Capitolo 2: IDENTITÀ IN RETE E PROSUMERISMO
2.1 Globalizzazione e consumi: omogeneizzazione vs eterogeneizzazione
In ragione del decentramento intervenuto nell’economia, nella politica e nella cultura, gli spazi geografici hanno ormai perso ogni importanza di sorta. I media come Internet rispecchiano e rafforzano in pieno questa evoluzione, rappresentando un mezzo privo di un centro, che consente ovunque agli utenti di accedere a informazioni in modo mirato e preciso. Questo restringimento degli spazi e del tempo amplifica ulteriormente il processo di “glocalizzazione” con cui Robertson descriveva e giustificava le dinamiche comunicative e percettive nell’attuale rivoluzione industriale e culturale, definendo l’attuale processo globale come “l’interpenetrazione tra l’universalizzazione
del particolarismo, e la particolarizzazione dell’universalismo”11. Il concetto
epistemologico di “glocale”, inserito in una strategia comunicativa che tenda alla “rappresentazione di elementi geografici appartenenti ad una determinata cultura inseriti in un contesto altamente relazionale nei confronti del mondo esterno […] serve essenzialmente per cercare di sfatare il secondo mito vigente della cultura contemporanea, vale a dire il mito del villaggio planetario derivato dall’altissima concentrazione di imprese comunicative capaci di produrre serialmente elementi culturali omogenei e coesi”12.
11 R. Robertson, Globalizzazione: teoria sociale e cultura globale, Asterios, Trieste, 1992, pag. 144
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Le conseguenze sociali della comunicazione globale si possono osservare nella costruzione di un nuovo assetto mondiale basato sull’accorciamento sincopatico delle distanze sia fisiche che mentali. La nascita di un sistema globale di comunicazione, definito sistema di mediatizzazione, è solo uno dei nuovi aspetti che caratterizzano il sistema sociale globalizzato. Soprattutto nell’ambito dei media l’appropriazione locale delle influenze estranee rappresenta una strategia dominante; se le strutture di comunicazione mondiale a prima vista appaiono indice di una mescolanza culturale globale, attente analisi possono trovare molti più indizi della ricezione e della trasformazione del globale da parte del locale, di quanto non lasci supporre lo scenario della omogeneizzazione culturale profetizzato da McLuhan. Secondo infatti un’ottica tendente all’universalizzazione e alla standardizzazione delle culture e delle identità, l’industria culturale globale comporterebbe sempre più convergenza di simboli culturali e forme di vita, unificando progressivamente stili di vita, abitudini e maniere transnazionali di comportamento. Questa omogeneizzazione di interessi e saperi avrebbe come unico risultato un’alienante fusione culturale e una standardizzazione dei simbolismi culturali, che configurerebbe una trasformazione generazionale del mondo intero nel “McWorld” mcluhaniano, dove le logiche e le tradizioni del locale spariscono per fare posto ad una universalizzazione economica e culturale, e dove pasteggiare con hamburger e Coca-Cola davanti ad una soap come Beautiful, vestendo marche come Nike o Armani, diventa una pratica condivisa da giovani e non di ogni parte del mondo, eliminando quelle peculiarità alimentari e consumistiche che identificherebbero normalmente l’estrazione e l’originalità di un paese o di una cultura.
Dunque se è proprio il consumo il portatore di tale omogeneizzazione, questo diverrà in un secondo momento il primo frutto del processo, con la standardizzazione degli acquisti, delle merci e delle ideologie ad essi collegate. Un’influenza mondiale consumistica che nasconderebbe la sua vera natura, originata innanzitutto dal capitalismo economico mondiale, e coadiuvato dall’imperialismo culturale e mediatico che soprattutto il mondo occidentale sta perpetuando nei processi di globalizzazione.
Per uscire da questa argomentazione, Giddens sostiene che sebbene il processo di globalizzazione insito nella modernità abbia avuti inizio con l’espansione delle
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istituzioni occidentali, il fatto stesso che tali istituzioni siano attualmente presenti in ogni parte del mondo rappresenta un allentamento del controllo occidentale sul resto dei paesi, creando un paradosso significativo per il quale il successo economico e culturale occidentale che ha portato la modernità in tutto il mondo, ha in realtà indebolito la sua supremazia sociale e culturale, un tempo senza rivali.
