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I. Grammatica della legge

2. Lex e ius

L’impianto suareziano riarticola il concetto di legge lungo tre versanti.

Nel primo, è denominato “legge” tutto ciò che conviene a una cosa a motivo dell’inclinazione data dall’Autore della natura. Nel secondo, legge è l’insie-me delle leggi dell’arte o tecnica (ars) col’insie-me opera di ragione produttrice di artifi cialia97. In questa seconda accezione, legge è misura immanente alla tecnica, come le regole grammaticali o la retorica98. Con echi marsiliani, la

96. DM XXVII.3.11. Sull’unità del concetto di ente in polemica con l’analogia DM II.2.36. Bastit, Interprétation (cit. nota 92), p. 441.

97. Cfr. al riguardo Marsilio da Padova, Il Difensore della pace, 2 voll., tr. it. con testo a fronte, Rizzoli, Milano 2001, vol. I, cap. X, sui diversi signifi cati del termine legge: una

«inclinazione naturale sensibile verso una certa azione o passione», un’attitudine operativa e ogni forma di cosa producibile che esista nella mente «dalla quale, come da modello o misura, derivano le forme delle opere d’arte». Legge è poi intesa come regola che contiene gli insegnamenti delle azioni umane comandate «a seconda che esse siano ordinate alla gloria o alla punizione nella vita futura», dunque come legge religiosa. Infi ne, il termine «indica la scienza o l’insegnamento o il giudizio universale di ciò che è giusto e vantaggioso per la comunità civile, e il suo contrario». K. Schuhmann, La notion de loi, in Id. Selected Papers on Renaissance Philosophy and on Thomas Hobbes, Springer Science+Business Media, Dordrecht 2004, pp. 171-189, osserva che tutti e tre i signifi cati del termine ricompaiono in Hobbes. Al secondo signifi cato è da Hobbes attribuita nel De Corpore la qualità di «legittimo»

o di «dimostrazione legittima» cioè condotta secondo le regole del sillogismo. Un’analisi del rapporto tra Hobbes e Suárez riguardo al concetto di legge è in G. M. Chiodi, Legge naturale e legge positiva nella fi losofi a politica di Thomas Hobbes, Giuffrè, Milano1970, pp. 181-197.

In generale si v. A. Padovani, The Metaphysical Thought of Late Medieval Jurisprudence, in A. Padovani-P. Stein (a cura di), A Treatise of Legal Philosophy and General Jurisprudence – vol. VII, The Jurists’ Philosophy of Law from Rome to the Seventeenth Century, Springer, Dordrecht 2007, pp. 31-60.

98. L I.1.5.

legge è habitus operativo o insieme di regole e misure delle quali tutte le arti lecite e illecite si servono come guide del loro operare o meno99. Il tratto rilevante pare essere qui l’abbozzo di uno spazio tecnomorfo che disegna quasi un ambito di indifferenza morale, destinato a dislocare la defi nizione tomista di legge – misura degli atti, morali se a tale misura si conformano, obliqui se se ne discostino – ai margini della terza denominazione, propria e assoluta, di legge. Infi ne, la terza defi nizione di legge ha come immedia-to oggetimmedia-to polemico l’inclusione immedia-tomista del consiglio – regola e misura di un buon operare – nel concetto di legge. In Suárez la legge è operante nell’agire umano di modo che le azioni rivelano un ordine morale oggettivo, che è poi il fi ne divino stesso attuato in concorso con le cause seconde. La legge naturale è immediatamente riferita alle azioni umane, ai mores, è re-gula et mensura bonitatis actus100. Diversamente, «la legge umana è ... opera dell’uomo che promana immediatamente dal suo potere e dalla sua pruden-za, e posta per i sudditi come regola e misura del loro agire»101. La legge umana positiva è necessaria a motivo della generalità della legge naturale e divina, che abbraccia solo alcuni principi per se nota dell’agire, mentre alla città degli uomini molto altro è necessario al fi ne della sua recta gubernatio e conservatio. Ed è qui che la ragione umana interviene a determinare in maniera particolare ciò che la sola ragione naturale non è in grado di defi ni-re, appunto le regole dell’operare pratico della legge naturale morale102. La legge positiva umana aggiunge alla condizione naturale di socievolezza e privatezza le regole dell’appartenenza alla civitas e quindi la communicatio, in modo che ognuno provveda a sé e agli altri facendosi custode della pace e della giustizia sotto la guida delle leggi103. La città esplicita la volontà divina stessa ed è perciò che la legge umana assume tratti decisamente coattivi, in corrispondenza alla obbligatorietà naturale e divina. Ciò che Platone ha chiamato legge umana, Aristotele nomô dikaion, il giusto per legge, corri-spondono alla defi nizione di diritto cercata, ossia quel diritto che rende ne-cessarie azioni che senza di esso non avrebbero il segno dell’obbligatorietà.

