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5. Aspetti della Theorica et pratica

5.2. La grafia del trattato

La situazione della grafia della Theorica et pratica rientra pienamen- te nel quadro caotico del principio del Cinquecento (cf. Migliorini 1960, p. 381-382), quando ancora una qualche normalizzazione grafica del vol- gare era di là da venire. Tra l’altro la pronunciata commistione tra volgare e latino, in un testo come quello di Fanti, complica la questione portan- do al predominio nel volgare di grafie etimologiche (es. «præcedente», «excepto», «puncti», «diligentia») o anche falsamente etimologiche (es. i numerosi plurali femminili in -æ: «quellæ doæ digittæ» [c. B1v, r. 11]).

Di solito, nel trattato, la grafia d’una parola tende a essere costante (non mi riferisco in questo caso all’uso o meno d’abbreviazioni). Ci sono casi di contenute oscillazioni, per esempio nell’uso delle doppie, com’è normale per una scrittura in àmbito linguistico settentrionale. S’arriva a un caso d’estrema variazione grafica per la parola «carta» che, nella sola cons. ix (c. A3v, r. 1-13), viene resa con «chartæ», «carte», «cartæ»; e su- bito dopo, nella cons. x (ibidem, r. 14-19), con «carta» (e la casistica non finisce qui: come si vedrà sotto, per questa parola si trovano anche ricor- renze con l’iniziale maiuscola senza che si riesca a intenderne la ragione). L’uso diffuso, ma oscillante, del nesso -æ (talvolta reso con -ę) per i plurali femminili, in luogo di -e, è con ogni probabilità una caratteristica grafica introdotta nella tipografia di Giovanni Rosso. Come si vede nella lettera autografa del Fanti del 1521, trascritta nella sez. 2, quest’uso gra- fico sembra non essere proprio dell’autore (cf. Ciaralli-Procaccioli 2013, p. 22-23, dove si ribadisce che la caratteristica non si trova nel Triompho di fortuna e neppure nel fascicolo manoscritto citato nella sez. 2).

È importante evidenziare, invece, che la congiunzione e oscilla grafica- mente tra «e» e «et» sia nel trattato che nella lettera autografa (per «e» confondendosi con la terza persona singolare dell’indicativo presente del verbo essere). In questo caso si può affermare con sicurezza che si tratta d’una caratteristica della grafia dell’autore.

Com’era normale al tempo, anche nella Theorica et pratica non si fa distinzione tra u e v in relazione ai fonemi /u,w,v/: in ogni caso si ha «u»;

tuttavia i numeri romani minuscoli sono sistematicamente scritti con «v» per il «cinque». Cosí accade anche nella lettera autografa: si veda il numero del giorno nella r. 20: «Die viiij Decembris».

Mentre nella lettera autografa la distinzione tra le due «esse» minuscole (ſ [lunga] e s [tonda]) si manifesta piú come puro fatto grafico (es. alla fine della r. 8: «ſia sugietto»), nel trattato si osserva la regola che vuole ſ in principio e nel corpo di parola e s in fine di parola (normalmente latina).45 Mentre nel trattato non viene mai usata la j (o almeno io non ne ho in- dividuato alcuna ricorrenza), nella lettera autografa la j si alterna con la i al confine di parola, apparentemente senz’alcun criterio distintivo (es. r. 6: «li ſoi fideliſsimi Vaſsalj e ſeruitorj»); tuttavia, sempre nella lettera, si no- ta che l’avverbio lí e reso con «lj» (r. 3), mentre l’articolo determinativo plurale li è reso con «li» (r. 6): c’è da chiedersi se si tratti d’una distinzio- ne grafica voluta (caricata quindi di valore grafemico) oppure d’un mero accidente grafico come negli altri casi.

