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Capitolo 3: IL MONDO DELL’INFORMAZIONE AI TEMPI DELLA RETE

3.1 Da mass media a New Media

“Non si può capire nulla dell’età moderna se non si giunge a percepire in che modo la rivoluzione della comunicazione ha creato per noi un nuovo mondo”

(C.H. Cooley, 1901)

Quando fra gli anni Ottanta e Novanta si assiste all’esponenziale crescita e diffusione del mercato tecnologico digitale, la discussione già iniziata fra gli anni Cinquanta e Sessanta viene ripresa e ricontestualizzata alle novità mediatiche di fine millennio; l’opinione pubblica si era infatti già divisa nella prima metà del Novecento fra sostenitori della necessità di nuovi sbocchi tecnologici, i cosiddetti “integrati”, e coloro i quali vedevano nei mezzi di comunicazione di massa uno strumento alienante e non totalmente democratico. Non bisogna infatti dimenticare che gli stessi mezzi comunicativi vennero utilizzati dai regimi come il nazismo ai fini della propaganda, sfruttando proprio quell’elemento vettoriale unidirezionale che ha caratterizzato fino all’avvento di internet i media in generale.

Dalla presa del potere nel 1933, concentrando in un unico “Ministero della propaganda e dell’illustrazione del popolo” i compiti di modellatura degli spiriti e informazione, il partito hitleriano cominciò quell’opera di totalizzazione e censura informativa che ebbe in Goebbels il suo più grande artefice. Radio, stampa, cinema e

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teatro divennero i punti cardine del modellamento propagandistico; l’utilizzo delle onde corte per diffondere messaggi in lingua originale nei paesi da sensibilizzare fu una delle prime grandi novità della macchina propagandistica nazionalsocialista. Trasmissioni in tedesco e in inglese dirette agli Stati Uniti partivano da Berlino, mentre il fascismo italiano lanciava un servizio in lingua araba verso Africa e Medio Oriente, obbligando le altre potenze internazionali a mettersi al passo.

Il consumo critico del mezzo televisivo che la Scuola di Francoforte proponeva come fuga dal messaggio imposto dall’alto, è stato solo uno dei tentativi di riappropriazione del vettore informativo. Già nel 1932 Bertolt Brecht lanciava l’idea di una radio autogestita dal substrato proletario della società, per dar voce a chi fino a quel momento poteva assistere solo passivamente a quella che era sostanzialmente la mercificazione e la strumentalizzazione delle informazioni e della cultura in generale.

La concezione della differenza fra mera ricezione e possibilità di trasmissione comincia a dar luce a nuove prospettive democratiche impensabili fino a poco tempo prima: Enzensberger parla nel 1974 per la prima volta di decentralizzazione dei media e di comunicazione di molti a molti, e non di uno a molti. L’originale critica marxista ai mezzi di comunicazione, fondata sull’elemento verticale e unilaterale del controllo e dell’organizzazione, viene superata tramite la compartecipazione di tutte le classi sociali al ruolo di informatori. La produzione collettiva che supera quella elitaria è il primo passo verso l’emancipazione e la partecipazione attiva del pubblico.

La creazione del video porterà poi una nuova consapevolezza critica verso l’informazione e i media in generale, uno strumento pedagogico e di lotta che sfrutta l’istantaneità e l’immediatezza del messaggio visivo per colpire maggiormente l’utente e descrivere più accuratamente un dato fenomeno. Dalle prime ingombranti telecamere analogiche ai videofonini ottimizzati per YouTube: la nascita alla fine degli anni Sessanta di culture underground intorno allo strumento del video comprova l’avvenuta democratizzazione del mezzo, ora aperto a tutti gli strati sociali della comunità grazie alla diffusione di tecnologie a basso costo.

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Se per McLuhan la conseguenza della comunicazione globale sarebbe “l’accorciamento sincopatico delle distanze sia fisiche che mentali”, per McQuail il nodo principale si paleserebbe nell’aumento del “potere semiotico” derivante dall’allargamento dello spazio simbolico e collettivo, comunque legato alla fine della coercizione dei vincoli spazio-temporali. Quello che per anni è sembrato essere un fenomeno di puro intrattenimento casalingo, è ora diventato un fenomeno sociale di arricchimento culturale, “superamento dell’etnocentrismo, del nazionalismo e della