Ma qui anche una differenza non lieve dalla tradizione: ciò che Cicerone ha chiamato «leggi del popolo», distinguendole dalla legge eterna e naturale, va sottoposto al vaglio della teologia che suddivide la legge temporale in naturale e positiva, secondo un’accezione di “positiva” che è più ampia di

99. È la seconda defi nizione di legge data da Marsilio da Padova, Il Difensore della pace (cit. nota 97), vol. I, cap. X § 3.

100. L I.1.8.

101. L I.3.17.

102. L I.3.18.

103. L I.3.19.

“umana”104. La legge umana che manifesta la legge naturale, promana dalla potestà e dalla prudenza, è opera comune dell’intelletto e della volontà, è un comando secondo ragione che da Dio proviene e si instaura nel mondo come

«regola delle cose giuste e ingiuste».

Lo sfondo in cui si muove l’argomentazione suareziana è la quaestio LVII De iure e la quaestio LVIII della Secunda secundae di Tommaso, che infeudava alla nozione di giustizia il campo morale del diritto (ius) come criterio oggettivo. La giustizia – che richiede per l’Aquinate la diversitas suppositorum – è la virtù che regola le relazioni, mentre il giusto è aliquod opus adaequatum alteri secundum aliquem aequalitatis modum ossia rende-re a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo una eguaglianza proporzionale105. Ora, in Suárez il triplice etimo di ius squaderna un passaggio chiave ver-so un decisivo «sconvolgimento linguistico» dell’impianto tomista. Il primo etimo afferma la derivazione di ius da iuxta ossia dalla conformità o simi-glianza in qualche uffi cio o azione. La prossimità e l’eguasimi-glianza implicate dalla preposizione sono tuttavia distanti dall’equità che indica il diritto. Il secondo etimo stabilisce l’origine di ius da iubere, comandare: nel parti-cipio iussum, composto (secondo l’etimologia suareziana) da ius+sum, è il comando stesso che dice «Sono il diritto (ius sum)»: l’essere del diritto discende dal comando che solo ne attesta l’effettività. L’identità di coman-do e ius instaura l’equivalenza ontologica di essere e atto, equivalenza per la quale il comando non è dell’ordine del possesso di un diritto ma ne è il fondamento di realtà. Il terzo etimo infi ne richiama Ulpiano per la deriva-zione di ius da iustitia. La risposta di Suárez all’obiederiva-zione che inverte la derivazione (iustitia da ius) fa leva sulla distinzione tra ordine causale e imposizione del nome. È infatti vero che iustitia deriva da ius «in relazione all’oggetto, e poi come causa fi nale o formale estrinseca», perciò la giustizia è defi nita dal diritto come suum cuique tribuere106, tuttavia la derivazione di ius da iustitia richiede che la giustizia sia volta all’eguaglianza ossia il giusto mezzo: se il iustum deriva da iustitia, l’eguaglianza si compie per il medio della giustizia107. Il diritto è causa di giustizia per modum obiecti (la giustizia è qui riguardata come oggetto del diritto), e al contempo è effetto della giustizia108. L’ambivalenza di ius riattiva le categorie della potenza e

104. L I.3.10.

105. ST IIa-IIae, q. 58 a. 2, resp.; a 11, resp.

106. «Nam priori modo verum est iustitiam derivari a iure (id est, ab eo quod in re iustum et aequum est) in ratione obiecti, ac subinde in genere causae fi nalis vel formalis extrinsecae.

Et hoc modo iustitia per ius defi nitur, quia ius suum cuique tribuit...»: L 1.2.2.

