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GLI INTERMEDIARI CREDITIZI E GLI INVESTITORI ISTITUZIONALI

Nel documento Relazione annuale (pagine 178-193)

L’ECONOMIA ITALIANA

13. GLI INTERMEDIARI CREDITIZI E GLI INVESTITORI ISTITUZIONALI

Nel 2017 la situazione economica e patrimoniale delle banche si è rafforzata. La consistenza dei crediti deteriorati si è notevolmente ridotta sia in seguito alle numerose operazioni di cessione di sofferenze, sia per la riduzione delle nuove insolvenze, che, valutate in rapporto ai prestiti, sono tornate sui livelli antecedenti la crisi finanziaria globale.

Le condizioni monetarie espansive hanno contribuito a ridurre il costo della provvista, sceso su valori molto bassi nel confronto storico. L’incremento dei depositi da clientela ha quasi compensato il calo della raccolta obbligazionaria al dettaglio; la particolare convenienza delle operazioni di rifinanziamento presso l’Eurosistema ha consentito di diminuire la provvista interbancaria.

La riduzione delle rettifiche sui crediti deteriorati ha determinato un forte aumento degli utili, al quale ha contribuito anche il calo dei costi operativi. Il recupero di redditività e i cospicui aumenti di capitale hanno notevolmente limitato il divario di patrimonializzazione tra le principali banche italiane ed europee. Il rafforzamento del capitale nel 2017 è stato il più rilevante dell’ultimo decennio.

Nel corso dell’anno sono state risolte le situazioni di difficoltà di alcuni gruppi bancari. Banca Monte dei Paschi di Siena ha avuto accesso alla ricapitalizzazione precauzionale; Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza sono state poste in liquidazione; si è perfezionata la cessione delle banche ponte costituite a seguito della risoluzione, alla fine del 2015, di quattro intermediari locali.

Le agevolazioni fiscali introdotte con la normativa sui piani individuali di risparmio hanno determinato un forte aumento dell’afflusso di risorse verso i fondi comuni. Sono cresciuti anche gli utili delle società di gestione. La redditività delle compagnie assicurative si è mantenuta stabile nonostante il modesto calo della raccolta.

La struttura dell’industria bancaria italiana

Alla fine del 2017 erano attive in Italia 113 banche incluse in 60 gruppi bancari, 347 banche non appartenenti a gruppi e 78 filiali di banche estere. I gruppi bancari classificati come significativi nell’ambito del Meccanismo di vigilanza unico europeo (Single Supervisory Mechanism, SSM) erano 11 – 3 in meno rispetto al 2016 – a seguito della fusione tra 2 ex banche popolari di grande dimensione e dell’uscita dal mercato di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Ai gruppi significativi era riconducibile il 74 per cento del totale delle attività degli intermediari italiani.

Le banche di credito cooperativo – attualmente interessate da una riforma del settore (cfr. il riquadro: La riforma del credito cooperativo) – rimangono la categoria più numerosa (280 unità) tra le banche non appartenenti a gruppi, seguita dalle società per azioni (52) e dalle banche popolari (15). A marzo del 2018 la Corte costituzionale ha ritenuto infondate le questioni di costituzionalità sollevate in merito ad alcuni aspetti della riforma delle banche popolari.

LA RIFORMA DEL CREDITO COOPERATIVO

A seguito della riforma del credito cooperativo varata con la L. 49/2016, ICCREA, Cassa Centrale Banca e Cassa Centrale Raiffeisen dell’Alto Adige hanno

presentato istanza per divenire capogruppo di tre gruppi bancari cooperativi1. Entro

90 giorni dal rilascio delle autorizzazioni da parte delle autorità di vigilanza, le assemblee delle singole banche di credito cooperativo (BCC) dovranno deliberare la definitiva adesione al gruppo cooperativo prescelto e la firma del contratto di coesione.

