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Williamson ha definito «deglobalizzazione» (Aghion e Williamson 1999, 106 e 171). Nel lungo periodo, la diminuzione del volume dell’interscambio commer-ciale tra l’Europa e il resto del mondo durante il ventennio tra le due guerre si segnala come l’unico caso di un regresso continentale dall’inizio dell’industria-lizzazione (Maddison 1995, 236-237 e Maddison 2006, vol. 1, 127). In pratica, l’unico esempio fino a tempi recenti di disgregazione di quel sistema sempre più fitto di interrelazioni planetarie che abbiamo iniziato a definire globalizzazione in tempi recenti, anche se le sue radici possono essere fatte risalire ben indietro nel tempo (Sheppard 2016).

Evidentemente, l’eccezionalità dell’evento riflette anche la pressoché unica condizione dell’Europa nei decenni che ultimamente vengono definiti ‘infra-bellici’, comprendendo in un unico periodo le guerre mondiali e l’assai instabile condizione vissuta dall’Europa (e da gran parte dell’economia mondiale) tra un conflitto e l’altro. Probabilmente, uno sguardo ravvicinato alla dimensione infra-strutturale di quelle connessioni commerciali che avevano funzionato così bene prima del 1914, e così male dopo il 1919, può fornire alcuni elementi utili all’ana-lisi dei periodi di transizione peribellici come quelli armistiziali, assieme a qual-che suggerimento per l’interpretazione complessiva del periodo.

In questo senso, il punto di partenza non può che essere la cosiddetta ‘rivolu-zione dei trasporti’ di fine Ottocento, quando le interconnessioni tra linee tele-grafiche, reti ferroviarie e piroscafi di linea avevano in pratica reso percorribile (e commercialmente valorizzabile) quasi ogni angolo del pianeta che avesse un qualche valore economico. La costruzione della struttura logistica di quel siste-ma di interconnessioni fu estresiste-mamente costosa, e fu sostenuta in buona par-te da Governi inpar-teressati tanto al controllo diretto di parti sempre maggiori di territori extraeuropei quanto al loro sfruttamento economico, anche in assenza di legami coloniali diretti. La concorrenza tra Governi rese ancor più accesa la competizione, e generosi i finanziamenti indirizzati sia alla costituzione vera e propria delle infrastrutture dedicate alla mobilità commerciale, sia al loro ade-guamento tecnologico. In alcuni casi, il superamento di una soglia tecnologica fu il risultato diretto di interventi governativi, come nel caso delle dinamiche di adeguamento dei motori a turbina alle esigenze della propulsione marina. I ve-locissimi transatlantici Mauretania e Lusitania vennero varati in Gran Bretagna all’inizio del Novecento sulla base di un programma sostenuto dall’Ammiragliato britannico1, per stroncare sul nascere una iniziativa statunitense che aveva l’o-biettivo dichiarato di intaccare il predominio britannico sul traffico passeggeri nel Nord Atlantico (Gittelman 2012). Una simile azione era già stata compiuta dalla Gran Bretagna subito dopo la fine della Guerra Civile americana (Vale 1984),

1 Lo scopo iniziale dei due transatlantici (velocità prevista oltre i 24 nodi, costo superiore al milione di sterline ciascuno, sovvenzione annua di almeno 200.000 sterline) era il superamen-to in velocità delle navi tedesche sulle rotte del Nord Atlantico, con fini commerciali in tempo di pace, ma anche come garanzia per i rifornimenti in caso di guerra. Ovviamente, l’avvio della guerra sottomarina dimostrò l’inconsistenza del costoso progetto, che dopo la guerra non ven-ne ripetuto (Butler 2003, 145).

e un successivo tentativo di incrinare la supremazia britannica fu condotto con successo dalle Compagnie di navigazione tedesche, con l’apporto decisivo dei fi-nanziamenti statali (Cecil 1967). In ognuno di questi casi, uno dei risultati acqui-siti dal sistema fu il superamento di importanti barriere tecnologiche e la stabile introduzione di più efficienti innovazioni per la propulsione, la costruzione del-lo scafo e la gestione degli spazi a bordo dei transatlantici, favorendo così l’evolu-zione dell’intera struttura della mobilità commerciale internazionale. In termini più generali, l’intero processo di efficientamento delle interconnessioni globa-li fu notevolmente accelerato, rispetto al precedente periodo della navigazione meccanica, grazie agli interventi statali. Il risultato finale fu il completo rimodel-lamento degli spazi, non solo economici, all’interno dei quali l’umanità collocava sé stessa e le proprie attività (Sheppard 2012), ma anche una non disprezzabile dipendenza di quella struttura dalle fonti di extrafinanziamento che derivavano proprio dalla competizione esasperata tra le Grandi Potenze, che alla fine avrebbe portato alla prima guerra mondiale e alla catastrofe per l’intero sistema.

