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II. La legge naturale e l’obbligazione

1. Regno e provvidenza

Nella stratigrafi a del libro secondo del De legibus la trattazione della leg-ge eterna costituisce un elemento innovativo dell’impianto speculativo nel suo insieme, poiché mette a tema un problema che non trova ampio spazio nelle Disputationes metaphysicae1. La sistematica dell’unità del concetto comune e univoco di essere che comprende la molteplicità degli enti fi niti e l’ens infi nitum2 si ripete nell’esplicitazione del tema del governo divino del mondo e del rapporto tra ordine naturale e ordine giuridico-morale. Il ri-chiamo nel Proemio del libro primo al compito della teologia di considerare Dio legislatore sia mediante le cause seconde sia «come dicono i fi losofi » direttamente per virtù propria3, è ripreso nel Proemio del libro secondo in veste di differenza tra legge eterna e legge temporale. Si tratta di defi nire in misura più precisa di quanto avvenga nella tradizione stoico-ciceroniana4 il

1. Come è stato osservato da Th. Marschler, Verbindungen zwischen Gesetzestraktat und Gotteslehre bei Francisco Suárez im Begriff der lex aeterna, in O. Bach-N. Brieskorn-G.

Stiening (a cura di), Auctoritas omnium legum. Francisco Suárez’ De legibus zwischen Theologie, Philosophie und Jurisprudenz-Francisco Suárez‘ De legibus Between Theology, Philosophy and Jurisprudence, fromman-holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 2013, pp. 27-52. Il contrasto tra l’etica legalistica di Suárez e l’etica della virtù di Tommaso è riaffermato da M. Villey, Remarque sur la notion de droit chez Suárez, «Archives de Philosophie» 42 (1979), pp. 219-227.

2. J.-F. Courtine, Nature et empire de la loi. Études suaréziennes, Vrin, Paris 1999, p. 262.

3. L I, Proemium, p. 6: «... poiché è proprio di quella [la teologia] considerare Dio come legislatore è poiché Dio è il legislatore di tutto l’universo (universalis legislator) o attraverso cause seconde o per virtù propria (vel suppositi immediatione vel virtutis) ... è necessario che la medesima sacra dottrina faccia riferimento a tutte quante le leggi». In generale si v. i saggi raccolti in Aa.Vv., Sopra la volta del mondo. Onnipotenza e potenza assoluta di Dio tra Medioevo e età moderna, Lubrina, Bergamo 1986.

4. Su tale tradizione all’interno della trattazione tomista v. W. Metz, Lex und ius bei Thomas von Aquin, in M. Walther-N. Brieskorn-Kay Waechter (a cura di), Transformation

primato della legge eterna rispetto alle altre leggi. Per la sua propria «dignità e eccellenza» essa è legum omnium fons et origo, senza nulla togliere all’ar-duo compito di comporre la defi nizione generale di legge con la nozione di legge eterna.

Due le denominationes5 formali di legge eterna: la disposizione interna al legislatore, formulata nella sua mente, stabilita con decreto e promulgata come legge esterna esige una riconsiderazione delle premesse e dei risultati dell’impianto speculativo alla luce del nuovo problema e della concomitante dubitatio6 che investe l’esistenza stessa di una legge al contempo eterna e promulgata. Paradossalmente la legge è imposta alle creature e tuttavia non si dà dall’eternità un ente capace di ricevere legge: «è contraddittorio che vi sia un comando se non c’è qualcuno a cui si comanda». La legge eterna in quanto atto di governo è priva di soggetti ai quali imporsi7, quindi nell’e-ternità non si dà né governo né dominio né giurisdizione. La paradossalità attiene al registro del tempo: la promulgazione di legge (propria della legge in generale) presuppone un atto divino nel tempo secondo una necessità as-soluta, cosa che non può dirsi di nessuna legge8. Il paradosso si fa dubbio sull’esistenza stessa della legge eterna: se legge eterna vi fosse, essa sarebbe necessaria e immutabile, ma «nessuna legge è di per sé e assolutamente necessaria»9. La defi nizione di legge eterna esige dunque una dislocazione dell’intero quadro categoriale associato al concetto di legge, dall’obbliga-zione alla questione dirimente della promulgadall’obbliga-zione. Al riguardo, per evitare una oziosa contentio de verbis, bisogna ammettere che la legge eterna è già da sempre suo modo promulgata, non è ferenda ma lata dall’eternità, come eterno è l’imperio divino10. È dunque suffi ciente che essa sia stata

