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LA GRAMMATICA GENERATIVA

La seconda metà del secolo scorso viene generalmente considerata come l’epoca della grammatica generativo-trasformazionale: la data della svolta è solitamente fissata al 1957 quando fu pubblicata la prima edizione di Syntactic Structures del linguista statunitense Noam Chomsky1. Inoltre nel 1959, in una pungente recensione2 al volume Verbal Behavior di Burrhus Skinner, lo stesso congedò l’intero approccio comportamentista circa l’uso del linguaggio, definendo questo come un inaccettabile prodotto dell’empirismo insegnato dalla scuola bloomfieldiana3.

1 Avram Noam Chomsky, linguista, filosofo e teorico della comunicazione statunitense, nasce a Filadelfia il 7 dicembre 1928 in una famiglia ebraica dell’Europa orientale. Il padre, William (Zev) Chomsky è un rispettato studioso di ebraico, immigrato negli Stati Uniti dalla Russia nel 1913. Noam studia linguistica alla University of Pennsylvania sotto la guida di Zellig Harris (1909-1992), fondatore del primo dipartimento di linguistica in una università americana. Qui ottiene il Bachelor nel 1949 e il Master nel 1951 con la tesi Morphophonemics of Modern

Hebrew. Nel 1949 sposa la linguista Carol Schatz. Sempre alla University of Pennsylvania nel

1955 discute la tesi di dottorato Transformational Analysis, benché dal 1951 al 1955 svolga la sua attività di ricerca come Junior Fellow presso l’Harvard University a Cambridge presso Boston. Nel 1955 inizia la sua carriera come assistant professor al Massachusetts Institute of Technology, nella stessa Cambridge, istituzione dove tuttora opera e insegna. Chomsky, dopo qualche articolo, pubblica nel 1957 il volume Syntactic Structures, che contiene in nuce la sua teoria sulla grammatica generativo-trasformazionale. Nel 1959 pubblica una lunga e ormai classica recensione al volume Verbal Behavior di Burrhus Skinner (1904-1990): lo scritto contiene una critica esplicita e argomentata del comportamentismo, dal quale Chomsky aveva preso le distanze. Tra il 1965 e il 1966 escono le due opere che fissano in maniera quasi definitiva sia le posizioni specificamente linguistiche, sia le posizioni e le ascendenze filosofiche generali dell’autore: Aspects of the theory of syntax nel 1965 e Cartesian linguistics nel 1966. Una ulteriore precisazione di tali posizioni è proposta in Language and Mind, del 1968. Chomsky, a questa data, è ormai il più influente studioso di linguistica sia nel suo paese, sia in gran parte del mondo. Lo studioso non cessa di approfondire e difendere le sue teorie, nei dibattiti frequenti e vivaci dei successivi anni, in numerosi articoli e saggi, talvolta raccolti in volume. Alcuni fra i più significativi sono: The logical structure of linguistic theory, la sua tesi laurea discussa nel 1955 ma pubblicata solo nel 1975; Reflections on language del 1976;

Language and problems of knowledge del 1988 (cfr. ROBINS 1997, pp. 257-264; ulteriori informazioni al seguente sito web: http://www.chomsky.info/).

2 Il testo di tale recensione si trova in “Language” 35 (1959), pp. 26-58.

3 Leonard Bloomfield (Chicago, 1 aprile 1887 – 18 aprile 1949) è stato un linguista statunitense. Il suo pensiero ha fortemente influenzato lo sviluppo della linguistica strutturale negli Stati Uniti tra gli anni Trenta e Cinquanta: è noto soprattutto attraverso il suo libro Il

linguaggio (1933), in cui descrive lo stato dell’arte e della linguistica nel suo tempo. Il pensiero

di Bloomfield si inserisce nel contesto dello strutturalismo americano: la sua indagine linguistica è strettamente legata al procedimento induttivo e all’osservazione, quali momenti necessari per fondare scientificamente l’analisi del linguaggio. Per questo motivo il suo metodo è stato accostato al positivismo ed al meccanicismo; esso è stato anche definito come fisicalismo accostandosi metodologicamente per analogia alle scienze quali fisica e chimica, come comportamentismo in quanto si limita a considerare i soli comportamenti osservabili, e come distribuzionalismo in riferimento alla procedura adottata. Il discorso è descritto nei

