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Giurisprudenza Italiana : Il software “Pirata”

7. Tutela del diritto d’autore nella società dell’informazione (INTERNET).

3.4 Giurisprudenza Italiana : Il software “Pirata”

Sono anni che si discute se sia o meno opportuno ed equo che l’utilizzo non autorizzato di software costituisca reato come, attualmente, previsto dalla disciplina italiana sul diritto d’autore34.

Da una parte quanti hanno sempre sostenuto che si tratterebbe di un approccio eccessivo ed incongruo rispetto ai diritti tutelati e da una parte quanti – naturalmente capitanati dalle software house italiane e

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cfr: Antonio Piva, David D’Agostini – La tutela giuridica dei programmi per elaboratore – (2003), Mondo Digitale n. 1, pag. 67. , R. M. Stallman – Software libero, pensiero libero – (2003), Stampa Alternativa, (volume primo) pagg. 155 – 157. , Linus Torvalds, David Diamond –

Rivoluzionario per caso – (2001), Garzanti Editore, pagg. 118 –120., Bianca Maria Gutierrez – La tutela del diritto d’autore – (2000), Giuffrè Editore

straniere – si dicono convinti che l’esistenza di una sanzione penale sia un deterrente irrinunciabile per la tutela del mercato del software. La disciplina della materia , è stata investita negli anni di importanti interpretazioni e rivisitazioni ad opera dei giudici.

La sintesi delle conclusioni cui la giurisprudenza italiana è pervenuta in materia di software “pirata” scaricato da internet è questa :

“Il professionista che detiene ed utilizza, nell’ambito della propria attività professionale software senza licenza, certamente non commette reato e , forse, non lo commette neppure se prima di utilizzarlo e detenerlo lo ha autonomamente – e soprattutto

abusivamente duplicato”35.

La Corte di Cassazione ha , ormai da tempo36 , chiarito che l’art. 171

bis della Legge sul diritto d’autore, richiede, ai fini della configurabilità del reato, che la detenzione, distribuzione o vendita di software avvenga “ a scopo commerciale o imprenditoriale”.

L’attività professionale, secondo i Giudici della Cassazione, non è assimilabile ad attività imprenditoriale o commerciale con la conseguenza che se la detenzione si consuma in ambito professionale non può esservi reato.

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Guido Scorza , articolo tratto dalla rivista Win Magazine n. 165, Maggio 2012

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Il legislatore, secondo i Giudici della Corte Suprema, infatti, non avrebbe sottratto dalla fattispecie di reato la sola detenzione “ a scopo personale” come spesso sostenuto da Giudici e commentatori ma , al contrario, avrebbe stabilito che solo la detenzione a scopo commerciale o imprenditoriale costituisce reato, ritenendo quest’ultima, evidentemente, una condotta più grave delle tante altre astrattamente verificabili, tra le quali , appunto , la detenzione nell’ambito di un’attività professionale.

Secondo la Corte, “ e’ erroneo equiparare l’utilizzo in una attività libero professionale ad un’attività imprenditoriale solo perché il primo utilizzo non potrebbe essere equiparato a quello meramente privato”.

Questo assunto si fonda su un presupposto che non corrisponde assolutamente alla realtà, ossia che il legislatore abbia stabilito che esistono solo tre categorie di utilizzi: quello commerciale, quello imprenditoriale e quello meramente privato, con la conseguenza che tutti gli utilizzi che non siano meramente privati debbano necessariamente essere fatti rientrare in una delle altre due categorie.

La realtà invece è – come risulta dalla lettera e della ratiod della disposizione – che il legislatore, tra tutti gli innumerevoli utilizzi

possibili, ne ha individuati due (commerciale ed imprenditoriale) che ha ritenuto meritevoli di sanzione penale.

A tutti gli altri utilizzi che non rientrano in una di queste due categorie, ovviamente la sanzione non sarà applicabile.

La ratio sembra, quindi, quella non tanto di discriminare tra professionisti e imprenditori/commercianti sotto il profilo soggettivo, quanto invece quella di distinguere le duplicazioni come “mezzo” da quelle come “fine”.

Così si potrebbe distinguere tra professionisti (e imprese) che non fanno commercio di programmi duplicati ed imprese, invece, che lo fanno, come se fosse una sorta di “oggetto sociale”… La norma non è di certo formulata con chiarezza, ma se davvero rilevasse solo il profilo soggettivo del soggetto che delinque, si avrebbero due incongruenze:

1) il reato, a questo punto, sarebbe proprio poichè potrebbe essere commesso solo da un imprenditore/commerciante e da nessun altro: questo è chiaramente contro la lettera della legge che configura il reato come comune, poiché può essere commesso da “chiunque”;

2)si avrebbe una disparità di trattamento non giustificata (e per ciò di probabile rilievo costituzionale) tra il professionista che detiene il

programma di Office e l’impresa (che non commercia in CD “sbollinati”…) che detiene egualmente Office solo per la contabilità, la corrispondenza etc….; insomma, usando il programma allo stesso scopo per cui lo usa il professionista, ma con conseguenze assai diverse: il primo infatti, andrebbe esente da responsabilità penale, mentre il secondo invece no, nonostante entrambi pongano in essere la stessa condotta per la stessa finalità37.

Nei mesi scorsi, a questa posizione della Cassazione, se n’è aggiunta un’altra che ha ulteriormente alleggerito la posizione dei professionisti che utilizzando software senza licenza nell’ambito dei propri studi.

Il Tribunale di Bologna, infatti, con una Sentenza del 3 giugno 2011, ha stabilito che non costituisce reato non solo la detenzione ma neppure “l’abusiva duplicazione dei programmi per elaboratore da parte di un professionista”.

Si tratta di una tesi nuova che si tradurrebbe in una sostanziale impunità per i professionisti – ma anche quindi anche per i privati – che duplicano abusivamente software.

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Andrea Buti , Software pirata e professionisti , http://dirittodigitale.com/software-pirata-e- professionisti/

In realtà, l’art. 171 bis della legge sul diritto d’autore richiede, affinché la detenzione di software costituisca reato, che la stessa avvenga “ a scopo commerciale o imprenditoriale”, mentre non prevede che debbano ricorrere i medesimi presupposti perché sussista il reato di abusiva duplicazione di software.

3.5 Equilibrio tra limitazione della libertà e libertà