Il senso di “deterritorializzazione culturale” come condizione empirica fondamentale della globalizzazione, che si prova nei confronti di influenze estranee e quindi nei confronti del processo di connettività complessa, colpisce ormai gli stessi occidentali. Si fa sempre più largo non solo un senso di incertezza, ma anche una necessaria problematizzazione e una maggiore cernita qualitativa riguardo a pratiche, valori e significati culturali un tempo pressoché indiscussi; si è in definitiva sviluppata una crescente consapevolezza della varietà degli stili di vita, delle credenze, delle rappresentazioni, delle pratiche e delle consuetudini, rendendo necessario l’acuirsi della capacità di selezione e di critica. Quello che ad oggi la deterritorializzazione ha senza dubbio contribuito a creare è la molteplicità culturale alla base dei nuovi processi di aggregazione, creazione, condivisione e convalidazione delle forme culturali, in un contesto di alleanze culturali e sociali, e di stili di vita che superano gli stessi confini nazionali, appropriandosi di significati, pratiche, prodotti e idee, e fruendone continuamente nel progetto di costruzione della realtà, al di là delle interazioni localmente situate.
Alla luce di tali sviluppi, analizzando le pratiche socioculturali e le reazioni ed i comportamenti rispetto ala globalizzazione, si può affermare non solo che nelle attuali dinamiche globali non si assiste ad una totale omogeneizzazione culturale, ma, al contrario, che prendendo in considerazione le pratiche di resistenza, di appropriazione e di contaminazione analizzabili nel sistema consumistico e sociale, il mondo sembra sempre più differenziarsi, e le pratiche di consumo e di aggregazione divengono espressione e mezzo di questa differenziazione. Per questo “merci, media, idee ed istituzioni della vita moderna disponibili in tutto il mondo non portano ad un livellamento delle culture, ma sono integrate nei modi più svariati in una propria immagine del mondo. Sulla scorta di una vasta gamma di studi di casi e di storie, si può
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mostrare come le società elaborino, accolgano, trasformino o respingano queste influenze estranee”13. Nonostante il mondo occidentale sia ormai da cinquecento anni motore dell’interconnessione mondiale, soprattutto a partire dagli anni Settanta si possono addurre sempre più esempi di influenze subite dall’Occidente da parte di altre regioni del mondo. Non solo contesti come la cucina e la musica, ma anche teorie economiche, letteratura e forme di vita spirituale oggi sono più che mai radicate nella cultura occidentale, a testimonianza di come le influenze derivanti dalla globalizzazione siano bidirezionali e mai scontate. Utilizzando progetti e strutture comuni, secondo Breidenbach e Zukrigl, non sarebbe possibile standardizzarsi e rendere tutte le culture omogenee, poiché non corrisponderebbe ad altro se non ad un’esibizione ulteriore delle diversità in modi simili; la cultura globale rappresenta un sistema di categorie all’interno delle quali si devono definire le diversità culturali, per poter comprendere reciprocamente le sfumature e riconoscere le differenziazioni alla base delle identità culturali.
L’autenticità e l’eterogeneità della cultura globale non è definibile in base alle origini, me deve essere determinata secondo le conseguenze; ciò che caratterizza l’autenticità di una peculiarità culturale o ideologica è la misura in cui le persone possono riuscire ad appropriarsene per i propri progetti culturali. Non diventiamo tutti uguali, insomma, ma ci richiamiamo sempre più alle stesse strutture e agli stessi concetti e standard per sviluppare e presentare le nostre differenze. Le forme culturali derivanti dagli sviluppi delle influenze globali sulle tradizionali culture locali si basano sulla relazionalità e sulle connessioni sempre più frequenti, per questo il ruolo degli strumenti mediatici è imprescindibile per queste dinamiche di coesione sociale; la novità sostanziale dei processi di globalizzazione è infatti la crescita esponenziale dei contatti culturali, anche se le influenze estranee non vengono recepite, con rincrescimento di politici e soprattutto pubblicitari, in modo omogeneo da tutte le
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J. Breidenbach e I. Zukrigl, Danza delle culture, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, pag. 32
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culture. I particolarismi culturali si sviluppano sullo sfondo di strutture globali, e
ovunque ormai nascono e si sviluppano “strutture di differenze comuni”14.
La cultura globale che scaturisce da questi presupposti implica un dualismo di approcci al fenomeno da cui non è possibile prescindere. L’emergere infatti di interessi globali accanto a spinte locali e frammentate obbliga a considerare le trasformazioni attuali in termini sia qualitativi che quantitativi.
Ad un approccio dunque ”strutturalista”, di stampo marxiano, che identifica nel fenomeno della globalizzazione un inarrestabile e travolgente influsso colonialista tanto economico quanto culturale, si oppone una prospettiva “dialettica”, che lascia più spazio ai particolarismi locali, e si separa dalla concezione di “flusso dall’alto” e di imperialismo culturale concepita dalla prospettiva strutturalista.