La teoria della grammatica generativa si caratterizza per la ricerca delle strutture innate del linguaggio naturale, inteso come elemento distintivo dell’uomo quale specie animale: in tal modo viene superata la concezione della linguistica tradizionale incentrata sullo studio delle peculiarità dei linguaggi parlati. Alla distinzione saussuriana tra langue e parole viene infatti sostituita quella tra “competenza” ed “esecuzione”, dove l’una si riferisce alla grammatica mentale, interiorizzata nell’uomo, mentre l’altra si riferisce all’uso concreto del linguaggio.

La creatività è considerata come una delle caratteristiche fondamentali del linguaggio: rispetto al numero limitato di parole e di regole esistenti, noi possiamo creare qualcosa di nuovo grazie alle regole grammaticali. Il termine tecnico “generare” è una metafora matematica. La grammatica quindi “genera” enunciati nel senso che ne dà una descrizione esplicita: essa sta alla loro base, ma non li produce in maniera meccanica una volta per tutte. La conoscenza di una lingua è per Chomsky capacità di produrre e comprendere un numero virtualmente infinito di frasi, cioè anche frasi nuove mai prodotte o udite prima, di questo deve dar conto la grammatica.

Obiettivo della grammatica generativa è la ricostruzione della grammatica universale4. In grammatica generativa essa è intesa come l’insieme di conoscenze che permettono ad un parlante nativo di produrre e comprendere messaggi

termini di uno stimolo e di una risposta; il significato di una forma linguistica è dato dall’unione di queste due azioni. Il parlante perciò agisce in una determinata situazione e traduce la sua intenzione in forma linguistica; il ricevente risponde allo stimolo interpretandolo, prima a livello auricolare e poi a livello cerebrale. L’indagine di Bloomfield e in generale dello strutturalismo americano rispetto a quello francese è contrassegnata da un’attenzione specifica verso la forma sintattica del linguaggio (cfr. ROBINS 1997, pp. 235-255).

4 Tale idea era già presente nelle osservazioni di Francesco Bacone (1561-1626) e dei grammatici speculativi che postulavano regole universali alla base di tutte le grammatiche; questa stessa idea era alla base di molte teorie filosofiche del XVII secolo. Con grammatica universale non si vuole indicare il fatto che tutte le lingue abbiamo le stesse “regole”; essa è piuttosto una teoria linguistica secondo cui i principi della grammatica sono condivisi da tutte le lingue e sono innati per tutti gli esseri umani. Questa ipotesi nasce per descrivere l’acquisizione del linguaggio e per rispondere al cosiddetto “argomento della povertà dello stimolo”: essa si propone di individuare una serie di regole innate che spiegherebbero come i bambini acquisiscono le lingue e come imparano a costruire frasi valide. Per Chomsky il cervello umano contiene un insieme limitato di regole per organizzare il linguaggio: questo insieme di regole è conosciuto come grammatica universale. Chi parla fluentemente una lingua sa quali espressioni sono accettabili e quali inaccettabili: la questione chiave è capire come chi parla riesca a comprendere le restrizioni del proprio linguaggio, dal momento che le espressioni che violano tali restrizioni non vengono percepite durante l’apprendimento né vengono indicate come tali. Questa mancanza di prove negative – ovvero l’assenza di prove che un’espressione appartenga alla classe di frasi grammaticalmente scorrette nel proprio linguaggio – è il nucleo della tesi sulla “povertà dello stimolo”.