des Gesetzesbegriffs im Übergang zur Moderne? Von Thomas von Aquin zu Francisco Suárez, Franz Steiner Verlag, Stuttgart 2008, pp. 17-36; M. Schmeisser, Lex aeterna und lex naturalis – Francisco Suárez und Thomas von Aquin im Vergleich, in Auctoritas omnium legum (cit.

nota 1), pp. 73-96 (pp. 82-94).

5. L II.1.5. Si v. su status e denominationes le puntuali osservazioni P. C. Westerman, The Disintegration of Natural-Law Theory. Aquinas to Finnis, Brill, Leiden-New York-Köln 1998, p. 84 nota 18.

6. Uno studio del concetto suareziano di promulgazione è in M. Caciolini, Un’imprevista specialis diffi cultas: pubblicità senza interruzioni nell’opera di Suárez, in «Lo sguardo – Ri-vista di Filosofi a» n. 13 (2013), pp. 197-217.

7. Di conseguenza, la legge eterna non è legge in senso proprio: L II.1.1.

8. L II.1.1.

9. L II.1.1: «... ma dall’eternità non è mai esistito qualcuno capace di legge e dunque non ha potuto nemmeno esistere una qualche legge eterna... dall’eternità non poté esserci alcu-na promulgazione, poiché non vi era nessuno a cui promulgarla...» (tr. it. modifi cata). Cfr.

Westerman, Disintegration (cit. nota 5), pp. 82-86; D. Recknagel, Einheit des Denkens trotz konfessioneller Spaltung. Parallelen zwischen den Rechtslehren von Francisco Suárez und Hugo Grotius, Peter Lang, Frankfurt a.M. 2010, pp. 34 ss.

10. L II.1.6: «... come la volontà divina è eterna, così lo è anche il suo comando

(impe-fatta pro suo tempore e che i sudditi ne vengano a conoscenza «per interio-re rivelazione»11. Se del risalire dall’effetto alla causa non tutti gli uomini sono capaci, tuttavia a tutti è dato partecipare della legge eterna mediante il semplice giudizio sul bene da perseguire e sul male da evitare. Tuttavia, in quanto manifestazione della volontà divina, la legge eterna, «fonte e ori-gine» di tutte le leggi create che di essa partecipano12, a motivo della sua unità semplicissima non può essere conosciuta direttamente dagli uomini ma soltanto partecipata per segni e effetti13. Solo apparente pare tuttavia la ripresa del carattere attivo della partecipazione rinvenibile già defi nito da Tommaso: dominante è invece in Suárez l’accento sul carattere eminen-temente passivo/ricettivo del segno. Lo scarto tra leggi naturali per atto di creazione e leggi positive aggiunte alla natura si amplifi ca nell’insuperabile distanza tra la legge e le leggi temporali che della prima sono i segni: la par-tecipazione alle leggi divine (naturale e positiva) si riduce a mera procedura di signifi cazione14.

Da qui deriva che la legge eterna non obbliga mai per sé stessa, separata da ogni altra legge, ma deve necessariamente essere unita a qualche altra legge, per obbligare di fatto.