Nel corso del primo dopoguerra, i costi per riavviare quella complessa orga-nizzazione non vennero più sostenuti: né dalla Germania sconfitta, né dai vin-citori, che ormai non erano più stimolati dalla competizione, e nemmeno dai Paesi di recente industrializzazione, che si adeguarono allo stato delle cose senza alterarlo. La struttura portante del commercio internazionale caratteristica del-la prima globalizzazione non venne riattivata, perché non ci fu l’interesse e del-la convenienza ad alimentare ulteriormente il miglioramento tecnologico, quindi mancarono evidenti ricadute nel miglioramento della produttività e quindi della redditività dei sistemi di interconnessione.

Il risultato finale fu la stasi nel tonnellaggio della flotta mondiale e un dura-turo deprezzamento dei noli (Mitchell 2007, tab. F4 e Stopford 2009, 765-757), il blocco dell’evoluzione tecnologica nel settore marittimo e la disintegrazione del commercio internazionale (Haynes et al. 2012). In sostanza, un regresso dell’e-conomia mondiale verso forme meno globalizzate di interscambio, che sarebbe da mettere in collegamento con un controciclico innalzamento nei costi dei tra-sporti (Jacks et al. 2011).

In effetti, i trasporti furono un elemento decisivo nel rimodellare il panorama dell’economia mondiale nel corso del XIX secolo. Risalendo indietro nel tempo, a partire dalle prime forme commercialmente significative di applicazione della propulsione a vapore alla mobilità commerciale (in sostanza, dagli anni Trenta dell’Ottocento) possiamo distinguere tre periodi evolutivi.

Una prima stagione della mobilità meccanica si aprì quando le reti ferroviarie sui continenti non erano ancora complete e le rigidità della navigazione a vapore (rifornimenti di carbone, costi elevati, complessità della propulsione) la mette-vano da molti punti di vista in una condizione di inferiorità rispetto alla naviga-zione a vela. Ad ogni modo, in questo periodo emersero alcune proprietà che poi rimasero tipiche del sistema: un livello superiore di interconnessioni, la selezio-ne di una organizzazioselezio-ne reticolare e gerarchica, che oggi chiameremmo selezio-network

(ad esempio tra porti dotati di collegamento ferroviario, privilegiati rispetto ad altri che ne erano privi, oppure avevano collegamenti di qualità inferiore), ed in-fine l’esistenza di ‘time zones’ (Marjit 2007; Kikuchi 2009), ovvero l’esistenza di regioni iperconnesse, all’interno delle quali il tempo scorreva più velocemente rispetto ad altre, che quindi avevano minori potenzialità economiche.

Paul Kennedy fa risalire al 1884 la fine dell’«inexpensive maritime supre-macy» britannica e l’inizio di una aperta competizione parallelamente navale e marittima (Kennedy 1976, 178), nelle sue componenti militari e commerciali. In entrambi i casi, le variabili decisive furono un derivato delle risorse finan-ziarie impegnate dai singoli paesi coinvolti, piuttosto che differenze originate dalla tecnologia oppure da forme organizzative, in realtà entrambe largamente condivise, e per lo più di derivazione britannica, oppure sulla preparazione o la disponibilità di apparati prettamente militari.

Più o meno negli stessi anni venne completata una rete telegrafica stabilmen-te funzionanstabilmen-te esstabilmen-tesa a tutto il pianeta (le prime esperienze furono soggetstabilmen-te a frequenti guasti ed interruzioni), un sistema ferroviario efficiente anche al di fuori dell’Europa e una completa sincronizzazione del sistema della mobilità (te-legrafi, treni, piroscafi) con l’introduzione del tempo universale e dei fusi orari (Bartky 2007). Contemporaneamente, in Europa e Nord America, prendeva il suo pieno avvio la seconda rivoluzione industriale, in gran parte basata su materie prime non disponibili localmente (petrolio, gomma, rame, ecc.) che quindi do-vevano essere trasportate dall’esterno. In campo marittimo, l’affermazione della navigazione di linea creava una intera gamma di nuove opportunità (con la di-minuzione dei prezzi dei trasporti), ma anche tutta una nuova serie di problemi, soprattutto di natura organizzativa e logistica, in maniera tale da prevedere in anticipo i flussi dei carichi ed evitare così che le navi viaggiassero vuote. Era que-sto il secondo periodo, contrassegnato dalla sincronizzazione tra i diversi sistemi di trasporto e dalle prime forme assimilabili alla moderna logistica della movi-mentazione commerciale.

