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4. La compatibilità tra misure di prevenzione e sistema costituzionale: alla (difficile) ricerca di un equilibrio.

4.1. La giurisprudenza costituzionale.

La Corte Costituzionale è stata più volte chiamata a pronunciarsi sulla compatibilità con la Costituzione delle misure di prevenzione, assumendo un atteggiamento orientato ad affermare, prima, e a ribadire, poi, la legittimità delle misure preventive personali, correggendone però le più vistose storture in modo da attenuarne il possibili conflitto con la Carta Costituzionale30.

Sin a partire dalla fondamentale sentenza n. 2 del 1956, la Corte, oltre a fornire preziose indicazioni interpretative, ha delineato i punti fermi cui la disciplina è improntata: la necessità che i provvedimenti siano fondati su fatti e non su sospetti, l’obbligo di motivazione, l’operatività del diritto di difesa.

29 BALSAMO, Le misure di prevenzione patrimoniali come modello di “processo al patrimonio”. Il rapporto con le misure di prevenzione personali, in BALSAMO-CONTRAFATTO-NICASTRO, Le misure

patrimoniali contro la criminalità organizzata, Milano, 2010. L’autore individua quale strumento

imprescindibile a fini della tutela del diritto di iniziativa economica a salvaguardia del mercato concorrenziale il contrasto al potere economico della criminalità organizzata, la cui infiltrazione nel tessuto dell’economia sana produce un fortissimo effetto distorsivo. Ravvisa nell’art. 41 Cost. il fondamento di una disciplina intesa ad assicurare ragionevoli aggressioni di patrimoni illeciti la cui disponibilità spesso costituisce fattore di inquinamento e di alterazione dei meccanismi economici, GAROFOLI, Manuale di diritto penale, Roma, 2012.

48 Con la stessa sentenza31, la Corte aveva altresì da subito fissato una netta linea di demarcazione tra le misure limitative della libertà personale, applicabili nei casi previsti dalla legge solo dall’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 13 Cost (e in casi di necessità e urgenza dall’autorità di pubblica sicurezza, con convalida da parte dell’autorità giudiziaria entro termini perentori) e misure limitative della libertà di circolazione, applicabili nei casi previsti dalla legge, comprese le esigenze di pubblica sicurezza, dall’autorità amministrativa. La questione sulla legittimità costituzionale delle misure di prevenzione personali viene nuovamente affrontata a distanza di tre anni rispetto alla pronuncia da ultima citata, ove la Corte ribadisce come “l’ordinato e pacifico svolgimento dei rapporti sociali deve essere garantito , oltre che dal sistema di norma repressive dei fatti illeciti, anche da un sistema di misure preventive contro il pericolo del loro verificarsi in avvenire: sistema che corrisponde a una esigenza fondamentale di ogni ordinamento, accolta e riconosciuta negli artt. 13, 16, 17 e 25 c. 3° della Costituzione”32.

Il principio in questione è stato a più riprese ribadito nelle sentenza successive, univocamente orientate a confermare la legittimità delle misure preventive, le cui differenze rispetto alle pene in senso in stretto e alle misure di sicurezza sono state progressivamente messe in luce.

La Corte ha precisato come i criteri cui l’operato del legislatore doveva ispirarsi, in hac materia, dovessero essere diversi da quelli utilizzati in sede di redazione delle fattispecie penali, facendo “riferimento anche ad elementi presuntivi, sempre corrispondenti però a comportamenti obiettivamente identificabili. Il che non vuol dire

31 Si tratta della pronuncia che spingerà il legislatore a disciplinare la materia con la

legge n. 1423/1956.

49 minor rigore, ma diverso rigore nella previsione e nell’adozione delle misure di prevenzione, rispetto alla previsione dei reati e all’irrogazione delle pene”33.