xenofobia nei sistemi nazionali più chiusi”84. Per McQuail la teoria funzionale

individualista trova un seguito principalmente nella tradizione della ricerca degli usi e gratificazioni dell’audience dei mezzi di comunicazione. Negli ultimi decenni i ricercatori hanno tentato di rispondere a domande concernenti i motivi che spingono la gente a seguire i media in generale, particolari canali dei media o tipi di contenuto, che genere di soddisfazione si attende e si riceve, che uso viene fatto delle conseguenze dell’attenzione prestata ai mezzi di comunicazione. Ne è risultata una crescente serie di gratificazioni, soddisfazioni ed usi che mostrano un grado convincente di regolarità e prevedibilità strutturale. Ciò è sufficiente almeno a costituire una struttura per la soddisfazione dell’individuo (membro dell’audience), che emula e completa la serie presentata in precedenza, relativa al punto di vista della società. Il seguente quadro di riferimento è un adattamento di una tipologia suggerita da McQuail e dai suoi collaboratori:

1) Informazione:

- ricerca di eventi e condizioni rilevanti nell’ambiente circostante, nella società e nel mondo;

- ricerca di suggerimenti su argomenti o opinioni pratiche, e per prendere decisioni;

- soddisfacimento di curiosità e interessi di ordine generale; - apprendimento, autodidattica;

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- raggiungimento di un senso di sicurezza mediante la conoscenza. 2) Identità personale:

- ricerca del rafforzamento dei valori individuali; - ricerca dei modelli di comportamento;

- identificazione con altri sistemi di valori (appartenenti ai mezzi di comunicazione);

- intuizione di ciò che ognuno ha dentro di sé. 3) Integrazione ed interazione sociale:

- possibilità di osservare le condizioni altrui: empatia sociale;

- identificazione con altri e realizzazione di un senso di appartenenza; - acquisizione di argomenti per la conversazione e l’interazione sociale; - acquisizione di un surrogato all’amicizia reale;

- sostegno allo svolgimento dei ruoli sociali;

- aiuto ai singoli nel rapporto con la famiglia, gli amici e la società. 4) Intrattenimento:

- evasione, o distrazione dai problemi; - distensione;

- ottenere un intrinseco piacere culturale o estetico; - riempire il tempo;

- liberazione delle emozioni; - eccitazione sessuale.

Tuttavia, analizzando soprattutto il fenomeno televisivo, non possiamo non considerare elementi scaturenti dalla diffusione indiscriminata e acritica del mezzo stesso, come il crescente individualismo, la frammentazione sociale, l’indebolimento dei legami culturali e il mutamento negli stili di interazione personale. La televisione non si oppone più agli altri media, ma ne diventa l’estremo ed ultimo completamento, l’integrazione finale del mondo comunicativo occidentale.

Dalla nascita del teatro greco, all’invenzione della stampa gutemberghiana all’avvento dell’elettricità, con tutte le innovazioni tecnologiche che ne conseguono, il

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processo di formazione del soggetto è andato via via affinandosi, fino a creare quello spirito critico che attualmente dovrebbe caratterizzare ogni tipo di rapporto con i media. Il mutamento socioculturale che scaturisce dalla diffusione di mezzi sempre più alla portata della gente, e sempre più modificabili dalla gente stessa ha creato una consapevolezza e una coscienza collettiva che supera le questioni come la coscienza privata freudiana o l’inconscio collettivo di Jung. E’ la nascita del Brainframe, ovvero della “creazione di una sorta di ecosistema biologico in costante dialogo con la tecnologia e la cultura”85.

Fra le prime forme di allargamento cognitivo a livello globale può essere considerata la diffusione della televisione via cavo, che si pone come evoluzione internazionale della vecchia televisione statale, aperta alle trasmissioni di tutto il mondo e di facile accesso e utilizzo. Rimedio contro il fenomeno della deterritorializzazione, allarga infatti il potere mediologico portavoce di un preciso modello di produzione di emissione di aperta comunicazione, benché sempre limitato ad un influsso vettoriale unidirezionale e passivo per l’utente. L’astratta comunicazione che ne consegue, infatti, nella sua immaterialità e indecifrabilità, comporta un’umiliazione politica e semantica per gli individui, soggiogati allo strapotere della tecnologia e impotenti di fronte all’aura carismatica e pragmatica dello schermo televisivo.

L’imperialismo culturale sostenuto da Shiller86 si concretizza nella vasta scala di diffusione dei media, con conseguente dominio degli interessi commerciali rispetto a quelli prettamente informativi e culturali; l’elemento di influsso culturale e paradigmatico verso le realtà più marginali e tradizionali, ad opera dei valori occidentali, veicolati dalle nuove tecnologie, verrà tuttavia criticato da Thompson. Egli accetta infatti la dimensione globale dei sistemi comunicativi tecnologici, e sottolinea gli stretti legami fra potere mediatico e potere economico, militare e politico, pur sostenendo una “visione romantica che lo avrebbe portato a presupporre che la maggioranza dei paesi meno sviluppati avesse tradizioni indigene autentiche ed eredità

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D. de Kerckhove, Brainframes. Mente, tecnologia, mercato, Baskerville, Bologna, 1993

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culturali non contaminate dai valori imposti dall’esterno”87. E’ quella che l’autore

stesso definisce “fallacia dell’interiorizzazione”88, secondo cui proprio Shiller tralascia

il processo ermeneutico di appropriazione, essenziale per la circolazione delle forme simboliche.

