• Non ci sono risultati.

L’edizione di testi con figure geometriche o schematiche

6. La ricostruzione del testo visivo per l’edizione critica

6.2. L’edizione di testi con figure geometriche o schematiche

sua essenza sulla geometria, le figure con le costruzioni geometriche siano di fondamentale importanza. Se l’autore ne ha previsto l’inserimento nel corpo del testo con espliciti rimandi, si verifica una tale coesione tra parole e figure da non poter considerare la possibilità che le une possano stare senza le altre: il testo verbale, trovando il suo complemento nel testo visivo, risulterebbe lacunoso senza di esso; il testo visivo, veicolato dalle figure, da solo perderebbe la sua ragion d’essere. Si potrebbero fare numerosi esempi, a cominciare dai libri scolastici.

Se poi si considerano i libri antichi appartenenti al genere, come la Theorica et pratica di Sigismondo Fanti, col loro corredo d’illustrazioni

schematiche o geometriche, anche tracciate direttamente con riga, squa- dra e compasso nel caso dei manoscritti, il valore di quelle figure acquista un maggior peso nella complessità del testo e, in special modo, quando sono riconducibili allo stesso autore, proprio perché sono una testimo- nianza storica della sua volontà. Nel caso, quindi, s’intenda proporre una (nuova) edizione di un testo del genere, che sia un’edizione propriamente critica oppure no, non si può non tener conto di tutti gli aspetti testuali, come pure, se caratterizzante, del progetto editoriale originario. Di sé- guito propongo due esempi che mi hanno colpito in positivo e in negativo per illustrare meglio quel che intendo dire.

Recentemente è stata pubblicata quella che, nella quarta di copertina con enfasi commerciale, è descritta come «la prima traduzione italiana del Kitāb al-jabr wa al-muqābala di al-Khwārizmī», ovverosia il libro d’al- gebra del sec. ix in. che è considerato l’atto di nascita della disciplina. Il volumetto, pubblicato dall’editore Carocci nel giugno del 2016 col titolo Algebra: Origini e sviluppi tra mondo arabo e mondo latino, è stato curato da Laura Catastini, Franco Ghione e Roshdi Rashed. Alle p. 115-199 è data la traduzione italiana del trattato di al-Khwārizmī con una breve nota iniziale in cui è scritto (p. 115):

La traduzione del Kitāb al-jabr wa al-muqābala, di al-Khwārizmī, è stata rea- lizzata da Laura Catastini a partire dall’edizione critica del testo in lingua francese Al-Khwārizmī. Le commencement de l’algèbre, texte établi et traduit par R. Rashed, Blanchard, Paris 2007. La traduzione è il piú vicino possibile al testo francese, che riproduce letteralmente quello arabo evitando la tentazione di abbellire le frasi per rendere la lettura piú facilmente fruibile. Questo obiet- tivo è invece realizzato inserendo, in una colonna a margine, la riscrittura del testo nell’odierno linguaggio simbolico dell’algebra. […]

Non ho potuto consultare l’edizione critica in francese, se non qualche pa- gina trovata in rete, quindi non posso valutare i criteri lí seguiti da Roshdi Rashed. Da quel che ho potuto vedere, però, sia nel testo dell’edizione in francese che in quello della traduzione italiana, le poche, semplici figure a cui lo stesso al-Khwārizmī ha fatto riferimento sono state giustamente inserite nel corpo del testo. Mentre, poi, l’edizione francese fa uso di note di commento a piè di pagina con richiami in esponente, la soluzione italia- na delle note a margine risulta molto piú interessante. Nella fig. 2[p. 62] mostro una riproduzione fotografica delle p. 124-125 del libro italiano: si vede l’inserimento d’una figura nel corpo del testo, ripresa dal testo di Ra- shed e, suppongo, ricostruita sulla base degli esempi ricavati dai codici su

Figura 2: Esempio di due pagine affiancate della versione italiana del libro d’al- gebra di al-Khwārizmī con le note dei curatori a margine (dimensioni del libro: 220×148 mm; riproduzione fotografica delle p. 124-125).