Perché non obbliga di fatto se non quando è promulgata all’esterno; ma non è promulga-ta sino a quando non è promulgapromulga-ta una qualche legge divina o umana. In questo senso si può dire che la legge eterna non obbliga mai immediatamente, ma per mezzo di qualche altra legge... quando è applicata per mezzo della legge divina, il motivo principale e prossimo dell’obbligazione è la stessa legge eterna; e la legge esterna, che lì è intervenu-ta, è solamente un segno che indica la legge che obbliga in via di principio15.

La legge eterna non è dunque nota per sé ma comunicata attraverso il me-dio di una legge data nel tempo, la legge naturale, vera legge divina16. Nella nomenclatura degli atti divini, la legge eterna non implica necessariamente un atto transeunte e conserva anche in immanenza la natura di vera legge.

rium); infatti il comando consiste nella sua essenza, nella volontà stessa» [tr. it. modifi cata].

L II.1.7: «... come la provvidenza dice una considerazione delle cose previste, e nondimeno può essere eterna, sebbene le cose previste accadano nel tempo, così anche il termine legge può indicare relazione (habitudinem) con i sudditi ed essere eterna».

11. L II.1.11. Cfr. Recknagel, Einheit (cit. nota 9), p. 37.

12. La nozione di partecipazione rinvia a DM X.3.8 che tratta della causa fi na-le e della causa effi ciente. Cfr. R. Darge, Suárez transzendentana-le Seinsausna-legung und die Metaphysiktradition, Brill, Leiden 2004, pp. 357-363. Sul problema della partecipazione del-le del-leggi alla del-legge eterna si v. P. Fornari, La natura e il sovrano. La ricerca dell’ordine nella rifl essione morale e politica di Francisco Suárez, Aracne, Roma 2017, pp. 261 ss.

13. L II.4.9.

14. Cfr. Fornari, La natura e il sovrano (cit. nota 12), p. 263.

15. L II.4.10.

16. L II.1.11 e 6.13. Cfr. Schmeisser, Lex aeterna (cit. nota 4), pp. 73-96.

Se l’eterno atto immanente divino si fa transeunte17, acquisisce carattere im-perativo mediante una legge esteriore che della legge eterna partecipa. Ciò signifi ca che la legge eterna in sé non obbliga direttamente ma solo in poten-za, poiché manca della promulgazione che sola obbliga i soggetti: essa è cioè più obbligativa, fonte di obblighi, che obbligo specifi co. Lo statuto di pro-mulgazione riferito alla legge eterna assume la fi gura di un paradosso tem-porale dell’obbligazione: perché la legge eterna sia intesa come comando, i destinatari del comando dovrebbero precedere il comando stesso. La para-dossia intrinseca alla temporalità dell’obbligazione18 comporta l’abbandono di una nozione unitaria di legge eterna, la cui effi cacia è certo connessa alla legge naturale nel cuore degli uomini e tuttavia non immediatamente, poiché non sulla volontà umana essa si fonda bensì la lega19. La conseguenza è uno scarto costitutivo tra legge eterna inaccessibile e le sue articolazioni nel tem-po e quindi il venir meno di ogni principio analogico dell’ordine morale20.

Tra le leggi temporali da Dio direttamente promulgate come segni della legge eterna e le leggi promulgate dal legislatore umano sussiste uno scarto.

In quanto posta nel legislatore umano, infatti, la legge naturale è sì la stessa legge eterna ma il suo signifi cato è «puntuale e inadeguato»21 ossia non è effetto immediato della legge eterna. Quale allora il rapporto tra la legge eterna e le leggi che di essa partecipano? Se si assumesse che la legge umana è effetto diretto della legge eterna, ne discenderebbe che la prima riceverebbe da questa la propria vis obligandi e obbligherebbe per diritto divino e non umano, quod est clare falsum. Dio agisce «più direttamente attraverso la sua

17. «come la volontà divina è eterna, così lo è anche il suo comando: infatti il comando consiste nella sua essenza in un atto di volontà... e se anche si chiamasse comando la ragio-ne stessa o il giudizio sulle cose da fare, anche questi ragio-nella mente di Dio sarebbero eterni»:

L II.1.6 (tr. it. modifi cata).