La prospettiva “strutturalista” fonda dunque le proprie basi in una “interdipendenza strutturale delle varie parti del globo”, percependo la globalizzazione come un processo di stampo neoliberista coadiuvato dalle nuove tecnologie che porta inevitabilmente ad un superamento delle barriere nazionali, per giungere ad un sistema di dipendenze che aumenta il giogo delle potenze egemoni (militarmente, culturalmente o economicamente parlando) sulle realtà più circoscritte. E’ la concretizzazione dell’ipotesi “McWorld” e del “villaggio globale” profetizzato da McLuhan, la continua ricerca di un sistema-mondo, coerente con gli attuali processi evolutivi. Questa omogeneizzazione culturale prevarica le realtà locali già esistenti e spesso millenarie, favorendo un indebolimento dell’identità personale e della comunità, causando una chiusura inevitabile da parte delle culture sottomesse, e una perdita del patrimonio complessivo del mondo.
Lo scenario dell’omogeneizzazione del consumo, ad esempio, parte dal presupposto che l’utilizzo di beni importati abbia già di per sé un effetto unificante, e che il messaggio delle merci e dei media venga recepito dappertutto allo stesso modo e interpretato con gli stessi parametri.
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R. Wilk, Learning to be local in Belize. Global systems of commun difference, Miller, D. (ed.) Words Apart, London: Routledge, 1995, pag. 127
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La stessa critica che già a metà del secolo scorso i teorici della Scuola di Francoforte muovevano verso l’industria culturale, è ricontestualizzabile in chiave strutturalista: quella che infatti era stata rinominata “amministrazione dello svago” puntava, secondo Horkheimer e Adorno, solamente ad una temporanea compensazione per i sacrifici cui i lavoratori si sottoponevano quotidianamente, e la cultura di massa che le nuove tecnologie info-comunicative dovevano portare nascondeva “uno svuotamento della nozione stessa di cultura e un progetto di manipolazione”. Dunque una mercificazione e un degrado della cultura, che secondo Benjamin portano alla “preferenza crescente per le informazioni, a scapito di forme di comunicazione più antiche, come la narrazione”. Il regno della pseudo individualità si instaura con arroganza nella cultura di massa, e la mercificazione della cultura stessa in valore, in merce, ne abolisce inevitabilmente la potenza critica e creativa.
Tanto la Scuola di Francoforte quanto la prospettiva strutturalista in generale, tuttavia, non vedono né percepiscono la complessa ricchezza e la potenzialità della cultura locale e popolare, individuando nella globalizzazione solamente una minaccia alla sovranità e ai legami sociali degli Stati che essa va a coinvolgere. E’ dunque un’ottica di omogeneizzazione culturale, quella proposta dagli strutturalisti, che porterebbe ad una chiusura del dialogo fra i gruppi sociali e ad un assoggettamento da parte delle culture egemoni.
Ideologicamente opposto a questa prospettiva è l’approccio dialettico promosso da Appadurai, Robertson e Tomlinson, contrastante con la tesi dell’imperialismo culturale proposta da autori come Shiller e McLuhan, e fautore di una riscoperta del “processo ermeneutico di appropriazione di ogni prodotto culturale, componente essenziale per la circolazione delle forme simboliche”15. Una chiave di lettura dunque più aperta al dialogo tra le parti, che dà risalto all'importanza e alla necessità del ruolo delle realtà locali nel processo di integrazione culturale. Robertson ha reinterpretato a questo proposito il concetto di “solidarietà organica” di Durkheim, parlando di una nuova connettività complessa (Tomlinson) che abbatte le barriere della nazionalità in favore di
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una interconnessione trasversale tra le popolazioni, agevolata appunto dagli strumenti di comunicazione globale, e aperta all'integrazione di fattori esterni all'interno dei propri dogmi culturali tradizionali.
Secondo Appadurai quello che la tesi dell’omogeneizzazione, spesso suddivisa in una tesi dell’americanizzazione e in una della mercificazione, non riesce a cogliere, è la risposta proveniente dalle metropoli e dalla gente ai tentativi di standardizzazione e di assimilazione culturale; il processo di globalizzazione può infatti dar luogo alla “coesistenza dinamica di sistemi simbolici e di identità collettive eterogenei nonché, soprattutto, alla dialettica tra spinte globali e controspinte locali, a partire da una radicale trasformazione dell’esperienza soggettiva e dei suoi rapporti con la vita sociale circostante”16.
