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La storia gay dal dopoguerra agli anni novanta

gender nel periodo Tokugawa

2.2 La storia gay dal dopoguerra agli anni novanta

La terribile sconfitta del Giappone, tuttavia, creò una gigantesca disillusione tra la popolazione a riguardo dei codici morali del periodo della guerra e dalla confusione che seguì si sviluppò in breve tempo una nuova cultura sessuale di “liberazione” (kaihō 解放) che

riprendeva gli aspetti “anormali” e “pervertiti” degli anni venti.

In questo periodo le testimonianze artistico-letterarie della subcultura omosessuale sono molto ridotte e non è chiaro il grado di libertà concesso. Possiamo però notare che in seguito all’occupazione americana nel secondo dopoguerra non fu inserita nessuna legge contro l’omosessualità nella nuova costituzione, nonostante l’ampia presenza di leggi simili nelle costituzioni europee e americane a cui si ispirava, il che ci porta a pensare che l’atteggiamento in Giappone fosse lontano dalla tolleranza ma allo stesso tempo incline a ignorare l’esistenza dell’omoerotismo senza condannarlo. Sappiamo però che nel dopoguerra, durante e dopo l’occupazione americana, la cultura omosessuale giapponese si sviluppò attraverso “gay bar” e riviste specializzate. Mishima Yukio nel 1951 descrive nel suo libro Kinjiki 禁

色 (Colori proibiti) una scena ambientata in un bar frequentato in special modo da soldati americani gay che avevano preso dei giapponesi per amanti11. Mark McLelland è stato tra i primi ad

accorgersi della mancanza di studi su quello da lui definito il “gay boom originale”12 avvenuto alla fine degli anni cinquanta,

contrapposto alla più famosa esplosione mediatica degli anni novanta. Lo studioso asserisce che durante l’occupazione si verificarono

numerosi legami sessuali tra soldati americani e uomini giapponesi e questo risultò nell’assorbimento del termine inglese “gay”, con cui i militari si riferivano ai loro amanti chiamandoli “gay boy”. Questa parola negli anni cinquanta era appena nata e ancora sconosciuta all’infuori di ristretti ambienti omosessuali americani, ma in Giappone ebbe grande diffusione anche grazie alla sua omofonia con gei 芸 (arte). Gei portava alla mente la figura della geisha 芸者

(letteralmente: artista, intrattenitrice) e il passo fu breve perché nascesse la figura del gei bōi (ゲイボーイ) come intrattenitore per uomini in locali appositi, intesa come un’occupazione paragonabile a quella dell’onnagata o della geisha. Questi locali vennero chiamati gei bā ゲイバー (gay bar) e la loro risonanza mediatica fu senza eguali tanto che nel 1958 il giornale Shūkan taishū fece una stima di 5000 gei bōi che attualmente lavoravano in tutto il Paese13. Questi

intrattenitori si distaccarono dallo stile tradizionale di trucco e

vestiario femminile tipico di onnagata e danshō14 esprimendo invece i

moderni canoni di bellezza con la loro androginia, trucco leggero e abbigliamento in stile “occidentale”. La popolarità dei gei bā li portò in pochi anni da essere “rather furtive establishments where customers could be seen passing to and fro waiting for a quiet moment to slip

11 Y. MISHIMA, Kinjiki, Tōkyō, Shinchōsha, 1973, pag.200

12 M. MCLELLAND, “Japan’s Original Gay Boom”, in Matthew Allen, Rumi Sakamoto

(a cura di), Popular Culture: Globalization and Japan, Routledge, Abington-New York 2006, pp. 159-173.

13 Anon., "5000nin no shitsugyōsha: gendai no kikeiji gei bōi no SOS", Shūkan

taishū, 18 agosto 1958, pag.24-27.

14 Uomini che nel dopoguerra si prostituivano vestendosi da donna e assumendo

inside15 come se li ricorda l’artista transgender Akihiro Miwa all’inizio

degli anni cinquanta, a luoghi di intrattenimento mainstream per clientela di ambo i sessi. I gei bōi erano ragazzi intorno ai vent’anni, che assumevano un codice comportamentale culturalmente associato alla femminilità per intrattenere il pubblico, arrivando ad affermare di non essere né donna né uomo ma di appartenere a un “terzo sesso” (dai san no sei 第三の性) o di essere una “donna culturale” (bunka josei 文化女性). Per questo la tendenza era di considerare la categoria “gay” come un tipo di abilità artistica piuttosto che una identità

sessuale, da questa concezione deriva la visione dell’uomo gay come intrattenitore femminilizzato che vedremo diffusa anche in anni più recenti.