La globalizzazione della comunicazione diventa dunque oggetto di studio approfondito e critico secondo due chiavi di lettura, rispettivamente di rifiuto e di ossequio. Durante gli anni Novanta, il direttore de Le Monde Diplomatique, Ignacio Ramonet, insieme ad altri studiosi e in rapporto alla teoria sociologica della Scuola di Francoforte, postula la grande metafora della “Teoria del Pensiero Unico”; quasi fosse una proposta di vera e propria ortodossia, questa ossequiava costantemente il mercato finanziario e monetario. Il pensiero unico, dominato dal potere dei mercati finanziari, tenderebbe a coincidere con l’indirizzo “poliziesco” dei media, confidando nella capacità di questi di garantire la ripetizione parossistica dei rituali economici89. Come Josep Ramoneda avrà modo di affermare, siamo di fronte ad una nuova metafisica sostitutiva, un nuovo determinismo che sembrerebbe marxista se non fosse neoliberista: che riporta ogni cosa all’economia. La propensione e la propaganda del pensiero unico trovano dunque una fonte inesauribile di consenso nei media, essendo l’attuale livello di informazione caratterizzato da “istantaneità, spettacolarizzazione, razionalismo,

frammentarietà, semplificazione, mondializzazione e mercificazione”90, e non essendo

più in grado di distinguere il vero dal falso, né tantomeno di difendere i valori di democrazia in funzione dei quali erano stati originariamente pretesi.

La critica tuttavia mossa a questo approccio valutativo, riguarda la mancanza di un elemento comunicativo come aspetto immediato della nostra quotidianità. Il momento dell’interazione, dello scambio di esperienze, e della reciprocità di condivisione di vettori comunicativi significativi verrà dunque sostituita, secondo Germano, da una situazione di “anti-medialità retroattiva”, intesa come conformismo diffuso e preponderante, reagente sociale fra Alter ed Ego ogni qual volta si discuta di media.

87 R. Paltrinieri, Consumi e globalizzazione, Carocci, Roma, 2004, pag. 71

88 J. B. Thompson, Mezzi di comunicazione e modernità, Il Mulino, Bologna, 1995, pag. 234 89

Cfr. I. Germano, Il villaggio glocale, SEAM, Roma,1999

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Se il “pensiero unico” riflette continuamente l’ideologia del libero mercato nelle dinamiche operative mediali, la prospettiva del “mercato come democrazia” reinterpreta il ruolo del mercato stesso come unica alternativa e speranza contro la sudditanza fisica e psicologica. Ruolo dei media sarebbe infatti quello del “by-pass”, all’interno della società liberale, della conoscenza e dell’arricchimento personale, tramite la moltitudine di canali televisivi, di giornali dei più vari generi e contenuti, e delle altre forme commerciali a sfondo culturale. Secondo sociologi come Von Hayek e Von Mises, la comunicazione globale e di massa incide su tre diramazioni essenziali dell’esistenza:

- la proprietà diffusa dei mezzi di produzione comunicativa che dovrà divenire

un fattore di garanzia democratica

- l’impatto deterritorializzante e transcontinentale delle comunicazioni mondiali

restringerà di fatto i tempi della conoscenza

- una diffusa sensibilità soggettiva in direzione dell’allargamento della sfera di

libertà individuale in relazione ai fenomeni della comunicazione

Dunque l’unico bene scambiato risulterebbe essere l’informazione, grazie alla produzione tecnologica e alla diffusione planetaria dei media. Ma se la comunicazione era in principio qualcosa utile a promuovere il progresso, dagli anni Ottanta con il prodigioso diffondersi delle tecnologie elettroniche ed informatiche è divenuta la rappresentazione stessa del progresso. Sostenuta dalle tesi di egualitarismo comunicazionale, una serie di teorie degli anni Settanta ha accompagnato il progressivo incremento di influenza della comunicazione mediale nella vita quotidiana; verranno dunque alla luce teorie come quella del “villaggio globale”, o della “società tecnotronica”, mentre l’avanzata delle reti tecniche della “società dell’informazione” si pone come metro di misura della crescita e della democrazia.