verbali nella propria lingua. La competenza ha le seguenti caratteristiche: 1. è interna alla mente umana;

2. è inconscia (implicita), poiché un parlante nativo riesce, basandosi solamente su un’intuizione, a giudicare se una produzione linguistica sia accettabile nella propria lingua;

3. è individuale, cioè viene intesa come l’insieme di conoscenze che possiede un singolo parlante: la comprensione fra più parlanti è quindi possibile solo quando le competenze individuali di ciascuna persona sono simili;

4. è innata, essendo l’essere umano predisposto, grazie a particolari condizioni anatomiche e neurofisiologiche, ad acquisire il linguaggio verbale; la capacità di parlare è, in primo luogo, trasmessa biologicamente, solamente dopo si ha l’evoluzione di tale capacità secondo la componente culturale e ambientale. Costruire una teoria della grammatica universale è dunque lo scopo della grammatica generativa: in tal modo si vuole esplicitare mediante regole e principi la conoscenza inconscia che il parlante nativo ha della propria lingua.

Il primo passo è capire in una lingua quali frasi siano grammaticali – ossia corrette – e quali no secondo il parlante nativo ed in base alla sua competenza inconscia. A partire dalle competenze individuali dei parlanti nativi di date lingue la teoria generativa punta a creare una grammatica universale, ossia a definire le conoscenze linguistiche innate dei parlanti nativi di tutte le lingue esistenti.

La grammatica universale specifica dunque lo stato basilare della facoltà di linguaggio degli esseri umani, il quale, grazie all’esperienza linguistica – cioè la fissazione dei parametri che consentono di imparare la grammatica di una determinata lingua – che si acquisisce in un secondo momento, passa ad uno stato stabile, ossia la lingua di cui una persona è parlante nativo.

Da quanto brevemente enunciato, si può intuire come l’influenza del pensiero di Chomsky vada ben al di là della sola linguistica, fornendo interessanti e fecondi spunti di riflessione anche nell’ambito della filosofia, della psicologia, delle teorie evoluzionistiche, della neurologia e delle scienze dell’informazione.

Data questa base teorica, gli studiosi che aderirono agli assunti della grammatica generativo-trasformazionale si occuparono principalmente di sintassi e di fonologia, lasciando a trattazioni decisamente meno approfondite i problemi morfologici e lessicali: gli stessi libri del “fondatore” del generativismo sono prevalentemente dedicati alla sintassi, come i loro titoli lasciano chiaramente intuire.

Solamente in un momento successivo ci fu chi, conscio del sostanziale “fallimento” di alcune teorie di impianto strutturalista5, cercò una nuova via con cui risolvere le problematiche di natura morfologica e lessicale lasciate aperte da chi li aveva preceduti, nel concreto tentativo di contribuire ad un reale progresso degli studi linguistici senza limitarsi ad una semplice ripetizione di quelle teorie

5 Nel paragrafo precedente si è detto delle critiche rivolte alle teorie di Émile Benveniste e di Françoise Bader.

linguistiche più o meno implicite che si sono sedimentate a formare la cosiddetta “grammatica tradizionale”, la quale ha comunque grandi meriti6.

Dalla metà degli anni ‘70 del ‘900 si sono dunque moltiplicati gli studi generativisti nei quali l’attenzione si è fruttuosamente spostata sui problemi morfologici, al cui interno si colloca anche la composizione nominale di cui si vuol dare conto nel corso di questa dissertazione. Ciò è stato chiaramente espresso Sergio Scalise in un articolo del 19847:

«L’evoluzione della teoria del lessico nella grammatica generativo-trasformazionale può essere benissimo riassunta […] con lo slogan “da emarginato ad emergente”. Agli inizi, e in linea con la tradizione strutturalista, il lessico era concepito come una semplice lista di parole, deposito delle irregolarità, mentre oggi gli si attribuisce una complessa struttura interna in grado di esprimere anche “regolarità” e creatività».