La caratteristica distintiva del sistema-mondo sta proprio nella diversità culturale e nella multidimensionalità, un campo globale come quello in cui viviamo dovrebbe essere fortemente “pluralistico”, vario di identità, culture e civiltà, comunque sempre in interazione e in rapporto fra di loro. Il valore della diversità culturale, dunque, tralasciato dagli studiosi dell’approccio strutturalista, sta proprio nel pluralismo maturo che ne potrebbe scaturire, una cultura globale condivisa e fondata sulla pluralità di interventi e di influenze, contemporaneamente rispettosa delle origini e delle tradizioni alla base delle culture e particolareggiata proprio da questo “melting pot” di contributi culturali.
Negli ultimi decenni abbiamo assistito alla nascita di numerosi movimenti antisistemici opposti alla forma prevalente di ordine mondiale, che con il loro agire da elemento di squilibrio all’ordine mondiale, ne facilitano paradossalmente il reale bilanciamento e ordine. I movimenti antiglobali come la Unification Church, il movimento dei Verdi e quello della teologia della liberazione in America Latina, e alcune frange estreme dell’Islam sono solo alcuni degli esempi di questi “elementi di disturbo” al sistema-mondo attuale.
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E’ infatti inammissibile un’argomentazione come quella di Wallerstein secondo il quale i presupposti del sistema mondiale si limitassero ai presupposti relativi ai paesi principali del sistema-mondo. Pensare che culture storicamente tanto importanti quanto affascinanti, come quella islamica, induista, precolombiana o cinese siano state assoggettate a condividere gli stessi presupposti universalmente accettati è quantomeno inverosimile.
La costruzione culturale che propugnano questi autori necessita inevitabilmente di tali riferimenti storico-antropologici, nonostante il pluralismo massimale non possa essere realizzabile in termini globali: la “mera” diversità culturale è considerabile come
il “mero” mercantilismo globale-utilitaristico, è necessaria una effettiva
generalizzazione della legittimazione della diversità.
“Tendo a sottolineare, con Parsons, l’importanza di principi che legittimino il pluralismo, ma anche la conflittualità inerente all’ordine globale. In secondo luogo, come afferma Luhmann la società mondiale è l’unica possibile, poiché i processi di comunicazione e la differenziazione funzionale dei sistemi hanno reso obsolete le “società” e la cultura condivisa”17.
Habermas contesterà tuttavia questa opinione, sostenendo la partecipazione universalistica all’azione comunicativa globale come il massimo traguardo raggiungibile, piuttosto di un’ identità collettiva societaria e di una ideologia dominante coerente con i requisiti dell’ordine globale realizzabile. Gli sforzi di teorizzazione in questo senso sono stati definiti infatti, dall’autore principale di quella che è stata chiamata la “seconda generazione” della scuola di Francoforte, come tentativi globali di raggiungere la post-modernità mediante l’anti-modernità.
La comunicazione diventa dunque strumento necessario per la condivisione di norme e valori, e lo spostamento dell’attenzione da una dimensione strutturalista ad una dialettica, la relativa tensione fra omogeneizzazione ed eterogeneizzazione, e l’opposizione fra globale e locale testimoniano sempre di più la dinamicità della modernità, grazie anche alla stessa comunicazione globale, sempre più propensa al
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R. Robertson, Globalizzazione: teoria sociale e cultura globale, Asterios, Trieste, 1992, pag 69
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mutamento e al carpire i differenti flussi culturali. Il concetto di scambio, culturale o economico che sia, è diventato sempre più centrale nella comprensione delle dinamiche societarie e dei nuovi panorami mondiali, e la molteplicità di attori che gestiscono il flusso culturale rende sempre più difficile la decodificazione dei significati.
Robertson, facendo suo il contributo della Archer, per la quale i modelli ideativi e simbolici possono essere interpretati, utilizzati, ricostituiti e ampliati in una varietà di circostanze situazionali, cerca di analizzare la globalizzazione a partire da una concezione culturale, fluida, dinamica, utile per dimostrare le discontinuità e le differenze piuttosto che l’aprioristica integrazione, chiave concettuale di numerose analisi sociologiche. La cultura è un prodotto di relazioni e interrelazioni sociali ed umane, e il fenomeno globale tende a spingere società e civiltà a setacciare la scena culturale globale in cerca di idee e simboli rilevanti per la propria identità e le proprie forme culturali. Questo “consumo” e sincretismo culturale è forse l’aspetto più trascurato della rivitalizzazione della cultura quale motivo sociologico.