Sulla base delle intenzioni finora manifestate, 144 BCC aderiranno al gruppo ICCREA, 95 a quello Cassa Centrale Banca e 39 al gruppo Cassa Centrale Raiffeisen dell’Alto Adige. Una volta completato il processo di costituzione, la struttura del sistema bancario italiano si modificherà in modo rilevante; questo sarà infatti composto da 52 gruppi (inclusi i tre cooperativi) e 67 banche non appartenenti a gruppi (a fronte di 60 gruppi e 347 banche operanti alla fine dello scorso anno). Il gruppo Cassa Centrale Banca avrà un attivo di bilancio consolidato superiore a 30 miliardi e sarà classificato, insieme al gruppo ICCREA che già supera questa soglia, tra quelli sottoposti alla vigilanza diretta della Banca centrale europea; il gruppo Cassa Centrale Raiffeisen dell’Alto Adige sarà vigilato dalla Banca d’Italia.

Considerando i dati di fine 2017 i gruppi ICCREA e Cassa Centrale Banca, che opereranno sull’intero territorio nazionale, diverranno nell’ordine il sesto e il decimo gruppo bancario italiano per quota di mercato dei prestiti (5,3 e 2,7 per cento rispettivamente). Il gruppo cooperativo provinciale Cassa Centrale Raffeisen dell’Alto Adige, a fronte di una quota del mercato nazionale dei prestiti pari allo 0,6 per cento, risulterà tra i principali istituti di credito della regione Trentino-Alto Adige (22 per cento dei prestiti).

La riforma del credito cooperativo permetterà alle singole BCC di rafforzare il capitale nella misura e con la rapidità imposte dalla regolamentazione e dalle condizioni di mercato, pur mantenendo le caratteristiche mutualistiche tipiche del comparto. Tra il 2007 e il 2017 il grado di patrimonializzazione delle BCC ha risentito dei bassi flussi di autofinanziamento e dell’impossibilità di accedere al mercato dei capitali.

I sistemi di garanzia solidale previsti dai contratti di coesione e il ricorso alle risorse patrimoniali che il gruppo di appartenenza potrà raccogliere sul mercato

1 Per una descrizione delle previsioni della riforma del credito cooperativo, cfr. il riquadro: La recente riforma

consentiranno di gestire eventuali situazioni di difficoltà. In assenza del gruppo e dei sistemi di garanzia, in caso di crisi una BCC dovrebbe essere liquidata, con possibili perdite anche per i depositanti non protetti. La creazione dei gruppi permetterà inoltre di affrontare con più efficacia le sfide legate al progresso tecnologico, all’aumento della concorrenza, all’evoluzione del quadro di vigilanza europeo.

In Italia gli attivi delle banche rappresentano poco meno del 70 per cento di quelli del settore finanziario, una quota simile a quella degli altri principali paesi europei. La dimensione del settore bancario italiano rispetto all’economia è tuttavia più contenuta: alla fine del 2017 gli attivi delle banche erano pari a 2,2 volte il PIL, a fronte del 2,7 per cento dell’area dell’euro, del 2,4 della Germania e del 3,7 della Francia.

Le banche italiane hanno continuato a riorganizzare le modalità con cui offrono i propri servizi alla clientela. Nel corso del 2017 il numero di sportelli bancari è diminuito del 5,7 per cento (del 19,9 dal 2008), a circa 27.300 unità. Secondo le informazioni contenute nei piani industriali dei gruppi significativi, nel 2018 si avrebbe una riduzione di entità analoga. In Italia il numero medio di sportelli bancari ogni 10.000 abitanti, pari a 4,8 nel 2016, è superiore alla media dell’area dell’euro

(4,4), ma inferiore ai valori di Francia (5,6) e Spagna (6,2)1.

I primi cinque gruppi bancari hanno intrapreso da tempo un percorso di razionalizzazione della presenza territoriale eliminando le sovrapposizioni di sportelli che si erano generate in seguito alle aggregazioni bancarie avvenute nel periodo appena precedente la crisi finanziaria. Tra il 2009 e il 2013 circa l’88 per cento delle chiusure degli sportelli è stato effettuato in comuni in cui erano presenti altri sportelli dello stesso gruppo; in seguito, tra il 2014 e il 2017, questa quota è scesa al 67 per cento. Le altre banche hanno ridotto il numero complessivo di sportelli solo dal 2013 e, verosimilmente, hanno proceduto più lentamente anche per via della minore sovrapposizione territoriale dei loro sportelli; per questi intermediari meno della metà delle chiusure è avvenuta in un comune in cui disponevano di almeno un altro sportello.