Relativamente allo studio dei composti nominali del latino, il più importante contributo di impianto generativista è dato da Renato Oniga, il quale a più riprese ha trattato di tale tematica in una serie di pubblicazioni che hanno visto la luce nell’arco di un ventennio: a partire dall’ampia monografia I composti nominali

latini. Una morfologia generativa, edita nel 1988, sono state gettate le basi di una

fruttuosa ricerca che ha avuto i suoi snodi principali attraverso un cospicuo numero di articoli comparsi in varie riviste scientifiche e dei quali si avrà modo di parlare nei dettagli. Dice ancora l’autore descrivendo con dovizia di particolari il modello esplicitamente adottato nella sua monografia8:

«Il presente lavoro è nato dalla convinzione che alcuni fra gli ultimi sviluppi della grammatica generativa possano gettare nuova luce anche sulla morfologia del latino, e che in particolare il campo della composizione nominale sia un terreno quanto mai adatto per mostrare come sia possibile, innovando alcuni presupposti teorici, raggiungere spiegazioni nuove, e forse più semplici e coerenti, di fenomeni linguistici che altrimenti rischierebbero di sfuggirci nella loro essenza».

I presupposti teorici sui quali è basata la monografia di Oniga si trovano negli studi di morfologia generativa elaborati principalmente da Mark Aronoff, Geert

6 A tal proposito mi sembrano condivisibili le parole di Renato Oniga nelle quali viene espresso il notevole arricchimento di cui ha giovato la linguistica delle lingue classiche attraverso il mutuo incontro tra un’impostazione “tradizionale” e le novità offerte dalla grammatica generativa (cfr. ONIGA 1988, pp. 45-46): «La grammatica generativa mi pare abbia aperto negli ultimi decenni una via percorribile facilmente proprio da chi, come il filologo classico, non voglia facilmente rinunciare ai metodi e ai risultati della grammatica tradizionale, che sono quasi sempre giusti, anche se spesso inutilmente complicati e poco espliciti».

7 Cfr. SCALISE 1984b, p. 41.

Booij e Sergio Scalise9. Secondo la cosiddetta “ipotesi modulare”, i diversi sottosistemi10 che formano la grammatica interagiscono tra loro pur restando chiaramente distinti per il fatto di occuparsi di ambiti peculiari e di essere regolati da principi specifici. Nel caso specifico della composizione nominale, il sottosistema coinvolto è quello della morfologia, al cui interno possono essere riconosciuti due livelli distinti.

Per prima cosa si deve distinguere la componente lessicale: semplificando al massimo essa può essere fatta corrispondere al “dizionario”, cioè alla sommatoria delle unità lessicali che un parlante ha interiorizzato. Queste parole sono “semplici”, cioè né derivate né composte, e di primo acchito possono essere intese come i lemmi che compaiono in un vocabolario: ovviamente essi non sono ordinati alfabeticamente ma piuttosto organizzati in una complessa rete che accomuna tra loro vocaboli caratterizzati da somiglianze fonetiche e semantiche. Secondo gli assunti teorici proposti in ARONOFF 1976 e successivamente sviluppati nelle opere di Sergio Scalise di cui si è detto in precedenza, si costruisce dunque una morfologia fondata non tanto sulle radici11 quanto piuttosto sulle “parole”12.

Il secondo livello del componenente morfologico è costituito da un quadruplice blocco di regole che agiscono sulle unità lessicali di cui si è appena detto, compiendo operazioni specifiche. Ad esse sono state attribuite le seguenti definizioni:

a. regole di derivazione (RD); b. regole di composizione (RC); c. regole di flessione (RF);

d. regole di riaggiustamento (RR).

