi e dei bianchi

circola un terzo elemento morfologico. Esso è

rappresentato da piastrine pallidissime, a forma di disco a superficie parallele o, più di rado, di lente, ovali o rotonde; di diametro uguale ad un terzo od alla metà di quello dei globuli rossi (...) Queste piastrine si possono riconoscere anche nel sangue appena estratto, se però il preparato si fa e si assoggetta rapidamente all’esame (...) La rapida

alterazione delle piastrine può venire ritardata od impedita mescolando il sangue appena estratto con diversi liquidi. Quello di cui io mi servo di solito per la dimo strazione delle piastrine è una soluzione di cloruro sodico 0,75% colorata con vio -letto di metile” (5). Ecco una nuova scoperta ed ecco un nuovo potente mezzo

di diagnosi affidato alla Medicina di Laboratorio.

Nel 1879 Bizzozero pubblica il “Manuale di microscopia clinica con aggiunte

riguardanti gli esami chimici più utili al pratico” dove descrive fra l’altro “tutti i mezzi ed apparecchi che al giorno d’oggi si conoscono tanto per l’esame citometrico tanto per l’esame spettroscopico” e tratta anche “dell’esame dell’orina, tanto dal lato clinico, quanto dal lato microscopico”.

“Manuale indispensabile per il clinico e per il pratico anche non esercitato negli

esami microscopici, poichè da esso può avere tutte le norme necessarie per fare una buona diagnosi” (6).

Il Manuale di Laboratorio di Giulio Bizzozero. Terza Edizione (1882).

Il “cromo-citometro” di Bizzozero (1879).

Nel documento Personaggi della Chimica Clinica (pagine 44-47)

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