107. L I.2.2-3. I riferimenti sono a Isidoro, Etym., V.3.1 (Jus autem dictum quia iustum) e Agostino, In psalmum CXLV enarratio, n. 15.

108. L I.2.3 e 4.

dell’atto: se l’oggetto in potenza della giustizia è ciò che può divenire giu-sto109, tale oggetto deve essere actu per identifi carsi al giusto e denominarsi ius, termine che designa tutto ciò che è dell’ordine dell’equità (intesa come correctio legis e perciò condizione di generalizzazione di un atto) e confor-me a ragione, oggetto in generale di ogni virtù. L’equità è dell’essenza del giudizio e detiene nella sistematica una funzione di intervento in rapporto alle leggi civili, consuetudinarie e ordinarie al fi ne di assicurare il giusto nei casi particolari, riaffermando così il governo della contingenza rispetto all’astrattezza dei principi. Un ulteriore decisivo passo è compiuto mediante l’identifi cazione di ius con il potere o facultas moralis, a tutti e a ciascuno propria, sulle cose o su ciò che è dovuto (vel circa rem suam vel ad rem sibi debitam): è questo l’oggetto in senso proprio della giustizia. Lex e ius con-vergono in un nesso funzionale tra regola dei comportamenti e obbligazione giuridica che garantisce il rispetto della norma secondo giustizia e pruden-za110. La distinzione tra ius dominativum e ius praeceptivum fa del diritto un attributo del soggetto distinto dalla generica potestas o facoltà di agire, di un soggetto già carico di determinazioni dominative espansive della libertà del singolo111. L’associazione suareziana di una embrionale teoria dei diritti soggettivi a luoghi rilevanti della Summa theologiae permette di intendere come ius ossia come oggetto proprio della giustizia la facoltà morale quam unusquisque habet ad rem suam: una sorta di «conservatorismo morale»

coniuga ancora gli iura soggettivi con le regole di giustizia112.

109. Agostino, De civitate Dei, XIX, cap. 21, § 1: «Quod iure fi t, profecto iuste fi t» (L I.2.3). J.-P. Coujou, La reformulation de la question de la loi naturelle chez Suárez, in Id., Droit, anthropologie & politique chez Suárez, Éditions Artége, Perpignan, 2012, pp. 330-351 e p. 381.

110. L I.2.5. Borrelli, Ragion di stato (cit. nota 56), p. 45. Sulla distinzione tra ius come diritto soggettivo e lex come obbligazione cfr. W. Metz, Lex und ius bei Thomas von Aquin, in Transformation des Gesetzesbegriffs (cit. nota 45) pp. 17-36, e M. Walther, Facultas moralis – Die Destruktion des Leges Hierarchie und die Ausarbeitung des Begriffs des subjektiven Rechts durch Suárez. Ein Versuch, nel medesimo volume alle pp. 135-160. Cfr. anche V. Abril Castello, L’obligation politique chez Suárez. Bilan et perspectives, «Archives de Philoso-phie» 42 (1979), pp. 179-203.

111. Secondo Villey, La formazione (cit. nota 26), p. 327, «il termine di diritto sogget-tivo è già pressoché defi nitivamente elaborato». Sulla relazione essenziale, costitutiva, tra il dispiegamento del volontarismo e la dimensione del dominium all’interno della Seconda Sco-lastica cfr. i materiali raccolti in P. Grossi (a cura di), La Seconda ScoSco-lastica nella formazione del diritto moderno – Incontro di studio, Firenze, 16-19 ottobre 1972, Giuffrè, Milano 1973.

B. Tierney, L’idea dei diritti naturali. Diritti naturali, legge naturale e diritto canonico 1150-1625, tr, it., il Mulino, Bologna 2002. Sulla dottrina dei diritti soggettivi come spartiacque tra Tommaso e Suárez v. J. Finnis, Natural Law and Natural Rights, Oxford U.P., Oxford 1980, pp. 206-207.

112. L I.2.5, con riferimento a Dig. I.1.10. Barberis, Europa del diritto (cit. nota 2), pp.

138 ss., anche per la discussione della letteratura al riguardo. K. Haankossen, The Moral