Conseguenza indiscutibilmente connessa al progresso comunicativo è il cambiamento fondamentale delle mentalità (per Mattelart “estensione della prospettiva mentale e animazione dello spirito come prodotto dell’esposizione frequente alla

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novità”91), dato l’uso e le funzioni che la fruizione dei mezzi comunicativi assolve: l’espressività, come varietà di idee trasmesse; la permanenza del ricordo, cioè la vittoria sul tempo; la velocità, cioè la vittoria sullo spazio; la diffusione, ossia l’acceso a tutte le classi di uomini. Tuttavia Mattelart individua anche una contropartita a questo sviluppo della personalità, a questo continuo sottoporsi all’intensità della vita, che si concretizza nella superficialità e nella tensione causata dalla difficoltà di comprendere ed assimilare tutto ciò che è nuovo, e negli effetti patologici come depressione, suicidio o pazzia.

Nel 1938, l’evento radiofonico dell’ “Invasione dei marziani” permise per la prima volta di constatare l’influenza dei media sulla suggestionabilità della popolazione: Orson Welles, infatti, la notte del 30 ottobre gettò nel panico migliaia di americani leggendo durante una trasmissione radio della CBS un passo della “Guerra dei mondi” di H. G. Wells, che descriveva lo sbarco e l’invasione dei marziani proprio negli Stati Uniti. Il sociologo Hadley Cantril, analizzando il trauma subito dai radioascoltatori, ne descriveva così le conseguenze:

“Già prima che la trasmissione fosse terminata, in tutti gli Stati Uniti c’era gente che pregava, piangeva e fuggiva freneticamente per scampare alla morte portata dagli alieni. Molti si misero in macchina alla ricerca dei propri cari […] Almeno sei milioni di persone ascoltarono la trasmissione e almeno un milione di esse rimasero terrorizzate o sconvolte.”

Pur considerando il differente contesto storico e socioculturale dentro al quale si svolsero i fatti, non si può non rimanere colpiti dalle esagerate reazioni dovute ad un simile input mediatico.

L’influenza dunque dei media tanto nella vita quotidiana quanto nell’opinione pubblica ha subito un’ incremento repentino con l’allargamento della fruizione tecnologica, specie dopo lo sfruttamento dei grandi paesi industriali che dalla fine degli

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anni Settanta videro nella “società dell’informazione” il mezzo per uscire da una duplice crisi: quella del modello di crescita, e quella della “governabilità delle democrazie occidentali”. Primo passo fu proprio la nascita delle reti transnazionali e l’inizio della deregulation e della privatizzazione dei servizi pubblici delle telecomunicazioni. Nel 2001, le grandi corporation dell’elettronica come la Microsoft cercarono di convincere le autorità dei paesi in via di sviluppo delle benemerenze del digitale e delle nuove tecnologie ultramoderne, mentre al vertice di Genova gli esperti del Geant (Gruppo Esperti sull’ Accesso alle Nuove Tecnologie) proponevano il sostegno dell’ e-government dei paesi arretrati al fine di rafforzare lo stato di diritto e la democrazia, per favorire il collegamento a internet, e per promuovere iniziative nella sfera dell’istruzione, e di investimento nei progetti di sviluppo sostenibile e a contenuto locale.

Ricalcando questi concetti, Mattelart analizza l’internazionalizzazione della comunicazione come “sviluppo comunicativo” mirante all’uguaglianza e alla democrazia, attribuendo alla cultura un ruolo fondamentale ai fini della “comunicazione mondo”. Proprio la tendenza a quell’uguaglianza di poteri e potenzialità che lo sviluppo tecnologico dovrebbe assicurare è stata la linea guida e giustificatoria dello sviluppo di attività multimediali nate recentemente specialmente in rete, come risposta all’omogeneizzazione di informazione e all’unilateralità dei vettori comunicazionali e informativi.

Il processo di partecipazione al mutamento sociale della società contemporanea, e il tentativo di far progredire tanto materialmente quanto socioculturalmente la popolazione, ora consapevole di poter ottenere un maggior controllo sul suo ambiente, rendono il concetto di sviluppo esterno a concezioni prettamente quantitative, e contestualizzato in un sistema di maggiore equità, libertà e valori qualitativi. La visione dello sviluppo decentralizzato è coerente con la diffusione delle tecnologie “leggere”, le quali favoriscono una comunicazione interattiva più particolaristica rispetto ai grandi sistemi massmediatici di comunicazione mondiale. Dal dispositivo mediatico pesante e

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verticale, prescrittore di innovazioni, si è ora passati, secondo Rogers92, ad un sistema

micromediale orizzontale caratterizzato da un’architettura decentralizzata, e aperto alla partecipazione attiva di tutti i soggetti interessati all’adozione del nuovo.