L’impossibilità di applicare le misure sulla base del mero sospetto, correlata alla necessità di “un’oggettiva valutazione dei fatti in modo da escludere valutazioni puramente soggettive incontrollabili da parte di chi promuove o applica misure di prevenzione”, sono stati nuovamente ribaditi con la sentenza n. 113 del 21.05.1975.34

Una prima manifestazione di un punto di rottura è segnato dalla sentenza n. 177 del 1980, con la quale si dichiarava illegittimo l’art. 1, n. 3 della legge n. 1423/56, nella parte in cui indicava “coloro che, per le manifestazioni cui abbiano dato luogo, diano fondato motivo di ritenere che siano proclivi a delinquere” tra i soggetti destinatari di una delle misure di prevenzione contemplate dalla stessa legge, per violazione del principio di legalità di cui al combinato disposto degli artt. 13 e 25 c. 3° Cost. Tale sentenza ha riconosciuto come “la legittimità costituzionale delle misure di prevenzione – in quanto limitative, a diversi gradi di intensità, della libertà personale – è necessariamente subordinata all’osservanza del principio di legalità e all’esistenza della garanzia giurisdizionale. Si tratta di due requisiti essenziali ed intimamente connessi, perché la mancanza dell’uno vanifica l’altro, rendendolo meramente illusorio”.

Dunque, principio di legalità e garanzia giurisdizionale diventano paletti inamovibili: il primo, “lo si ancori all’art. 13 ovvero all’art. 25c. 3° Cost, implica che l’applicazione della misura, ancorché legata, nella maggioranza dei casi, ad un giudizio prognostico, trovi il presupposto necessario in fattispecie di pericolosità previste dalla legge”; il secondo, cioè le garanzie giurisdizionali, è strettamente correlato al primo, in

33 Corte Cost., sentenza 23 marzo 1964, n. 23.

34 Questa Corte ha già riconosciuto, in numerose decisioni, la piena compatibilità

delle misure in esame con i principi stabiliti dagli artt. 3 e 13 Cost. (si vedano le sentenze n. 23 del 1964, 68 del 1964 e n. 32 del 1969)”.

50 quanto “l’intervento del giudice (e la presenza della difesa, la cui necessità è stata affermata senza riserve) nel procedimento per l’applicazione delle misure di prevenzione non avrebbe significato sostanziale se non fosse preordinato a garantire, nel contraddittorio tra le parti, l’accertamento di fattispecie legali predeterminate”35.

Ne discende il rifiuto della misura di prevenzione come conseguenza di un semplice sospetto, richiedendosi “una oggettiva valutazione dei fatti da cui risulti la pericolosità della persona in modo da escludere valutazioni puramente soggettive e incontrollabili da parte di chi promuove o applica le misure di prevenzione”36. La dichiarazione di illegittimità costituzionale della categoria dei proclivi a delinquere viene agganciata proprio ad una violazione del parametro da ultimo menzionato; scrive acutamente la Corte in motivazione “quali manifestazioni vengano in rilievo è rimesso al giudice (e, prima di lui, al pubblico ministero ed alla autorità di polizia proponenti e segnalanti) già sul piano della definizione della fattispecie, prima che su quello dell’accertamento. I presupposti del giudizio di ‘proclività a delinquere’ non hanno qui alcuna autonomia concettuale dal giudizio stesso. La formula legale non svolge, pertanto, la funzione di un’autentica fattispecie, di individuazione, cioè del caso (come vogliono sia l’art. 13 che l’art. 25 c. 3° Cost), ma offre agli operatori uno spazio di incontrollabile discrezionalità”37.

Proprio sulla base di tali indicazioni, il legislatore è intervenuto sulla descrizione delle categorie soggettive suscettibili di proposizione per l’applicazione di una misura di prevenzione, muovendosi nel senso di aumentare il quantum di tipicità della fattispecie di pericolosità ante delictum, abolendo le originarie categorie degli oziosi e vagabondi e quella dei soggetti abitualmente dediti ad attività contrarie alla morale pubblica e al buon

35 Corte Cost., 22 dicembre 1980, n. 177. 36 Corte Cost., sent. ult. cit.

51 costume.38 I principi enunciati dalla giurisprudenza costituzionale possono, dunque, così riassumersi: a) rispetto del principio di legalità e di tutela giurisdizionale nei confronti dei provvedimenti adottati in materia di misure di prevenzione; b) esigenza di una formulazione legislativa, idonea, nella descrizione delle fattispecie rilevanti ai fini delle misure di prevenzione, a consentire l’individuazione precisa ed inequivoca delle condotte la cui accertata sussistenza conduce al giudizio prognostico sulla pericolosità sociale del soggetto proposto; c) necessità che la decisione sulla concreta applicazione delle misure sia adottata da un giudice in esito ad un procedimento che garantisca, nel contraddittorio delle parti, un obiettivo accertamento delle “fattispecie di pericolosità” normativamente predeterminate.

5. La giurisdizionalizzazione del procedimento per l’applicazione