L’inclusione della dimensione culturale nello studio degli effetti dei processi di globalizzazione rivela inoltre la complessità e la multidimensionalità di un fenomeno, troppo esteso per poter essere racchiuso in un margine esclusivamente economico di studio ed analisi. Lo studio della globalizzazione culturale e delle sue pratiche, specie di quelle comunicative e di consumo, esplora altri rischi ed opportunità rispetto a quelli della globalizzazione meramente economica; lo stesso Tomlinson sostiene lo stretto legame fra la pluridimensionalità della globalizzazione e la complessità dei collegamenti e degli intrecci culturali e sociali che essa va inevitabilmente a tessere. Dunque la cultura può essere interpretata come l’ambito della vita in cui gli esseri umani costruiscono significati, mediante pratiche di rappresentazione simbolica. Così, come asserisce Tomlinson, quando parliamo di economia ci riferiamo alle pratiche mediante le quali gli esseri umani producono beni materiali, scambiano e acquistano; quando parliamo di politica intendiamo le pratiche mediante le quali il potere viene concentrato, distribuito ed esercitato dalla società, e quando parliamo di cultura intendiamo i modi in cui le persone, individualmente o collettivamente, attribuiscono senso alla propria vita, comunicando tra loro.
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La dimensione culturale va a connettere le ampie trasformazioni sistemiche con le trasformazioni che avvengono nei mondi, locali e familiari, dell’esperienza quotidiana. La globalizzazione, in sostanza, è al cuore della cultura, e le pratiche culturali sono al cuore della globalizzazione.
La scuola di pensiero della “cultural theory” analizza questa fluidità dei confini culturali e sociali, grazie soprattutto alle nuove tecnologie comunicative, sottolineando proprio la forte mobilità di significati che l’eterogeneizzazione comporta. I nuovi e mai costanti riferimenti spazio-temporali fanno sì che spesso non coincidano la produzione di significati con la loro fruizione, mentre la fuoriuscita dalla sfera locale e l’ampliamento delle conoscenze dovuta alla diffusione dei sistemi di comunicazione rende la popolazione mondiale cosciente di realtà al di fuori di quelle comunitarie.
Nella cultura globale si manifestano posizioni differenti, al tempo stesso esposte alle costanti aspirazioni egemoniche dei partecipanti. La cultura globale non è infatti uno spazio libero dal potere, nel quale ognuno può liberamente esprimere giudizi ed opinioni, “ogni differenza deve essere negoziata, la propria posizione difesa, e chi non alza abbastanza la voce soccombe. La cultura globale non è nata grazie ad una partecipazione paritetica di tutte le culture, né promuove automaticamente l’evoluzione verso un mondo più equo. Una gran parte delle sue strutture e dei suoi elementi è di origine occidentale. Altre culture, tuttavia, partecipano in misura crescente alla sua elaborazione, sfidando i criteri e le prospettive occidentali”18. Una nuova idea di sviluppo della cultura è stata partorita dunque grazie alle trasformazioni partecipative favorite dall’eterogeneizzazione culturale, e ciò che ad oggi rappresenta la cultura globale è prevalentemente un sistema di categorie, all’interno delle quali è necessario definire differenze culturali per riuscire a comprendere tutti i reali fattori partecipativi e di pluralizzazione, per poter giungere ad un riconoscimento reciproco ed inequivocabile.
Secondo la Paltrinieri, nel glocalismo si palesa la capacità di integrare pluralisticamente elementi globali e locali, con questi ultimi che inevitabilmente
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J. Breidenbach e I. Zukrigl, Danza delle culture, Bollati Boringhieri, Torino, 2000, pag. 176
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rappresentano il secondo volto del Giano bifronte, rappresentazione metaforicamente
ideale della globalizzazione19; proprio questa integrazione genera una differenziazione
dei modi di vita riscontrabili nelle influenze della cultura globale, testimonianza della pluralizzazione culturale che il fenomeno globale crea e preserva. Grazie alla crescita esponenziale di contatti diretti e mediatici tra gli individui e le comunità in generale, disponiamo oggi di una molteplicità inusitata di alternative e visioni per dare forma e sostanza alla vita propria e sociale. Una volta forzate le strutture sociali tradizionali ed ampliati i vecchi orizzonti della conoscenza, gli individui possono finalmente avvalersi in misura crescente della pluralità di scelte che l’odierno sistema mondiale permette di sfruttare, andando a creare una molteplicità organizzata che vive nel riferimento