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Si è già avuto modo di vedere come, all'aumentare del numero di interazioni – e della complessità delle stesse - con soggetti esterni all'università, si sia resa necessaria la costituzione di strutture preposte - sulla falsariga delle esperienze maturate oltreoceano nel corso di un trentennio - alla gestione di quell'ampia gamma di servizi connessi alle tre principali macro attività (stipula dei “contratti di ricerca”, brevettazione e

licensing, creazione di una nuova impresa) che un EPR – da intendersi, al solito, come sinonimo di università - dovrebbe adottare per procedere al trasferimento di tecnologia.

Gli UTT, in buona sostanza, non sono altro che le strutture (come vedremo, esterne od interne) che si occupano della gestione e del trasferimento della proprietà intellettuale, di appartenenza dell'ateneo in cui opera.

Si potrebbe aggiungere che essi giocano un importante ruolo “intermedio”, di raccordo, tra il mondo della ricerca pubblica e il mercato. Va detto che, prima di giungere alla loro forma attuale, queste strutture dedicate hanno subìto svariate evoluzioni, passando dai primi, timidi, tentativi dei singoli ricercatori (spesso scoraggiati, o mal tollerati dalle università), fino ad arrivare ad una vera creazione “formale” degli Uffici sul finire degli anni novanta.

Ad oggi, però, non è ancora possibile rinvenire un posizionamento ed un ruolo degli UTT che risulti univoco in quanto essi sono spinti sempre più verso strategie che rispondono a specifiche esigenze di una rete industriale (soprattutto PMI) operante in un singolo territorio.

Infatti, un fattore che determina l'adozione di un determinato modello di UTT è dato proprio dalle caratteristiche dell'ambiente circostante: una realtà particolarmente sviluppata porterà alla cd. demand pull, ossia alla forte richiesta proveniente dal mercato che favorisce le iniziative imprenditoriali

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e la conseguente costituzione di imprese “spin-off”; al contrario, in un contesto debole, gli istituti dovranno provvedere in modo iperattivo (cd.

technology push) per promuovere la propria attività di ricerca e – ovviamente – i risultati conseguiti.

Per far sì che tali attività avvengano – auspicabilmente - nel miglior modo possibile, gli EPR dovrebbero necessariamente mettere a disposizione degli UTT risorse (fisiche, umane, organizzative, tecnologiche e finanziarie) al fine di poter tracciare in modo chiaro una linea di lungo periodo che tenga conto delle molteplici variabili che possono intaccare l'azione degli Uffici.

Uno dei principali errori214 commessi in Italia è stato proprio quello di perseguire obiettivi palesemente irraggiungibili, soprattutto con l'aspettativa di avere un sicuro ritorno economico nel breve (brevissimo) periodo215.

Per questo, alcuni degli “Icaro” in circolazione hanno preferito – dopo cocenti fallimenti – ridimensionare le proprie ambizioni e dedicarsi prevalentemente ad attività di consulenza, o alla stipula di semplici contratti di ricerca.

Ciò senza nulla togliere alle esperienze di successo che comunque spiccano nell'esperienza italiana, frutto di attenta programmazione ed investimenti lungimiranti come avviene, ad esempio, negli istituti politecnici, con Milano (capofila e tra i fondatori del network NETVAL), Torino (dove addirittura non è presente nemmeno una struttura assimilabile agli UTT, ma esiste da sempre la vocazione al trasferimento tecnologico ed alla interazione tra accademia e sistema industriale) e la Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa, la cui ricetta per il successo risiede

214 Non certo l'unico, dato che le insidie sono molte e possono variare dalla volontà di estendere immediatamente in ambito internazionale la protezione dei brevetti (con costi insostenibili), dagli errori nella distribuzione del capitale sociale tra i vari

stakeholders, fino alla conclusione di contratti di licensing ingenuamente redatti a palese favore delle imprese acquirenti.

215 Considerando che ci vogliono, nel migliore dei casi, circa due anni per poter trasferire un brevetto (dalla data di priorità – o di primo deposito – alla data in cui viene concluso il contratto di licenza o trasferimento) queste aspettative risultano ingenue.

Inoltre, nel caso in cui risulti necessario operare un'attività di ricerca aggiuntiva, ci vorranno ancora degli anni prima di poter avere degli introiti derivanti dal prodotto commercializzato.

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prevalentemente nelle relazioni interpersonali e nel suo capitale umano, presente e passato (si pensi ad ex allievi inseriti in banche o grandi gruppi industriali).

Ad ogni modo, al di là di alcune politiche perseguite dagli EPR, nel momento attuale la quasi totalità degli istituti si è comunque dotata di strutture (dai nomi più vari, ma tutte) preposte alla protezione della proprietà intellettuale, all'incentivazione del trasferimento tecnologico tra mondo accademico e realtà imprenditoriale e dei processi di sviluppo economico a livello locale e regionale.

Nel corso di questi ultimi anni infatti, grazie alla spinta dell'Unione Europea216, degli interventi legislativi regionali e dell'intraprendenza degli “addetti ai lavori”, si sono sviluppate diverse iniziative territoriali volte a mettere in contatto gli UTT delle diverse università con il precipuo scopo di rafforzare la collaborazione tra gli Uffici, rendere omogenee le pratiche di trasferimento tecnologico, aumentare l'impatto economico sul territorio e creare un network di conoscenza al fine di favorire la sensibilizzazione della società ed ampliare in modo capillare la rete di relazioni possibili. Giusto per citare qualche esempio, il progetto ILO-NOVA vede coinvolti i principali istituti toscani (Università di Pisa, Università di Firenze, Università di Siena, la Scuola Sant'Anna e la Normale), uniti dalla volontà di potenziare e condividere le proprie azioni legate al trasferimento tecnologico217.

INNOVA.RE invece è un'iniziativa promossa dagli atenei della Sardegna, con gli stessi obiettivi.

Della nascita di NETVAL e della sua importanza - tanto da diventare il principale network nazionale - si è già parlato; qui non si può far altro che ricordare che ben 59 sono i membri effettivi che vi partecipano, di cui 55 sono università.

216 Si ricordi, brevemente, il network PROTON-EUROPE <http://www.protoneurope.org/> ed il consorzio EuKTS, qui il sito <http://www.eukts.eu/>.

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Altre realtà, al contrario, preferiscono creare reti che mettano in comunicazione i tre attori principali del processo d'innovazione (pubblica amministrazione, enti di ricerca ed imprese).

Un esempio che si può portare – in quanto appartenente al contesto vicino allo scrivente – è la rete TasLab; iniziativa promossa dalla Provincia Autonoma di Trento che punta a creare un sistema interconnesso di servizi ed infrastrutture per supportare e sviluppare differenti aree di innovazione (geodata, cultura, sanità, turismo, e-energy, etc.)218.

Il contesto locale, quindi, sembra avere sempre più importanza per poter procedere non solo a – buone – pratiche di trasferimento tecnologico, ma anche (e soprattutto) alla definizione del modello organizzativo e delle strategie da utilizzare per la creazione di migliori infrastrutture e servizi.