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Gohatto: passione samuraica nel cinema d’autore

gender nel periodo Tokugawa

4.1 Gohatto: passione samuraica nel cinema d’autore

La milizia Shinsengumi 新選組 nacque nella città di Kyōtō nel 1863 durante il periodo del Bakumatsu 幕末, l’ultimo decennio dell’epoca Edo (1603-1868) caratterizzato da scontri politici tra la fazione nazionalista filoimperiale, la quale desiderava ristabilire i poteri

dell’imperatore, e lo shogunato. Il Bakumatsu rappresenta nella storia giapponese il sanguinoso e difficile passaggio dall’epoca feudale

all’apertura verso l’estero e la conseguente modernizzazione e

democratizzazione. Lo Shinsengumi, considerato l’ultimo baluardo di una disperata difesa del potere samuraico, fu uno speciale corpo di polizia che volle lo shogunato Tokugawa in un tentativo di riportare l’ordine all’interno di una società in preda al caos, la quale stava cambiando profondamente e inevitabilmente. I suoi membri,

storicamente noti per la loro efferata violenza ma anche per la loro inclinazione omosessuale, avevano il compito di mantenere l’ordine cittadino e arginare le rivolte dei radicali sostenitori dell’imperatore, che si facevano sempre più insistenti nel tentare di rovesciare il governo. Il film si svolge nella sua interezza all’interno di questo

celebre gruppo di samurai, anche se come si noterà il contesto storico assume solo la funzione di sfondo.

Sinossi

È il 1865, due nuove reclute stanno per entrare a far parte della guarnigione. Si tratta dell’efebico e attraente diciottenne Kanō Sōzaburō, figlio di un ricco mercante, (Matsuda Ryūhei) e dell’irrequieto e sanguigno Tashiro Hyōzō (Asano Tadanobu). Entrambi danno prova della loro capacità con la spada e sono

ammessi all’interno dello Shinsengumi su decisione del vice

comandante Hijikata (Kitano Takeshi). L’attenzione di tutti, compresi i membri di rango più elevato, ricade subito su Kanō per la sua

innocente e pura bellezza. E così è lui a essere scelto per l’esecuzione di un membro della milizia che aveva infranto il rigidissimo

regolamento del corpo militare. Kanō affronta il sanguinoso compito con estrema freddezza, e senza battere ciglio taglia la testa al

condannato. Poco dopo Tashiro, invaghito di Kanō, si fa avanti esplicitamente e tenta un approccio, ma viene rifiutato dal giovane che lo minaccia con un pugnale. Nonostante questo si diffondono presto i pettegolezzi che vogliono i due in una relazione, causando sconcerto e gelosia. Yuzawa (Tomorowo Taguchi) intraprende una relazione fisica con Kanō, e spinto dal desiderio di monopolizzarlo arriva a chiedergli di lasciare Tashiro per stare solo con lui. Poco dopo Yuzawa viene trovato assassinato e i sospetti ricadono all’istante sul presunto amante. Il vice comandante Hijikata, rendendosi conto del reale pericolo di disordini legato alle “inclinazioni” di Kanō, ordina all’ispettore Yamazaki di portare il ragazzo nel quartiere a luci rosse di Kyōtō per fargli conoscere “la via delle donne”, ma senza risultato. Quando Yamazaki gli domanda per quale motivo lui, figlio di un

abbiente mercante, è voluto entrare nella milizia scelta, Kanō

risponde con disarmante schiettezza “Hito wo kireru kara deshōka” 人 を斬れるからでしょうか (Per avere il permesso di uccidere). Kanō continua a creare desiderio e caos tra lo Shinsengumi. Hijikata, nonostante continui a subire il fascino fatale di Kanō, comincia ad accorgersi della vera natura del ragazzo, che viene presentata allo spettatore nell’ultima scena del confronto tra i due presunti amanti: facendo leva su un finto momento di debolezza e pentimento, Kanō uccide Tashiro in modo spietato, con un ghigno sul viso. Hijikata arriva alla piena realizzazione dei fatti e ora conscio della verità,

di katana un albero di ciliegio in fiore, chiudendo il film in maniera scenografica ed estremamente simbolica.