È proseguita la diffusione dei canali distributivi digitali; la quota di famiglie che può accedere al proprio conto di deposito attraverso questa modalità ha raggiunto il 65,9 per cento, di cui quasi il 90 per cento può farlo con funzioni dispositive. Una recente indagine della Banca d’Italia ha rilevato un interesse generalizzato delle banche ad adottare nuove tecnologie digitali (soprattutto per i pagamenti istantanei e per la conclusione di contratti e operazioni a distanza), considerate cruciali per migliorare la qualità dei servizi offerti e per raggiungere le fasce più giovani della

popolazione2. Il numero di iniziative censite è elevato (235 progetti), ma gli importi

stanziati sono esigui (circa 131 milioni) e in prevalenza concentrati sulle banche significative. Dall’Indagine regionale sul credito bancario condotta dalle Filiali della Banca d’Italia all’inizio del 2018 emerge che per le banche di minore dimensione

1 Elaborazioni su dati BCE, Report on financial structures, 2017.

2 Banca d’Italia, FinTech in Italia: Indagine conoscitiva sull’adozione delle innovazioni tecnologiche applicate ai servizi finanziari, dicembre 2017.

la scarsità di risorse (tecnologiche, umane o finanziarie) rappresenta il principale ostacolo all’avvio di progetti di sfruttamento delle nuove tecnologie digitali.

La soluzione delle situazioni di difficoltà di alcuni gruppi bancari

Nel 2017 sono state risolte le situazioni di difficoltà di alcuni gruppi bancari. La Commissione europea ha approvato nel luglio 2017 la ricapitalizzazione precauzionale di Banca Monte dei Paschi di Siena, commisurando l’intervento massimo dello Stato a 5,4 miliardi, comprensivi del ristoro degli investitori al dettaglio nell’ambito delle misure di condivisione degli oneri con azionisti e creditori subordinati (burden sharing).

Nel mese di giugno il Consiglio di sorveglianza dell’SSM ha dichiarato la “prossimità al dissesto” di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza. Accertata la non sussistenza dell’interesse pubblico all’avvio di una procedura di risoluzione da parte del Comitato di risoluzione unico (Single Resolution Board, SRB), le banche sono state poste in liquidazione coatta amministrativa con misure pubbliche a sostegno della fuoriuscita ordinata dal mercato; Intesa Sanpaolo ha acquisito parte delle attività dei due gruppi.

Si è infine conclusa la cessione delle quattro banche ponte, costituite a seguito della procedura di risoluzione avviata alla fine del 2015; Nuova Banca delle Marche, Nuova Banca dell’Etruria e del Lazio e Nuova Cassa di Risparmio di Chieti sono state vendute a UBI Banca, Nuova Cassa di Risparmio di Ferrara a BPER Banca.

Le attività

Il credito. – Nel 2017 i prestiti delle banche italiane sono aumentati dell’1,4

per cento, un punto percentuale in più rispetto al 2016 (fig. 13.1). La crescita ha interessato il settore privato, mentre il credito alle Amministrazioni pubbliche si è lievemente ridotto.

I prestiti del settore bancario a residenti in Italia, circa 1.800 miliardi, sono pari al 107 per cento del PIL, un livello prossimo a quello del 2008 e di 16 punti percentuali inferiore al picco del 2012.

La crescita del credito alle famiglie (3,2 per cento) è stata sostenuta da una maggiore domanda, favorita dai bassi tassi di interesse e dall’aumento del reddito disponibile; le condizioni di offerta sono rimaste accomodanti. La crescita è stata particolarmente sostenuta per il credito al consumo, proseguendo una tendenza avviatasi nella seconda metà del 2015: da allora la quota di queste forme di finanziamento sul totale dei prestiti bancari al settore privato non finanziario è passata dal 4,4 al 7,0 per cento, un valore di poco superiore alla media dell’area dell’euro (6,6), ma inferiore a quello di Germania (7,7) e Francia (7,4).