Rapportato al piano della cooperazione internazionale, questo nuovo sistema partecipativo genera diversi piani concettuali e di sviluppo, come possono essere quelli di cosviluppo e cooperazione decentralizzata, e mobilita automaticamente nuovi soggetti attivi al di là dei tradizionali ruoli imposti dallo sviluppo-modernizzazione, tramite il settore associazionistico, informale, o delle stesse comunità locali.

La comunicazione interculturale sarà oggetto di analisi per la Scuola di Palo Alto, problematizzata nella sua decodificazione strutturale. Le differenze semantiche dei codici, e le diversità intrinseche nel concetto stesso di culture differenti, impediscono la strutturazione di uno schema di analisi universale che tenti di decodificare determinate realtà. Le differenze regolano quei linguaggi silenziosi che sono il linguaggio del tempo, dello spazio, dei possessi materiali, delle modalità di amicizia, e perfino il linguaggio dei negoziati relativi a contratti o accordi. Come infatti sostiene Hall:

“le nostre conoscenze al momento sono scarse e un ben maggior numero di

ricerche dovranno essere condotte prima che l’uomo d’affari possa recarsi all’estero debitamente attrezzato per il suo tipo di lavoro. Non dovrà essere solo al corrente dell’economia, del diritto, e della politica del luogo in cui si reca, ma dovrà comprendere, se non parlare, i linguaggi silenziosi delle altre culture”93

Dunque la teoria matematica dell’informazione nata all’ombra dell’universo “macchinistico” della Seconda Guerra Mondiale viene totalmente rimessa in discussione nelle sue tematiche di dinamica comunicativa e di rapporto con l’ alter. La Scuola di Palo Alto contesta il sistema lineare di comunicazione fra un emittente che codifica e trasmette un’informazione, e un destinatario che la decodifica tramite le

92 Cfr. E. M. Rogers, Communication and developement: the passing of Domination

paradigm, in “Communication Research”, 1976, vol II, num 2

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proprie conoscenze e il proprio contesto culturale. I linguaggi e i codici di cui parlava Hall dovrebbero invece andare a costruire un modello di comunicazione circolare o retroattiva, ovvero un processo sociale permanente a più livelli e in una pluralità di contesti, integrante non due o più “variabili” ma una molteplicità di modi di comportamento.

Attenersi dunque ad una definizione univoca dell’informazione è pericoloso, oltre che metodologicamente limitativo: le numerose sfaccettature che stanno sempre più mutando e caratterizzando il fenomeno informativo allargano il “frame” dell’analisi non più alla mera tecnologia, ma all’insieme dei dati tecnico-economici e politici suscettibili di considerazione nell’elaborazione strategica dei soggetti economici e politici. La raccolta delle cosiddette “informazioni strategiche” ha mobilitato differenti settori, non ultimo quello militare, sin dagli albori della mondializzazione dell’economia; ed è proprio all’interno del contesto militare e bellico, che il ruolo della televisione e della veicolazione e strumentalizzazione delle informazioni ha mutato la precedente concezione di comunicazione. Le immagini dei bambini di Saigon, delle bombe intelligenti lanciate nei comignoli delle abitazioni di Baghdad nel ‘91, degli attentati terroristici a New York dell’11 settembre 2001, fino a quelle della caduta del monumento dedicato a Saddam Hussein, come scena-icona della fine di una dittatura, mostrano un intento propagandistico palesato dal continuo ricircolo mediale delle stesse immagini.

Parafrasando Hallin94, la televisione ha avuto sin dal conflitto vietnamita più un ruolo di follower, che di leader di opinione, ha seguito una linea anziché tracciarla. La guerra dell’informazione è dunque l’erede delle guerre psicologiche accumulate nel corso delle guerre precedenti, e le operazioni di disinformazione, la produzione di notizie false o di voci tendenziose sulle perdite umane, o sul potenziale dell’esercito nemico, prendono la forma di “black propaganda”, resa possibile nella sua ampiezza dai numerosi giornalisti, ingenui e cinici strumenti di diffusione propagandistica.

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Cfr. D. C. Hallin, The uncensored war: the media and Vietnam, Oxford University Press, New York, 1986

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La Guerra del Golfo del 1990-91 fu la prima vera “guerra della comunicazione”, ottimamente osservata e diffusa dalle nuove tecnologie informative, ora in grado di diffondere le notizie dal fronte fino alle case dei civili di tutto il mondo in tempo reale,