18. Una legge non può obbligare se non promulgata all’esterno, ma la legge eterna non è promulgata, quindi non obbliga: «... ma l’obbligare di fatto è un effetto temporale. Dunque la legge eterna non obbliga» (L II.4.10).

19. L II.5.12. Cfr. M. Walther, Facultas moralis – Die Destruktion des Leges Hierarchie und die Ausarbeitung des Begriffs des subjektiven Rechts durch Suárez. Ein Versuch, in Transformation des Gesetzesbegriffs (cit. nota 4), pp. 135-160, p. 144: «Die Bestimmung der lex naturalis als derjenige Teilmenge der alles Geschaffene auf sein natürliches Ziel hinlenkenden lex aeterna, an welcher der Mensch als vernunftbegabtes Geschöpf in der Weise teilhat, dass er sie als Regel und Musterbild seines eigenen Handels erfassen und sich an ihr orientieren kann, also diejenige Thomas von Aquins, ist Suárez durch seine Kritik am Gesetzcharakter der lex aeterna versperrt».

20. Così Fornari, La natura e il sovrano (cit. nota 12), p. 262.

21. L II.4.7. Di qui la necessità di distinguere in essa due denominationes: a) dapprima della legge eterna che come tale prescinde da ogni promulgazione e pertanto da creature esistenti in atto; b) poi quella promulgata e perciò obbligante nel tempo creature esistenti in atto; essa può essere detta divina nel senso che connota una condizione di comunicazione suffi ciente e di promulgazione all’esterno (L II.4.7).

volontà che attraverso il suo intelletto» e pertanto la legge eterna è il libero decreto della volontà divina che precede l’atto di conoscenza22, e da questa volontà procede con effi cacia tutta la forza necessaria ad obbligare in manie-ra determinata23. E ciò signifi ca: per il medio della legge umana che obbliga per diritto umano e non in virtù della sua partecipazione alla legge eterna24. Se l’effi cacia obbligante della legge consiste nella sua conformità a ragione, essa esiste formalmente nel legislatore e nei sudditi come suoi esecutori. In quanto posta nei sudditi, la legge eterna esige l’intermediazione del legislato-re umano, causa costitutiva della legge ovvero causa prossima dell’obbliga-zione25, che ha il potere di stabilire leggi nuove e distinte dalla legge divina:

«l’obbligazione deriva direttamente da questa volontà [del legislatore uma-no], anche se essa deriva radicalmente e integralmente dalla legge eterna»26.

La legge naturale è l’esercizio stesso della ragione nel discernimento pratico del bene. Essa però

non indica Dio come colui che la ordina, ma indica che cosa sia in sé stesso buono o cat-tivo... come la visione di un oggetto indica che esso è bianco o nero, e indica Dio come suo autore, in quanto è un effetto di Dio, ma non indica Dio come colui che ha posto la legge per la quale esso è bianco o nero27.

Sebbene nell’intelletto divino i giudizi pratici (non mentire, adempiere le promesse) precedano la volontà, essi non hanno natura di legge28. Riguar-data ex parte creaturarum la legge naturale è indicativa di ciò che è in sé stesso buono o cattivo e indica l’Autore, ma non lo indica come colui che ha posto la legge dell’oggetto29. Se intesa restrittivamente in senso indicativo, la legge naturale è priva di qualità precettiva, e pertanto la sua qualità nor-mativa potrà derivare unicamente dalla volontà divina, la sola capace per se di essere principio di obbligazione morale. La legge naturale si manifesterà allora sia nel retto giudizio razionale sia come precetto normativo: il solo Deus legislator può fare di un giudizio ostensivo una prescrizione normati-va, mediante l’aggiunta della propria voluntas obligandi30.

22. L II.3.6. Cfr. R. Specht, Zur Kontroverse von Suárez und Vázquez über den Grund der Verbindlichkeit des Naturrechts, «Archiv für Rechts- und Sozialphilosophie» 45 (1959), pp. 235-255.