Sono invece rimasti sostanzialmente invariati i prestiti alle imprese nonostante il rafforzamento della ripresa economica (cfr. il riquadro: Ripresa economica e credito

di offerta sono rimaste favorevoli; ne hanno beneficiato in primo luo-go le imprese finanziariamente più solide e di maggiore dimensione (cfr. Rapporto sulla stabilità

finan-ziaria, 1, 2018). I prestiti alle

azien-de con più di 20 adazien-detti sono au-mentati dello 0,5 per cento, mentre quelli alle imprese più piccole sono diminuiti dello 0,9 per cento. Il differenziale di crescita tra clas-si dimenclas-sionali è più ampio se clas-si escludono i debitori insolventi, nei confronti dei quali il credito dimi-nuisce fisiologicamente (fig. 13.2).

Nei primi mesi del 2018 si è re-gistrata un’accelerazione dei finan-ziamenti alle imprese. L’incremento è stato più ampio per le aziende ma-nifatturiere e dei servizi di maggiore dimensione in ragione della crescita degli investimenti; potrebbero aver-vi contribuito anche gli incentiaver-vi

Figura 13.1 Prestiti bancari per gruppo dimensionale di banca (1)

(dati mensili; variazioni percentuali sui 12 mesi)

2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 -8 -6 -4 -2 0 2 4 6 8

primi 5 gruppi (2) altre banche grandi (3) banche piccole (4)

banche minori (5) filiali di banche estere totale

-8 -6 -4 -2 0 2 4 6 8

Fonte: segnalazioni di vigilanza.

(1) I dati di marzo 2018 sono provvisori. I prestiti includono i pronti contro termine e le sofferenze. La suddivisione degli intermediari è effettuata sulla base della composizione dei gruppi bancari a marzo del 2018 e del totale dei fondi intermediati non consolidati a dicembre del 2008. Le variazioni percentuali sono corrette per tenere conto dell’effetto contabile di cartolarizzazioni, riclassificazioni, aggiustamenti di valore, aggiustamenti di cambio e altre variazioni non derivanti da transazioni; cfr. nella sezione Note metodologiche dell’Appendice la voce Banche: situazione riassuntiva dei conti. – (2) Banche appartenenti ai seguenti gruppi: Banco Popolare, Intesa Sanpaolo, Banca Monte dei Paschi di Siena, Unione di Banche Italiane e UniCredit. – (3) Banche appartenenti a gruppi o indipendenti con totale dei fondi intermediati compresi tra 21.532 e 182.052 milioni. – (4) Banche appartenenti a gruppi o indipendenti con totale dei fondi intermediati compresi tra 3.626 e 21.531 milioni. – (5) Banche appartenenti a gruppi o indipendenti con totale dei fondi intermediati inferiori a 3.626 milioni.

Figura 13.2 Tassi di crescita dei prestiti bancari totali

e dei prestiti bancari in bonis, dicembre 2017 (1) (variazioni percentuali sui 12 mesi)

-1 0 1 2 3 4 5 6 7 -1 0 1 2 3 4 5 6 7 totale prestiti

in bonis totale in bonisprestiti totale in bonisprestiti

imprese

medio-grandi piccole (2)imprese famiglie

Fonte: segnalazioni di vigilanza e Centrale dei rischi.

(1) Esposizioni in bonis a dicembre del 2017 che nell’arco dei 12 mesi considerati non hanno registrato segnali di deterioramento. Le variazioni percentuali sono corrette per tenere conto dell’effetto contabile di cartolarizzazioni, riclassificazioni, aggiustamenti di valore e altre variazioni diverse da quelle originate da transazioni; cfr. nella sezione Note

metodologiche dell’Appendice la voce Banche: situazione riassuntiva dei conti. I settori sono identificati utilizzando la classificazione Ateco 2007. –

(2) Società in accomandita semplice e in nome collettivo, società semplici, società di fatto e imprese individuali con numero di addetti inferiore a 20.

all’offerta di credito previsti dalle operazioni di rifinanziamento mirate a più lungo termine presso l’Eurosistema (cfr. Bollettino economico, 2, 2018).