Il terzo periodo, dopo la Prima guerra mondiale, ha visto una improvvisa caduta d’interesse per quelle che nell’anteguerra erano state le componenti più dinamiche del sistema internazionale della mobilità: le nazioni che avevano messo in discussione le gerarchie internazionali erano state sconfitte, pressoché annullando i rischi di una competizione nella divisione delle risorse. La guerra aveva lasciato una sovrabbondanza di mezzi tecnici (navi, infrastrutture a terra, potenziale produttivo della navalmeccanica) che non poneva problemi di quan-tità, e non sembrava urgente preoccuparsi della qualità, mentre le potenzialità organizzative del sistema erano state spinte proprio con la guerra al massimo possibile, quindi non sembrava necessario migliorarle. Il risultato finale fu una stasi pressoché completa.

Un mercato debole (tutta l’Europa uscì impoverita dalla guerra) e uno scar-so interesse da parte dei Governi crearono nello stesscar-so tempo instabilità nella domanda di trasporto, estrema incertezza nella redditività delle aziende, scarsa

attrattiva per investimenti privati e insufficiente sostegno pubblico: un circolo vizioso che impedì al sistema di incorporare nuove tecnologie (peraltro già esi-stenti) in modo da guadagnare produttività, di evolvere verso stadi più avanzati di efficienza e di contenere i costi abbassando i prezzi per gli operatori, così da stimolare la domanda (oppure di generarne di nuova) e di alimentare un favore-vole circuito di capitali. Tutte cose che mancavano negli anni Venti e Trenta, ma che erano state ben presenti nel periodo precedente, essendo in sostanza le forze trainanti della crescita negli anni della ‘rivoluzione dei trasporti’, quando l’ele-mento schumpeterianamente decisivo, l’evoluzione tecnologica, venne di fatto finanziato dagli interventi statali.

2. La mobilità commerciale marittima prima della Grande guerra

L’imperialismo europeo, che fin dall’epoca delle scoperte geografiche non pote-va essere distinto dalla superiorità marittima del vecchio Continente, nella sua versione britannica, ed ottocentesca, si era evoluto di pari passo con l’affermarsi della navigazione a vapore, che di fatto dava al Regno Unito (e ad altre nazioni solo verso la fine del secolo) il monopolio dei collegamenti marittimi a lunga di-stanza, sia in campo militare che nella navigazione commerciale (Kubicek 2004). La sicurezza nei collegamenti commerciali che soltanto la navigazione a va-pore poteva garantire, perché indipendente dalle condizioni atmosferiche, al contrario della vela, divennero un supporto sempre più importante alle spinte espansionistiche e “imperiali” di tutti i Paesi industrializzati, compresi Stati Uniti e Giappone (Paine 2013, 408 e ss.), tanto da trasformare le Compagnie di navigazione più importanti in entità economico-giuridiche di una forma inso-lita e molto particolare: società del tutto private, ma fortemente finanziate dallo Stato al fine di garantire servizi di pubblica utilità, che venivano svolti in gran parte al di fuori dei confini nazionali, e molto spesso in acque internazionali uf-ficialmente non sottoposte ad alcuna sovranità. In altre parole, la riconosciuta Legge marittima, che identificava come suolo nazionale anche la superficie delle navi in mare aperto o in porti stranieri2, dai suoi originali intendimenti difensivi (garantire l’equipaggio, il carico e i passeggeri da interferenze esterne) era di fat-to diventata il retroterra giuridico per utilizzare le navi a vapore come strumenfat-to d’espansione, all’interno di una competizione internazionale per la conquista (e la difesa) di aree commerciali privilegiate, dove il controllo della navigazione a vapore di linea poteva garantire la supremazia commerciale anche su mercati formalmente indipendenti dal punto di vista politico, come nel caso dell’America latina (Parkin 1894).

2 A partire dall’età postnapoleonica vennero normate in forma moderna una serie di consue-tudini estremamente antiche, che all’inizio del XVII secolo erano state riformulate sulla base del ‘diritto naturale’ da Ugo Grozio (Yang 2006, 16-19).

Quella connettibilità commerciale di livello superiore, garantita dalle navi a vapore moderne, organizzate in regolari servizi di linea, di fatto non era più una estensione semiautonoma dei sistemi economico-politici nazionali, ma una loro componente fondamentale, perché creava di fatto una asimmetria nei rapporti economici anche per spazi in precedenza neutri, sia dal punto di vista economi-co che politieconomi-co (Arrighi 2010), alimentando di fatto la crescita soprattutto delle economie più sviluppate.