cui si è fondata l’edizione critica; si notino le parole che immediatamente precedono la figura: «Ecco la figura», che traduce la formula ricorrente con cui al-Khwārizmī rimanda all’illustrazione dalla descrizione verbale. L’edizione della traduzione italiana, quindi, dà un testo completo nei suoi due aspetti verbale e visivo, con l’aggiunta a margine di note esplicative, anch’esse con illustrazioni ma evidentemente estranee al testo ricostruito da Rashed; il tutto aiuta il lettore moderno a orientarsi tra i problemi algebrici e geometrici dati perlopiú mediante il linguaggio scritto, con poche figure e nessuna formula matematica modernamente intesa. Un si- mile ausilio è tanto piú urgente quanto piú le concezioni e le convenzioni dell’autore del testo sono distanti dalle nostre. Come si vedrà nellasez. 7, dedicata all’analisi d’alcuni brani della Theorica et pratica, la compren- sione del testo del trattato sigismondano non è semplice da molti punti di vista: linguistico, geometrico, concettuale; in questi casi in cui paro- le e immagini sono unite in un solo corpo testuale complesso, il lavoro d’interpretazione preliminare è decisivo per l’edizione e può determinare differenti scelte editoriali di cui non si può non rendere conto, in modo preciso, mediante un commento puntuale che chiarisca precisamente quel che l’editore ha inteso del pensiero dell’autore.

Nel settembre 2008, Nino Aragno Editore ha pubblicato un lavoro di Giovanni Maria Fara sulla traduzione in volgare di Cosimo Bartoli del trattato Unterweisung der Messung di Albrecht Dürer; traduzione condotta sulla versione latina di Joachim Camerarius. Nella prefazione di Fara si legge (p. ix):

Il tema principale di questo libro è lo studio e l’edizione della versione che Co- simo Bartoli condusse, nel 1537, della Unterweisung der Messung, il corso di misurazione pubblicato da Albrecht Dürer nel 1525, tre anni prima di morire. Nel 1532 Joachim Camerarius, un umanista allievo di Philipp Melanchthon, dal 1526 insegnante di latino e greco nel nuovo ginnasio di Norimberga, tradusse in latino (col titolo di Institutiones geometriae) il testo originale tedesco, facen- do uso delle medesime illustrazioni, ed è da qui che, naturalmente, il Bartoli condusse la propria versione.

Poco piú avanti (p. x-xi) si legge che:

La fatica di Cosimo, nonostante la sua evidente importanza, rimase manoscritta in un codice che ai tempi conobbe una limitatissima fortuna, e che fino a oggi non è mai stato integralmente edito e studiato, nonostante sia conservato nella Biblioteca dell’Accademia delle Scienze di San Pietroburgo, con la deprecabi- le conseguenza che tale versione è in genere tuttora sconosciuta agli studiosi di Dürer. Si è deciso quindi, in primo luogo, di trascriverla compiutamente, affiancandogli le pagine di quella latina di Camerarius, secondo l’edizione del 1532, al fine di rendere immediatamente evidente la bontà e la compiutezza della traduzione bartoliniana. La riproposizione del testo latino – anch’esso in attesa di una moderna edizione, e colpevolmente poco considerato dagli stu- diosi – ha inevitabilmente portato come conseguenza una nuova prospettiva nel riconsiderare l’intera ricerca, che non poteva piú essere semplicemente confinata nello studio ed edizione del codice di Bartoli.

La fatica di Giovanni Maria Fara è stata notevole, tuttavia leggendo la «Nota all’edizione» (p. 143-144) si trova un’informazione alla quale, per- sonalmente, avrei dato maggior peso (p. 143):

La versione manoscritta di Cosimo Bartoli si conserva nella Biblioteca dell’Ac- cademia delle Scienze di San Pietroburgo […]. Si tratta di un codice di 160 carte di cm. 28x21,5, numerate in alto a destra, di cui 157 composte da testo e disegni ad esso inframezzati, entrambi a penna e inchiostro, in cui è sem- pre riconoscibile, pure nelle numerose cancellature, l’autografia del solo Cosimo Bartoli […].