I titoli. – Alla fine del 2017 i titoli nel portafoglio delle banche emessi da controparti

non bancarie erano pari a poco meno di 540 miliardi, in calo del 6,2 per cento rispetto alla fine del 2016. La riduzione ha interessato esclusivamente i titoli pubblici italiani, pari a 331,7 miliardi, diminuiti del 12,5 per cento rispetto a dicembre del 2016 e del 22,4 per cento con riferimento al picco del primo trimestre del 2015.

In dicembre la quota di titoli pubblici sul totale degli attivi era pari al 9,1 per cento; per le banche minori, che ne detengono strutturalmente una quota maggiore, era pari al 20,5 per cento. La vita media residua dei titoli nel portafoglio delle banche, pari a 4,8 anni a fine 2017, è rimasta pressoché invariata nel corso dell’anno.

Le banche stanno gradualmente riducendo la quota di titoli italiani sul totale dei titoli sovrani in portafoglio, scesa dal 98 all’88 per cento tra il 2013 e il 2017. Questa tendenza è comune al complesso delle banche dell’area dell’euro, per le quali la quota di titoli pubblici del paese di residenza è diminuita dal 78 al 72 per cento. Cali superiori ai dieci punti percentuali hanno avuto luogo nei paesi maggiormente colpiti dalla crisi dei debiti sovrani (Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia).

La presenza di strumenti finanziari complessi nel bilancio delle banche italiane significative è contenuta: alla fine del 2017 le attività classificate come di secondo e terzo livello – il cui valore non si basa su prezzi osservati su mercati spessi e liquidi (cfr. il riquadro: Gli strumenti finanziari complessi nei bilanci delle banche significative dell’SSM) – erano complessivamente pari a circa il 6 per cento del totale delle attività, meno della metà rispetto a quanto si osserva in media per il campione delle banche incluse nel Risk

Dashboard dell’Autorità bancaria europea (European Banking Authority, EBA)3.

3 Il campione è composto da 190 bancheeuropee (cfr. sul sito dell’EBA: Risk analysis and data). GLI STRUMENTI FINANZIARI COMPLESSI NEI BILANCI DELLE BANCHE SIGNIFICATIVE DELL’SSM

I principi contabili internazionali (International Financial Reporting Standards, IFRS) richiedono alle banche di classificare le attività e le passività finanziarie valutate al fair value secondo una gerarchia che tenga conto della maggiore o minore disponibilità di informazioni di mercato. Gli strumenti finanziari classificati come di secondo e terzo livello (L2 e L3) non sono quotati su mercati spessi e liquidi. Si tratta ad esempio di alcuni derivati di credito o su tassi di interesse, o di obbligazioni strutturate; i relativi valori di bilancio vengono quindi definiti dagli intermediari sulla base di prezzi rilevati su mercati poco liquidi, o di prezzi relativi a strumenti con caratteristiche simili ma quotati su mercati più attivi, o utilizzando

modelli di valutazione1. L’incertezza valutativa è particolarmente elevata per gli

1 Per una descrizione più esaustiva delle attività di primo, secondo e terzo livello, cfr. il riquadro: La composizione

strumenti di tipo L3: infatti, mentre la valutazione degli strumenti L2 si basa su parametri deducibili da transazioni di mercato, quella degli L3 utilizza parametri non osservabili.

Alla fine del 2016 l’ammontare di strumenti L2 e L3 presenti nei bilanci delle banche del Meccanismo unico di vigilanza (Single Supervisory Mechanism, SSM) era elevato (6,8 trilioni circa, di cui 3,6 tra le attività e 3,2 tra le passività; in particolare le attività rappresentavano il 16 per cento del totale di bilancio); tale ammontare risultava inoltre concentrato presso un numero ristretto di banche. Il sistema bancario italiano deteneva un quota relativamente contenuta del totale di strumenti L2 e L3 (circa il 5 e il 6 per cento, rispettivamente, delle attività e delle passività).