Nel campo della mobilità commerciale a lunga distanza, gli inizi di un inter-vento statale sistematico in pratica coincisero con la nascita della navigazione moderna, a partire dalla Gran Bretagna che per prima stabilì contemporanea-mente gli standard tecnologici, i modelli organizzativi del business e le sue for-me di istituzionalizzazione, compresi i forti legami con i finanziafor-menti statali3.

Va sottolineato il fatto che, negli anni nei quali prese forma quel particolare connubio pubblico-privato, in pratica la Marina mercantile britannica non aves-se rivali dal punto di vista commerciale. Verso la metà del XIX aves-secolo nessun’altra nazione aveva né le capacità né la necessità di dotarsi di una flotta mercantile ampia e avanzata tecnologicamente quanto quella britannica. La corsa al domi-nio dei mari fu quindi preventiva, con l’esplicito intento di occupare gli spazi e le opportunità resi disponibili dalla navigazione meccanica, escludendone gli altri.

Nel 1840, Samuel Cunard e i suoi soci fondarono la British and North American

Royal Mail Steam Packet Company (più tardi conosciuta come Cunard Line)

gra-zie a sussidi ricevuti dall’Ammiragliato (Fayle 1933, 230), e pochi anni dopo la

Peninsular & Oriental riuscì a sviluppare i suoi servizi verso l’Oceano Pacifico e

l’India grazie a finanziamenti pubblici che sistematicamente ripianavano i suoi deficit d’esercizio (Harcourt 2006, 193).

Nei decenni successivi la pratica dei sussidi divenne continua e diffusa pres-soché in tutti i Paesi industrializzati (Meeker 1905), e rappresentò il retroterra per una spettacolare evoluzione dell’economia internazionale, quando il costo medio dei trasporti marittimi calò del 50% tra il 1870 ed il 1913, mentre negli stessi anni il commercio internazionale aumentava del 400% (Jacks e Pendakur 2010).

L’attenzione rivolta alla ricerca delle determinanti della produttività totale dei fattori si è spesso ristretta ai movimenti osservabili all’interno del sistema dei trasporti, escludendo per principio che il commercio internazionale, ed i suoi vettori, costituissero anche elementi importanti della politica internazionale, in

3 Collocandosi cronologicamente tra l’abolizione delle Navigation Laws (1849) e la estromis-sione dall’India della East India Company (1858), nel 1853 uno speciale Comitato istituito all’in-terno del Parlamento britannico discusse una nuova normativa «to afford us rapid, frequent, and punctual communications with distant ports which feed the main arteries of British com-merce, and with the most important of our foreign possessions; to foster maritime enterprise; and to encourage the production of a superior class of vessels, which would promote the con-venience and wealth of the country in time of peace, and assist in defending its shores against hostile aggression». Da quel momento, e con quelle finalità, viene fatta iniziare la moderna storia dei sussidi pubblici alla navigazione (Bacon 1911).

due modi diversi prima e dopo la Grande guerra (Shah Mohammed e Williamson 2003).

Le valutazioni relative alle continuità e discontinuità di lungo periodo nel campo della globalizzazione economica mancano quindi di considerare un ele-mento fondamentale dei contesti all’interno dei quali quel processo si è sviluppa-to. La storiografia, infatti, si è concentrata soprattutto sugli elementi che vennero intenzionalmente concepiti come strumenti operativi dedicati all’economia in-ternazionale (il Gold Standard, i trattati commerciali, le convenzioni internazio-nali e simili) mentre, nel caso della navigazione, la questione ruota attorno agli effetti complessivamente globalizzanti di un cumulo di provvedimenti che ogni Stato assunse prevalentemente sulla base di considerazioni di politica interna, anche se diretti al settore della propria economia più proiettato verso le dimen-sioni internazionali (Miller 2012).