(Fig.4) Due gei bōi, circa anni sessanta.

I “gay bar” passarono quindi da essere luogo di incontri tra potenziali partner sessuali a spazio di intrattenimento, per poi evolversi nei gay bar moderni, veri e propri spazi comunicativi e di socializzazione per

15 B. ITŌ, Bara hiraku hi wo: Barazoku to tomo ni ayunda 30 nen, Tōkyō, Kawade

clientela gay ormai lontani da una qualsivoglia connotazione sessuale. Attualmente la maggior parte di questi locali è concentrata nel

quartiere di Shinjuku ni-chome, dove nel 1998 se ne contavano più di 20016, e nel 2010 circa 30017.

Alla fine degli anni sessanta troviamo anche in Giappone i risultati della rivoluzione sessuale in atto in America e Europa. Assistiamo a un ritorno delle riviste di “sessualità perversa”, il cui genere è chiamato ryōki 猟奇 (ricerca della stranezza). Titoli famosi sono

Ningen tankyū 人間探求 (Alla ricerca dell’umano); 1950–53), Amatoria

あまとりあ (1951–55), Fūzoku kagaku 風俗科学 (Scienza dei costumi sessuali; 1953–55), Fūzoku zōshi 風俗草子 (Libro dei costumi sessuali 1953–55), Ura mado 裏窓 (Finestra sul retro; 1956–65) e Kitan

kurabu 奇譚クラブ (Club di strani racconti; 1952–75). La strategia di queste riviste era evidenziare il loro aspetto di ricerca scientifica per evitare accuse di oscenità da parte del governo, ma accanto ad

articoli accademici e di valenza scientifica si potevano trovare racconti e illustrazioni pornografiche.

Come nella loro controparte degli anni venti, anche nelle riviste nate in questo decennio era data molta importanza allo scambio di opinioni tra lettori, in cui si discuteva di temi come l’omosessualità maschile, femminile o vari feticismi come i rapporti sadomasochistici. In questo modo si creò un punto di contatto tra i lettori e con essa l’opportunità di dimostrare solidarietà tra “anormali”, scambiarsi fantasie sessuali o addirittura di incontrarsi e stringere amicizia.

16 Ogura T., “Ura Tōkyō kankō”, Bessatsu Takarajima n.382, Tōkyō, Takarajimasha,

1998, pag.10

17 D. MCNEILL, “Shinjuku gay enclave in decline but not on the surface”, Japan

(Fig.5) A sinistra un numero di Fūzoku kagaku, a destra alcune pagine di Amatoria

Lentamente si sentì il bisogno di differenziare i tipi di “perversioni” e nacquero in questo modo le prime riviste specializzate, tra cui

Barazoku 薔薇族 (Il clan delle rose) nel 1972, che fu la prima rivista in Giappone e tutta l’Asia esclusivamente dedicata a temi omosessuali e indirizzata a un pubblico gay. Tale connotazione del termine bara 薔薇 (rosa) sembra avere origine da una raccolta di fotografie dalla forte valenza omoerotica di Mishima del 1961 intitolato Bara kei 薔薇刑 (il castigo delle rose), e anche il nome stesso della rivista contribuì a rinforzare questa sfumatura di significato.

Alla fine degli anni sessanta compaiono i primi film che trattano di omosessualità e travestitismo come Kurotokage 黒蜥蜴 (Lucertola nera) del 1968 e Bara no sōretsu 薔薇の葬列 (Processione funebre delle rose) del 1969. In entrambi i film il protagonista è interpretato da famosi ex gei bōi, noti per la loro abilità di travestirsi da donna grazie alla accentuata androginia: rispettivamente Akihiro Maruyama (conosciuto come Akihiro Miwa) e Ikehata Shinnosuke (conosciuto come Peter).

(Fig.6) Locandina del film Bara no sōretsu a sinistra e Peter in una scena del film a destra.

(Fig.7) Locandina del film Kurotokage a sinistra e Miwa nei panni del protagonista

Dagli anni settanta la rappresentazione dell’omosessualità e della transessualità trova terreno fertile nei manga femminili (shōjo 少女) con importanti titoli come Versailles no bara ベルサイユのばら (La rosa di Versailles, conosciuto come Lady Oscar) del 1972. Troviamo tracce

di questi temi anche nei romanzi di Murakami Ryū tra cui Kagirinaku tōmei ni chikai burū 限りなく透明に近いブルー (Blu quasi trasparante) del 1952 e Coin Locker Babies コインロッカー・ベイビーズ del 1980, dove viene però tratteggiato come un tema legato a culture

underground e pericolose alla stregua all’abuso di droghe e alcool: anti sociale, alienante e autodistruttivo.