23. L II.3.9.

24. L II.4.3.

25. L II.4.8 e L II.4.10.

26. L II.4.8.

27. L II.6.2.

28. L II.2.6-7-8.

29. L II.6.2.

30. L II.6.8: «Quanto la legge naturale indica essere un male, è anche proibito da Dio mediante un precetto e una volontà specifi ca, con la quale vuole che siamo tenuti e, in forza

Il paradosso temporale interno al concetto di promulgazione comanda la riarticolazione della partecipazione – dalla legge eterna alla legge natu-rale e alla legge umana civile e ecclesiastica – secondo una graduazione di obbligazioni differenti e gerarchicamente ordinate come applicazione normativa dei precetti divini31. Se con Tommaso è lecito attribuire alla leg-ge eterna un duplice statuto – disposizione interna e atto immanente al legislatore divino da un lato e atto esteriore, transeunte e temporale, del legislatore umano dall’altro – va tuttavia tenuto fermo che nella prima ac-cezione la legge eterna non si impone a Dio stesso, né come legge positiva né come legge naturale. Negli atti interni alla mente divina non è né libertà né legge32, e pertanto la legge eterna non si dà nella mente divina come legge positiva: Dio non può obbligare sé stesso e de potentia absoluta può non osservare qualunque legge. Diversamente, de potentia ordinata, egli non agisce contro un proprio decreto perché sarebbe contraddittorio e ren-derebbe ineffi cace la sua stessa volontà. Ciò importa che l’obbligazione morale non attinge la propria effi cacia che dalla manifestazione ordina-ria della volontà divina, pur restando sempre possibile una intimazione della sua volontà extra omnem ordinem come economia o disposizione33. La ricostruzione del rapporto tra stabilità dell’ordine giuridico (potentia ordinata) e assoluta potenza divina passa attraverso la defi nizione del ca-rattere operativo – dunque eccedente l’ordine ontologico – del governo provvidenziale.

Come legge di governo delle cose, la legge eterna è artifi cio alle creature rivolto ma non una legge che costringa Dio a governare all’interno di quel paradigma. Sebbene una comprensione effettiva della provvidenza morale fuoriesca dalla fi losofi a, poiché molte indicazioni divine sono parte della

della sua stessa autorità, obbligati ad osservarla». Si v. Fornari, La natura e il sovrano (cit.

nota 12), p. 267.

31. L II.4.3. Fornari, La natura e il sovrano (cit. nota 12), p 266.

32. L II.3.5: «... la legge eterna non si radica negli atti dell’intelletto divino in quanto...

precedono i liberi decreti di Dio. La prova è che in essi, in quanto tali, non c’è libertà; di con-seguenza nemmeno legge. Sempre per questo motivo né la provvidenza né la predestinazione sono concepite nell’intelletto divino prima di ogni libera disposizione della sua volontà, per-ché sia l’una sia l’altra esprimono un atto libero. Dunque neppure la legge eterna può essere intesa come esistente nell’intelletto divino in sé considerato».

33. Fornari, La natura e il sovrano (cit. nota 12), p. 265. F. Oakley, Omnipotence, Cov-enant and Order. An Excursion in the History of Ideas from Abelard to Leibniz, Ithaca and London, Cornell U.P., 1984. G. Agamben, Il Regno e la Gloria. Per una genealogia dell’eco-nomia e del governo – Homo sacer II, 2, Neri Pozza Editore, Vicenza 2007, p. 104. In Agosti-no, «Dio è, in sé, extra ordinem, ovvero egli è ordine solo nel senso di un ordinare e disporre, cioè non di una sostanza ma di un’attività». D. Ferraro, Il dibattito sulla potentia Dei nella Seconda scolastica, in G. Canziani-M.A. Granada-Y. Ch. Zarka (cur.), Potentia Dei – L’onni-potenza nel pensiero dei secoli XVI e XVII, FrancoAngeli, Milano 2000, pp. 157-172.