Ciò che conta, dal nostro punto di vista, rimane comunque il panorama com-plessivo, dove risulta possibile apprezzare da un lato l’importanza degli stimoli propulsivi del protezionismo marittimo prima della guerra, e dall’altro le diffi-coltà prodotte dalla loro riduzione negli anni Venti e Trenta. Da questo punto di vista, il periodo a cavallo tra Ottocento e Novecento potrebbe essere rubricato come caratterizzato dalla emersione della ‘mobilità sincronizzata’, per sottoline-are le potenti sinergie che presero corpo con la sincronizzazione dei servizi di linea dei piroscafi sui mari, le reti ferroviarie sui continenti e la quasi istantanea trasmissibilità delle informazioni grazie al telegrafo. Quella sincronizzazione fece emergere nuove proprietà all’interno del sistema commerciale internazio-nale: la sovranità economica (definibile come l’insieme degli spazi commerciali controllati da un Paese, anche al di fuori dei suoi confini nazionali o imperiali), la crescente importanza della dimensione verticale (ovvero organizzativa e qualita-tiva) della mobilità, e la ricerca da parte degli Stati più forti di una egemonia sui flussi del commercio, delle emigrazioni internazionali e nella trasmissione delle informazioni, in maniera tale da poterne controllare la componente economica-mente più pregiata e geostrategicaeconomica-mente più importante (Headrick 1988, 19-48). Soprattutto in quest’ultima fase, l’importanza assegnata agli obiettivi rag-giungibili grazie al pieno sviluppo di un efficiente sistema nazionale dedicato alla mobilità sincronizzata rese l’appoggio che i singoli Stati diedero ai loro ope-ratori marittimi costante e significativo, anche da punti di vista diversi rispet-to al semplice aiurispet-to finanziario (con esenzioni doganali, privilegi d’accesso alle risorse, trattamenti di favore riservati alle navi nazionali rispetto a quelle stra-niere, ecc.) ed in netto contrasto con l’ufficiale liberismo doganale, oppure con i trattati commerciali basati sul principio della ‘nazione più favorita’ (Kirkaldy 1919, 307-336; Dunmore 1907; Bunker e Ciccantell 2005).

Negli ultimi decenni dell’Ottocento, gli aspetti più maturi dell’imperialismo prevedevano sia forme strutturate ed istituzionalizzate di subordinazione, sia forme ‘relazionali’, meno sistematizzate ma non meno efficaci nel legare in ma-niera diseguale le sorti di colonizzati e colonizzatori (Cain e Hopkins 2014, 204).

Questa seconda forma di imperialismo è stata considerata come diretta conse-guenza della nuova organizzazione dei trasporti marittimi (Kubicek 2004), che consentiva non solo velocità ed economicità, ma soprattutto prevedibilità e sicu-rezza nei collegamenti, due dimensioni particolarmente sincrone con le aspira-zioni di controllo planetario degli Imperi eurocentrici.

D’altra parte, anche il comparto della mobilità commerciale aveva esigenze più complesse della semplice integrazione dei propri redditi grazie ai sussidi pubblici. Infatti, se è da un lato vero che in Gran Bretagna non ci furono grandi discriminazioni di bandiera, e la quota di finanziamenti pubblici al settore ma-rittimo fu, in termini monetari ed aggregati, relativamente inferiore rispetto ad altri Paesi (Pollard 1998), è altrettanto vero che proprio quei finanziamenti in-tervennero chirurgicamente in alcuni momenti significativi, rafforzando alcune debolezze critiche di un settore che in fondo appoggiava tutta la sua capacità di produrre reddito sulla domanda indotta, e quindi era molto più esposto di altri agli sbalzi del mercato.

In realtà, nell’età contemporanea gli Stati hanno iniziato a considerare l’inno-vazione del sistema economico nazionale come una necessaria estensione delle proprie funzioni (Millward 2013), a partire dalla costruzione delle infrastruttu-re materiali per garantiinfrastruttu-re la mobilità dei fattori, per occuparsi poi di un esteso ventaglio di attività, spesso poco avvertibili perché non costituirono un sostegno diretto all’economia o alle imprese, quanto piuttosto una garanzia contro diverse forme di rischio, oppure in generale una sicurezza di ultima istanza (non neces-sariamente esplicita) nei confronti dell’incertezza sugli andamenti del mercato e della aleatorietà della domanda. Il tutto ha reso per le imprese marittime non soltanto più facile (e redditizio) innovare, ma anche molto più sicuro e conve-niente l’accesso al credito e l’attrattività nei confronti di capitali alla ricerca di investimenti (Mazzucato 2015, 63-78).

Nell’ultimo decennio dell’Ottocento, per motivi diversi, i governi di Stati Uniti e Germania si impegnarono in progetti che in entrambi i casi avevano come scopo la sfida all’oligopolio britannocentrico della mobilità commerciale marittima. Da parte degli Stati Uniti, fu Theodore Roosevelt a dare l’avvio ad una complessa operazione al fine di recuperare il ritardo accumulato: si andava dalla costituzione di una nuova Accademia navale a una riforma della marina da guer-ra, per arrivare a una nuova concezione del ruolo svolto dalla marina mercantile, con lo scopo di creare le condizioni per un riposizionamento degli Stati Uniti sullo scenario internazionale4.

In seguito, il tentativo statunitense avrebbe assunto una struttura più artico-lata, rendendo palese la concorrenza con le Compagnie di navigazione

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