Il fatto che la stragrande maggioranza delle pagine del manoscritto mostri testo inframezzato da disegni è in armonia coi progetti editoriali del Dürer e del Camerarius. Poco piú avanti, infatti, il Fara precisa (p. 143-144):

La presenza delle xilografie nel trattato e dei disegni nel codice, inframezzati allo scritto in entrambi i casi, è stata segnalata attraverso una nuova numerazione romana in parentesi quadra. Nell’apparato illustrativo, si sono riprodotte tali figure: è ad esse che bisogna continuamente rifarsi per una lettura corretta e compiuta del testo düreriano. Per la loro novità, e per la loro completezza dell’e- dizione del manoscritto, si sono riprodotti quasi sempre i disegni del Bartoli. In alcuni rari casi in cui il segno risultava troppo sbiadito, tale da compromettere la lettura della figura, si sono invece riprodotte le xilografie originarie […]. Tali piú note e accessibili xilografie delle Institutiones dalle quali i disegni fedelmente derivano, inoltre, sono state riprodotte anche nei rari casi in cui differiscano dal successivo disegno, oppure si rivelino particolarmente significative per piú mo- tivi, opportunamente chiariti nel commento. In questi casi tali xilografie sono state riprodotte nella sezione delle tavole.

Trovo che questa scelta editoriale sia stata particolarmente infelice. Tut- t’e tre le versioni sono inframezzate da illustrazioni a cui il testo verbale rimanda esplicitamente. Le illustrazioni, dunque, sono fondamentali per comprendere il testo düreriano, anche nella versione di Bartoli che s’era dato ben da fare per riprodurle nel suo manoscritto; appare incomprensi- bile la scelta di strapparle dal corpo del testo per raccoglierle in quattro sezioni separate in coda a ciascuno dei quattro libri del trattato, tra l’altro senza titoli correnti che facciano capire a quale libro si riferisca la sezione d’immagini e con una numerazione che ricomincia per ogni libro. Una tale disposizione costringe continuamente il lettore a cercare in queste appen- dici l’immagine giusta, confondendosi spesso con le immagini d’un’altra sezione; e la scelta risulta ancor piú incomprensibile per il fatto che que- ste figure sono state notevolmente rimpicciolite (senza dare informazioni sulla scala di riduzione) per farne entrare anche tre per pagina; a questo punto vien da chiedersi: perché non inserirle direttamente nel corpo del testo? Tralasciando la pericolosa eterogeneità della raccolta illustrativa, un altro aspetto sorprendente è la qualità delle riproduzioni fotografiche. Anche se alcune sono piú chiare di altre, non è accettabile inserire illu- strazioni come quelle riprodotte nella fig. 3 [p. 65]: sono incomprensibili e quindi inutili, nonostante il Fara stesso abbia precisato, nella nota cita- ta, che «è ad esse [alle figure] che bisogna continuamente rifarsi per una lettura corretta e compiuta del testo düreriano».

La cura prestata al testo verbale di Cosimo Bartoli, col suo apparato di note e con a fronte il testo verbale del Camerarius per il confronto, contra- sta con l’incuria dell’apparato illustrativo in un’opera in cui quest’ultimo ha un’importanza indiscutibile, anche dal punto di vista artistico (per

Figura 3: Esempio d’apparato illustrativo dell’edizione curata da Giovanni Ma- ria Fara della versione di Bartoli del trattato düreriano (dimensio- ni del libro: 235×155 mm; riproduzione fotografica, con risoluzione 1200×1200 dpi e senza riduzioni, delle immagini della terza tavola relativa al primo libro; la didascalia originale è disposta su tre righe in basso: «Figura VIa | Figura VIb | «Figura VII»).

rendersene conto basta sfogliare il trattato a stampa del 1525 o anche la versione latina del 1532; si tratta comunque di Albrecht Dürer, non d’un anonimo artista del Cinquecento). Ritengo, quindi, che il testo dato da Giovanni Maria Fara sia un testo stravolto, artificiosamente smembrato, che non rappresenta la volontà di Albrecht Dürer, né di Joachim Came- rarius e neppure di Cosimo Bartoli. In casi come questo, si manifesta chiaramente l’importanza d’applicare o adattare i principi della critica del testo a simili tipologie di testi, considerandoli nella loro interezza.