(Fig.1) L’ultima scena del film, Hijikata abbatte un ciliegio in fiore

Il regista

Ōshima Nagisa (1932-2013) iniziò la sua carriera alla fine degli anni cinquanta come aiuto regista alla compagnia Shōchiku, in un periodo di grandi mutamenti sia per il Giappone, sia nell’industria

cinematografica di cui sarà uno dei grandi protagonisti. Fin da studente fu molto attivo politicamente in movimenti di sinistra. Nel 1956 fondò con altri futuri registi un gruppo progressista per proporre una sorta di manifesto del nuovo cinema con rinnovati stili e codici, il shichinin no kai 七人の会 (Gruppo dei sette). Nel 1959, a soli

ventisette anni, gli venne commissionato il primo film: Ai to kibō no machi 愛と希望の街 (La città dell’amore e della speranza), in cui portò avanti le proprie convinzioni stilistiche sfidando i codici più classici. Nel 1960 realizzò altre tre pellicole, di cui le prime due, Seishun zankoku monogatari 青春残酷物語 (Racconto crudele della giovinezza) e Taiyō no hakaba 太陽の墓場 (Il cimitero del sole) ebbero un buon successo tra il pubblico, convincendo i vertici della Shōchiku a

permettere l’esordio di altri registi più giovani e in linea con la rivoluzione cinematografica in atto. Il quarto film invece, Nihon no yoru to kiri 日本の夜と霧 (Notte e nebbia del Giappone), si distaccò dai precedenti, i quali avevano come tema il legame tra gioventù,

crimine, sesso e violenza, trattando un argomento estremamente politico in maniera radicale. La Shōchiku, probabilmente temendo ritorsioni da parte del governo, lo ritirò dalle sale, e l’attrito che ne seguì portò Ōshima a lasciare la compagnia e fondare la propria casa indipendente, la Sōzōsha, nel 1961. Durante gli anni sessanta e settanta, oltre a realizzare film in proprio, lavorò per la televisione e collaborò con altre case di produzione indipendenti come la Art Theatre Guild con cui girò il brechtiano Kōshikei 絞死刑

(L’impiccagione) nel 1968. Il regista cominciò a farsi conoscere anche a livello internazionale, in particolar modo dal clamore suscitato dalla controversa pellicola Ai no corrida 愛のコリーダ (Ecco l’impero dei sensi) del 1976, realizzato in coproduzione con la Francia e

presentato al 29° Festival di Cannes. Il film venne immediatamente censurato in tutto il mondo a causa della sua crudezza e delle

esplicite scene di sesso, addirittura in patria ne fu proibita la visione per anni e il regista venne condannato per oscenità.

In seguito Ōshima portò la sua base fuori dal Giappone e tra i suoi ultimi film troviamo Senjō no Merry Christmas 戦場のメリークリスマス (Merry Christmas, Mr.Lawrence, conosciuto anche come Furyō) del 1983 e Max mon amour del 1986, entrambi frutto di coproduzioni internazionali. Nonostante avesse affermato di non avere più intenzione di girare film in Giappone, dopo una lunga pausa in cui realizzò solamente due documentari, tornò inaspettatamente a

collaborare con la Shōchiku per la realizzazione di Gohatto nel 1999, che si rivelerà essere il suo lavoro finale.

La filmografia di Ōshima è nota per non avere un filo conduttore facilmente individuabile né uno stile o un’estetica unici, la sua

ribellione e provocazione. Forse ciò che più accomuna i suoi film è proprio la loro continua trasformazione.

Analisi

Il film è un adattamento dei due racconti Maegami no Sōzaburō「前髪 の惣三郎」(Sōzaburō dalla frangia) e Sanjōgawara Ranjin「三条磧乱 刃」provenienti dalla raccolta del 1962 Shinsengumi keppuroku 新選組血

風録 (Cronache sanguinarie dello Shinsengumi) di Ryōtarō Shiba, uno scrittore celebre per i suoi avvincenti romanzi basati su fatti storici. Ōshima ha dichiarato di avere scelto questo tema per la sua

popolarità in Giappone ma anche perché in qualche modo noto al pubblico internazionale, così da poter presentare un’opera giapponese che avesse allo stesso tempo portata universale1. Non a caso fu

selezionato per partecipare al festival di Cannes.