L’interpunzione, limitata al punto e ai due punti nella Theorica et pratica, tende a non essere usata secondo un criterio uniforme in relazione alla sintassi (nella lettera autografa la punteggiatura è pressoché limitata ai due punti). I punti sono sistematicamente usati per marcare nomi di punti geometrici o numeri (numeri romani o in cifre indo-arabe). C’è una tendenza a usare i due punti similmente alla nostra virgola (per esempio nella separazione delle parole in elenchi), ma lo stesso si potrebbe dire per il punto. Paradigmatico, in questo senso, il principio del terzo libro (c. F2v –F3r; do una trascrizione diplomatica, secondo le indicazioni della sez. 7.2, ma senza la divisione e la numerazione delle righe, cosí da evidenziare meglio la punteggiatura originale):

QVantu(n)q(ue) la natura i(n)ſieme cum li Corpi ſummi & digniſſimi cæleſti.

Siano cauſa potiſſima [= primaria] de infinitę & uarię permutatione. Si de li animali rationali: come etia(m) de li brutti o uoglii dire inrationali: Nientedi- meno il libero arbitrio il qual facilmente per le coſæ terreſt〈r〉ę ſe corru(m)pe. Conda(n)na…

45. Questa regola viene enunciata anche nel già citato Luminario di Giovanni Battista Verini (1527 circa, per cui cf.sez. 4.8), alla c. XVv, primo paragrafo della sezione intitolata «Che ſpatio ſi laſſa tra vna litera e laltra.»: «Anchora ce la litera .s. tonda la quale non lhai mai affare ſe non in chauo della parola: & intra vna litera & laltra ſi fa quel lungo: & anche alchuna volta ſi fa alla fine de vna parola quel lungo ma meglio sta affare el to(n)do». Il fatto che si dica che alla fine della parola non va bene fare la «esse» lunga è dovuto alla sporgenza deltrattosuperiore verso destra che lascia un ampio vuoto al di sotto, sbilanciando i pieni e i vuoti specialmente quando segue uno spazio prima della parola successiva.

Si può dire che nella Theorica et pratica l’uso della punteggiatura è oscil- lante e confuso, benché non sia casuale e fornisca comunque un ausilio alla scansione sintattica. L’interpunzione nel trattato tende a rispecchia- re quanto afferma Brian Richardson in Garavelli 2008, p. 118, non per la quantità di segni, ma per la quantità di ricorrenze dei segni nel testo:

Mentre nel Quattrocento la punteggiatura manoscritta era a volte piú ricca di quella stampata, nel Cinquecento il contrario tende a essere vero. […] Con- trollare ed eventualmente migliorare la punteggiatura fu uno dei compiti che spettavano ai revisori che preparavano testi per la stampa.

L’uso delle maiuscole è anch’esso oscillante, non sistematico (es. la parola «charta» o «carta», normalmente scritta con l’iniziale minuscola, talvolta la si trova con l’iniziale maiuscola senza un motivo: c. A5r, r. 22; c. B1v, r. 17; in entrambi i casi: «Charta»). Piú frequentemente le maiu- scole compaiono dopo il punto, ma non è neppure cosí raro un caso come quello del principio della cons. xiii (c. A3v, r. 10-11): «DIco che la charta apertinente a la Antiqua minuſcula. cum Vernice & ſenza…»; o ancora (c. B4r, r. 2-4): «…de le altræ Aſtæ che ſono cauſate da la pe(n)na. cioe de le achadente. Dico achade(n)te. Imperoche…». Nella lettera autogra- fa l’uso delle maiuscole sembra aver piú un valore grafico che grafemico; a tal riguardo, è interessante notare come la maiuscola non sia distintiva del patronimico nelle due volte in cui si cita Andrea Gritti nella lettera: a r. 3, con «Cl(arissi)mo grittj», e a r. 15, con «Andrea grittj» (similmente nella sottoscrizione: «Sigismundo di fantj»).

Frequenti le abbreviazioni, soprattutto nelle tavole delle lettere. L’uso del punto per indicare un’abbreviazione è raro nel trattato (cf.sez. 7.6, in part. la porzione lett. A, 6); molto piú frequente nella lettera autografa, dove si fa largo uso anche del titulus (particolari i casi di verbi all’infinito: «far̃», r. 4; «conumerar̃», r. 6; «andar̃», r. 17; casi che non ho rilevato nel trattato).