Nostre analisi recenti2 evidenziano che le regole contabili lasciano ampi margini

di discrezionalità agli intermediari nella valutazione di questi strumenti e che prevedono un trattamento più severo per gli strumenti L3; ne consegue che le banche sono incentivate a estendere il confine della categoria degli strumenti L2 e che una parte di questi ultimi può presentare di fatto un grado di incertezza

valutativa non dissimile da quello degli strumenti L33. L’insieme degli strumenti

L2 è comunque molto variegato e può includere sia prodotti relativamente semplici come gli swap sia prodotti con caratteristiche simili a quelle degli strumenti L3. Non è agevole quantificare le due componenti.

Gli intermediari tendono anche ad adottare tecniche di copertura dei rischi. Per gli strumenti L2 più complessi e per tutti gli L3 tuttavia è raro che si possa realizzare una copertura completa; per essi quindi rimane spesso un rischio residuo non coperto. La valutazione dell’effettiva rilevanza di tale rischio richiede analisi approfondite da parte della Vigilanza, da condurre anche attraverso accertamenti ispettivi mirati.

Alcuni esercizi di simulazione mostrano che, sotto ipotesi estreme (assenza di compensazione fra i rischi dell’attivo e del passivo e di benefici da diversificazione), le potenziali perdite su alcuni tipologie di strumenti L2 e L3 in condizioni di forte stress di mercato possono oscillare tra il 10 e il 50 per cento del loro valore, in relazione alla complessità dello specifico strumento.

Per attenuare gli effetti dell’incertezza valutativa le regole contabili e quelle prudenziali prevedono apposite rettifiche ai valori di bilancio e deduzioni dal patrimonio di vigilanza (additional valuation adjustments, AVA). Gli aggiustamenti tuttavia sono spesso calcolati non per il singolo strumento ma a livello di portafoglio: è quindi possibile una compensazione tra attività e passività della stessa tipologia, che potrebbe portare a sottostimare il relativo rischio. Per gli intermediari dell’SSM che figurano tra i maggiori detentori di attività di secondo e terzo livello l’importo degli AVA è

2 R. Roca e F. Potente (a cura di), Risks and challenges of complex financial instruments: an analysis of SSM banks,

Questioni di economia e finanza, 417, 2017.

3 In particolare per gli strumenti L3 il profitto maturato come differenza tra prezzo al quale si realizza una transazione e contestuale valore desunto da un modello di valutazione (cosiddetto day-one profit) va coperto da accantonamenti corrispondenti.

mediamente pari allo 0,3 per cento del valore di bilancio degli attivi L2 e L3 e allo 0,2 per cento delle attività ponderate per i rischi (risk weighted

assets, RWA). Tale ammontare potreb-

be risultare contenuto rispetto alle potenziali oscillazioni di valore in condizioni di stress (figura).

L’SSM ha intrapreso alcune inizia-tive per valutare taluni profili di rischio dei portafogli L2 ed L3, o focalizzate sugli L3 (ad es. l’asset

quality review del 2014). Un

ulte-riore arricchimento dell’azione di supervisione potrebbe derivare da un ampliamento dei dati dispo-nibili. Informazioni sui principali modelli di valutazione in uso po-trebbero ad esempio essere utili per identificare tecniche partico-larmente complesse; indicatori di turnover potrebbero contribuire a valutare l’effettivo grado di liquidi-tà degli strumenti finanziari;

l’ana-lisi dell’andamento dei day-one profit potrebbe infine migliorare l’individuazione dei prodotti connotati da maggiore grado di complessità.

I crediti deteriorati

Nel 2017 il flusso di nuovi prestiti deteriorati in rapporto al totale dei crediti è sceso di mezzo punto percentuale, al 2,1 per cento, riportandosi sui valori precedenti alla crisi finanziaria. La diminuzione è proseguita nel primo trimestre del 2018 raggiungendo l’1,7

Nel documento Relazione annuale (pagine 178-193)