Gohatto è classificato come jidaigeki 時代劇, ovvero film storico in costume, un genere che godeva di grande successo agli albori del cinema giapponese per poi andare in declino alla fine degli anni sessanta, anche se Ōshima ha dichiarato: “Non ho girato Gohatto come se fosse un jidaigeki. Per me non c’è differenza con un altro genere di film.”2 Effettivamente si può notare come ad esempio i

costumi dello Shinsengumi disegnati per il film non corrispondano alle divise storiche della milizia (azzurre con forme triangolari bianche sulle maniche). “Ho scelto la finzione contro la realtà...”3

Sembrerebbe quindi che per il regista l’ambientazione in un’epoca passata abbia motivazioni diverse dal desiderio di riprendere con precisione una realtà storica. Tutto il film ha l’aria di essere sospeso in una bolla e difatti i riferimenti storici fungono solo da contorno, non influenzano le azioni dei personaggi principali. La maggior parte delle scene avvengono in spazi chiusi e le poche all’aperto, come la

1 TESSER, Max, Nagisa Oshima L’odeur du meurtre, Positif n.471 maggio 2000 p.8 2 Id, p.9 (traduzione mia)

sequenza finale, sono caratterizzate da un’atmosfera sognante e irreale e da ambienti rigorosamente ricostruiti in studio. I codici dei film sui samurai vengono rispettati solo in apparenza, risulta presto chiaro che fungono da pretesto per inserire il vero soggetto, ovvero la natura della pulsione omoerotica, in un contesto familiare e

conosciuto al pubblico.

Il focus del film è quindi la rete di desiderio scatenata dalla presenza del giovane Kanō sui vari membri della truppa. È interessante notare l’uso dei primi e primissimi piani per rendere visibile l’erotismo

attraverso gli occhi dei personaggi. I commilitoni scrutano il ragazzo, lo fissano con insistenza cercando quasi di appropriarsene con lo sguardo. Dal canto suo Kanō ritraendosi, evitando queste occhiate e mantenendo un’espressione imperscrutabile, mostra di comprenderne il significato erotico, ma così facendo non fa che alimentare il

desiderio. Basta la sua presenza per caricare ogni scena di tensione.

(Fig.2) Lo sguardo di Yazawa sembra quasi voler penetrare Kanō.

Ōshima definisce Kanō “una trappola”:

gli uomini dello Shinsengumi. Ma la bellezza di Kanō è legata all’erotismo e alla morte, è una trappola.”4

A causa sua gli ordini sociali e le rigide regole militari vengono scossi da istinti umani che non è possibile reprimere. Si noti come a

esprimere apertamente il desiderio siano i soldati di rango più basso, mentre i vertici negano le proprie passioni a parole, limitandosi agli sguardi. In questo contesto anche i combattimenti con la spada

assumono un significato sessuale, rappresentando il rapporto di forza tra i personaggi, la componente mortale che non può mai essere lontana da quella erotica.

Sarà Hijikata, nel ruolo di autore vicario, che lungo tutto il film ci ha guidati con i suoi pensieri e commenti ironici, a realizzare la portata della distruzione di cui il giovane è foriero, enfatizzando nell’ultimo poetico gesto il messaggio di morte.

Non può essere un caso che un autore attento ai mutamenti della società come Ōshima abbia scelto di trattare un tema simile proprio in un momento in cui l’omosessualità era diventata oggetto di

curiosità a livello mediatico. Potrebbe essere un modo per ricordare che, anche se nascosta e dimenticata, questa pulsione è sempre esistita naturalmente negli istinti umani, anche all’interno di gruppi che hanno raggiunto lo status leggendario, come lo Shinsengumi. L’omoerotismo dipinto dal regista non ha nulla della delicatezza e della femminilità che fanno da manifesto al gay boom, al contrario è strettamente connesso alla violenza e alla morte. Ōshima ritiene che questa pulsione sia un elemento fondamentale da tenere in

considerazione in una qualsiasi analisi sociale e politica.

Ōshima: “A questo punto nessun altro nei film giapponesi vuole avere a che fare con l’omosessualità. [...] L’omosessualità era la peculiarità di questo gruppo [lo Shinsengumi]. In realtà in

qualsiasi assemblamento di uomini esiste sempre una

componente omosessuale. Ad esempio anche in Chūshingura esiste, ma non si osa evocarla, che sia latente o reale, si tratta di autocensura. Secondo me non si può capire il mondo dei samurai senza mostrare questo aspetto omosessuale

fondamentale.”

Intervistatore: “Il desiderio omosessuale ha veramente influenzato così tanto gli atti politici?”

Ōshima: “Io penso di sì, ma nessuno ne è veramente cosciente. [...] In ogni caso è gente che si è radunata per uccidere, che frequenta la morte ogni giorno: uccidere o essere uccisi. Da qui la loro omosessualità nasce naturalmente, davanti alla minaccia quotidiana della morte.”5

(Fig.3) La smorfia rivelatrice di Kanō