Nella Theorica et pratica e nella lettera autografa del Fanti non si fa uso dell’apostrofo che però fa la sua comparsa, assieme alla virgola, nel Triompho del 1527.

La divisione delle parole alla fine della riga rispetta l’integrità sillabica, ma la presenza del trattino c’è solo in meno della metà dei casi.

Nelle opere di Fanti, autografe e no, non ci sono segnaccenti. Si tenga presente, tuttavia, che i segnaccenti stavano già (ri)entrando nell’uso nei testi volgari a stampa con valore propriamente accentuativo ma anche

distintivo (in Castellani 1995, p. 20, si dà il caso d’un documento della prima metà del xiii secolo: l’Omelia volgare padovana); si pensi al Pe- trarca aldino del 1501, dove l’accento grave compare regolarmente, come diacritico, su è voce del verbo essere. Anche per quest’aspetto, nel 1514 il sistema di regole è mobile, non ancora definito, ma in pieno sviluppo.46

Nei paragrafi precedenti ho accennato all’uso dei punti bassi per mar- care i nomi dei punti geometrici e dei numeri, come si usava nei testi del tempo. I numerosi punti geometrici sono nominati con le lettere maiuscole e minuscole dell’alfabeto latino, piú alcuni particolari segni della scrittura come la legatura&, usata pure per la congiunzione «et» (ovviamente è quest’ultimo il ruolo principale del segno). Anche i nomi delle lettere di cui, a mano a mano, Fanti illustra la costruzione geometrica, sono indicati dal carattere che rappresenta la lettera, di solito tra punti. Per esempio, gli allografi relativi al grafema 〈s〉, «ſ» e «s», nella Theorica et pratica si distinguono non solo nella costruzione geometrica delle tavole di c. E4v e c. E5r (per l’«afermata» moderna), c. G6r e c. G6v (per la «gallica»), ma anche nella descrizione verbale collegata, con l’attribuzione a ciascun

glifo di un valore denominativo che normalmente non ha (es. «LA littera .ſ. Gallica…» [c. G6r, r. 1], «DIco la littera .s. tonda…» [c. G6v, r. 1]). A causa delle spaziature orizzontali, molto irregolari e spesso compresse, non è sempre facile distinguere quando il punto basso è usato come se- gno in qualche modo collegato alla sintassi oppure quando si tratta d’un marcatore che serve a delimitare nomi di punti geometrici o di lettere alfabetiche (un esempio di fraintendimento è illustrato nella sez. 7.2.1). Proprio questi ambigui espedienti grafici impongono una particolare at- tenzione nella lettura della Theorica et pratica, nonché una certa cautela interpretativa. Per illustrare questa situazione, la fig. 1 [p. 51] riproduce le prime righe della tavola della lettera d «afermata» moderna (secondo libro, c. D4v, r. 1-6), in cui c’è anche un punto geometrico chiamato «&» (indicato con la nota tironiana ⁊ nella xilografia collegata).

46. «Ma la questione degli accenti è particolarmente spinosa sia dal punto di vista cro- nologico sia da quello funzionale: un sistema di accenti era già stato usato alla fine del Quattrocento dal Ridolfi; inoltre i Giunti, che pure in un primo tempo non accettarono le due principali novità interpuntive aldine, e cioè l’apostrofo e il punto e virgola, usarono fin dalle loro prime imitazioni delle stampe di Aldo due tipi di accenti e adottarono nella Giunti-

na di rime antiche (1527) accenti di tipo parzialmente ortofonico» (Maraschio 1993, p. 179). Per una breve storia dell’accentazione grafica nella scrittura latina e volgare fino al primo Cinquecento, con numerose testimonianze, vd.Castellani 1995, p. 11-40.

Figura 1: S. Fanti, Theorica et pratica de modo scribendi, riproduzione fotogra- fica della prima parte del testo della tavola della lettera d «afermata» moderna, trattata nel secondo libro (c. D4v, r. 1-6).