A loro volta le regole di derivazione e quelle di composizione possono essere comprese in un iperonimo al quale è stato dato il nome di “regole di formazione di parola”13. Le prime due si differenziano infatti dalle successive regole di flessione e di riaggiustamento poiché queste modificano i temi nominali portandoli ad assumere la forma con la quale saranno inseriti nella struttura superficiale prodotta dal componente sintattico.

9 Cfr. ARONOFF 1976, messo poi a punto con varie modifiche in SCALISE 1983, SCALISE

1984a, SCALISE 1984b, SCALISE 1986, SCALISE 1990; cfr. anche ARONOFF 1994; ARONOFF -FUDEMAN 2005; BOOIJ 2005.

10 Essi vanno a coincidere con le categorie tradizionali di sintassi, morfologia, fonologia e semantica (cfr. SCALISE 1986).

11 Questo era stato per esempio il metodo applicato nella ricostruzione che si trova in BENVENISTE 1935 ma criticata aspramente già dagli studiosi a lui contemporanei e più recentemente in RISCH 1984 (cfr. supra).

12 Nel prosieguo della trattazione si avrà modo di discutere come debba essere inteso il concetto di “parola” anche alla luce di alcuni preziosi apporti che ci derivano dalla lettura dei grammatici latini e antico indiani.

Inoltre, al loro interno, le regole sono gerarchicamente organizzate: non possono agire in sequenza casuale ma seguendo un ordine che si riflette nella struttura lineare delle parole14.

Il modello appena descritto può essere schematizzato nel seguente modo.

Fig. 1: organizzazione del componente lessicale

Le regole di formazione di parola costituiscono un tentativo di rappresentazione di quel processo morfologico che permette da un lato la formazione di parole nuove per mezzo di parole già esistenti, dall’altro l’analisi di quelle complesse per mezzo di quelle semplici. E questo vale anche nel caso della composizione nominale: nell’unire due parole per formare un’unità più complessa, il parlante deve seguire una regola già presente nel sistema linguistico che sia condivisa anche dall’ascoltatore, il quale per mezzo della stessa regola è in grado di riconoscere all’interno della neoformazione non una ma bensì due parole già esistenti in forma indipendente. Nel formare un composto nominale non è pertanto sufficiente unire due vocaboli a caso, bensì occorre rispettare alcune restrizioni che non sono di natura esclusivamente semantica ma anche morfologica e sintattica: le regole di formazione di parola stabiliscono la natura di tali restrizioni e definiscono formalmente che cosa sia un “composto possibile” in una data lingua. La teoria generativa ambisce infatti a definire sia i principi universali del linguaggio, comuni a tutte le lingue, sia i parametri specifici che

14 Cfr. SCALISE 1984b, pp. 42-47: l’autore esemplifica quanto detto con due forme che per chiarezza ritengo opportuno citare per esteso.

Dizionario [banca]N [controlla]V

RFP [[banca]N + iere]N [[controlla]V + abile]A

RF [[[banca]N + iere]N + i]N [[[controlla]V + abile]A+ i]A

RR - -

assegnano ad una singola lingua la sua particolare fisionomia. Per questo motivo, lo stesso metodo generativo ha cominciato ad essere applicato non solo alle lingue indoeuropee, ma anche ad altre, come ad esempio l’ungherese15.

Per concludere, non può mancare un riferimento al recente contributo di Luisa Brucale16 edito nel 2012: in esso è proposta una classificazione dei composti latini fondata sul modello enunciato in SCALISE-BISETTO 2009 nel quale sono enunciati due criteri gerarchicamente ordinati. Essi sono:

 la relazione sintattica tra i membri del composti che può essere di subordinazione, coordinazione o attribuzione/apposizione;

 la presenza o l’assenza della “testa”17 che determina la natura endocentrica o esocentrica di ogni tipo di composto.

Graficamente questo può essere rappresentato come nella figura seguente.

Figura 2: classificazione dei nomi composti

15 Cfr. KIEFER 1992.

16 Cfr. BRUCALE 2012.

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