rivelazione positiva e senza questa incomprensibili34, tra rivelazione e pro-mulgazione si istituisce una parziale analogia, supportata dalla distinzione tra atto immanente e transeunte: si dà legge eterna in Dio nonostante che la legge che si applica alle creature non sia eterna. In effetti, la nozione di legge eterna contiene due analogie: una ex parte legis per la quale il governo divino delle cose naturali e l’obbedienza delle cose irrazionali sono tali sol-tanto metaphorice, e una ex parte creaturarum per cui le creature razionali sono «governate in modo morale e politico» e in tal senso la legge è vera legge come vera è l’obbedienza ad essa dovuta35. In defi nitiva, la legge eter-na, platonicamente identica alla ragione divina che governa l’universo, è la sola vera legge emanata da Dio legislatore e sovrano, costituita rettamente nella sua volontà. Essa può anche essere intesa metaforicamente come leg-ge in relazione alle cose che operano per necessità naturale, tenendo però fermo che Dio opera in esse anche senza che esse cooperino liberamente36. La legge eterna non è dunque una regola alla quale Dio si attenga ma è il governo stesso delle opere ad extra, ne prescrive l’inviolabile ordine inter-no, restando al contempo affatto libera la legge37. La legge eterna è legge di governo delle cose, lex gubernandi seu operandi artifi ciose38, ma essa non si impone alla volontà divina. L’ordine delle cose è il loro stesso governo, è provvidenza, legge e misura del mutamento. Con Agostino: Lex incommu-tabilis omnia mutabilia pulcherrima moderatur gubernatione39.

Nell’eco-34. Su ciò De Deo uno III.10.7.

35. L II.2.13.

36. L II.3.8. Come nota Marschler, Verbindungen (cit. nota 1), p. 37, «Das exakte Modell für die Vereinbarkeit von Gottes ewigem Weltplan mit der Realität geschöpfl icher Freiheit muss an dieser Stelle unberücksichtigt bleiben, weil es mitten in die Debatten de praedestinatione und de auxiliis hineinführen würde, die bei allen Barocktheologen grossen Raum einnehmen und auch bei Suárez in eigenen Traktaten getrennt von der Defi nition des Vorsehungsbegriffs geführt werden».

37. L II.3.2.

38. L II.2.9: «... la legge eterna, in quanto è la legge del governo divino delle cose ossia dell’operare divino per mezzo dell’arte (lex gubernandi, seu quasi operandi artifi ciose), si può dire che abbia natura di legge rispetto alle cose oggetto del governo, ma non a Dio stesso o alla sua volontà... A ragione si può affermare che quando Dio ha stabilito la legge eterna riguardo al governo delle creature (circa gubernationem creaturarum), l’ha costituita per le stesse creature perché fossero mosse secondo quella legge; ma non l’ha imposta a sé stesso, per essere costretto a governare secondo quella. Infi ne la legge, se colta nel senso proprio del termine, è l’ordine del superiore riguardo ad un inferiore dato per mezzo del proprio coman-do» (tr. it. modifi cata).

38. L II.2.9: «... la legge eterna, in quanto è la legge del governo divino delle cose ossia dell’operare divino per mezzo dell’arte (lex gubernandi, seu quasi operandi artifi ciose), si può dire che abbia natura di legge rispetto alle cose oggetto del governo, ma non a Dio stesso o alla sua volontà... A ragione si può affermare che quando Dio ha stabilito la legge eterna riguardo al governo delle creature (circa gubernationem creaturarum), l’ha costituita per le stesse creature perché fossero mosse secondo quella legge; ma non l’ha imposta a sé stesso, per essere costretto a governare secondo quella. Infi ne la legge, se colta nel senso proprio del termine, è l’ordine del superiore riguardo ad un inferiore dato per mezzo del proprio coman-do» (tr. it. modifi cata).