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Guillermo Cabrera Infante, IL LIBRO DELLE CITTÀ, ed. orig. 1999, trad. dallo spagnolo di Silvia Sichel, pp. 220, € 15,49, il Saggiatore, Milano 2001

Dello scrittore cubano Guillermo Cabrera Infante, esule dal suo paese dal lontano 1965, il lettore italiano ha già a disposizione i romanzi Tre tristi tigri (1976; il Saggiatore, 1997) e L'Avana per un infante defunto (1979; Garzanti, 1998), oltre alla raccolta di articoli giornalistici dal titolo Mea Cuba (1992; il Saggiatore, 1996). Al lettore che co-nosce l'opera di Cabrera Infante non sfug-girà l'assenza dell'Avana - città ossessiva-mente protagonista, con rabbia e con nostal-gia, dei suoi romanzi - in questa raccolta di memorie e divagazioni a partire da città in cui lo scrittore ha vissuto (Madrid, Bruxelles, Londra) o in cui è transitato portandosi via più di un'impressione (Los Angeles, Las Ve-gas, Miami, New York, Rio, Bahia, Parigi). A ben guardare, però, questa rimozione malin-conica dell'esule - anche di quello volonta-rio come Cabrera Infante - alimenta queste pagine in cui, come si legge nel brano intro-duttivo, l'autore ha cercato "in altre città lo splendore che fu dell'Avana". Non si tratta, ovviamente, di un tradizionale Baedeker, an-che se, per alcune città - come Londra, do-ve risiede - lo scrittore ci fornisce do-veri e pro-pri itinerari da seguire e consigli per lo shop-ping. Si tratta, invece, di un arguto viaggio dell'intelligenza e della memoria - persona-le, letteraria e cinematografica - attraverso luoghi che lo sguardo sensibile dello scritto-re finisce per scritto-reinventascritto-re, anche grazie ai suoi stravaganti giochi con la toponomasti-ca, svelando paesaggi che credevamo fin troppo conosciuti.

VITTORIA MARTINETTO

Antonio Munoz Molina, CARLOTA FAINBERG,

ed. orig. 1999, trad. dallo spagnolo di Enrico Miglioli, pp.149, € 14,46, Mondadori, Milano 2001

Due uomini, che hanno in comune solo il fat-to di essere entrambi spagnoli, si incontrano casualmente nella sala d'attesa di un aeropor-to statunitense. Claudio, professore di lettera-tura, è diretto a Buenos Aires per una confe-renza su Borges; Marcelo, estroverso e logor-roico manager aziendale in attesa dell'ennesi-mo volo di lavoro, gli

nar-ra l'intensa avventunar-ra erotica da lui vissuta cin-que anni prima con la bellissima e sensuale Cariota Fainberg, incon-trata in un ormai fati-scente Grand Hotel di Buenos Aires. Claudio, inizialmente annoiato, si lascia pian piano intriga-re dal misterioso raccon-to; giunto a destinazio-ne, ritrova ambienti e ascolta rievocazioni di fatti che corrispondono - o sembrano corrispon-dere - puntualmente al

racconto di Marcelo: tutto combacia, persino la fugace apparizione di una donna che non può essere che Cariota. Ma le cose non stanno co-sì: improvvisamente i limiti tra realtà e finzione si confondono e ci troviamo in piena atmosfera borgesiana. D'altra parte, l'intero romanzo è si-nuosamente percorso da indizi che gettano di-scredito sulla presunta oggettività degli eventi raccontati. Da un lato, il primo narratore (Clau-dio) spesso insiste sul carattere letterario o ci-nematografico di quanto sta ascoltando; dal-l'altro, il secondo narratore (Marcelo) dissemi-na di silenzi e imprecisioni la propria esposi-zione dei fatti. Ne nasce una storia ambigua, in cui realtà e finzione, passato e presente non sono divisi che da una tenue frontiera.

( V . S . )

Antonio Agostinho Neto, SPERANZA SACRA, ed.

orig. 1963, a cura di Fedro Francisco Miguel, testo portoghese a fronte, pp. 242, € 15,49, Lavoro, Roma 2001

Antónìo Agostinho Neto è stato il primo presidente dell'Angola libera, dal 1975 (an-no dell'indipendenza) fi(an-no al/a morte prema-tura nel 1979. L'attività politica non lo ha di-stolto dall'impegno culturale, concretizzato essenzialmente in una produzione lettera-ria in cui la forza creativa mai si dissocia dal-l'appello alla lotta di liberazione. Il poeta-presidente divenne cosi una delle voci più interessanti e ascoltate della moderna let-teratura angolana. Stupisce però la legge-rezza con cui editore e curatore affrontano il compito di presentare al pubblico italiano di oggi il titolo forse più significativo tra le opere di Agostinho Neto. Manca, ad esem-pio, una nota editoriale che chiarisca di qua-le edizione in lingua originale si siano servi-ti (potremmo dedur-re che Pedro Francisco Miguel si basi sull'e-dizione postuma del 1979, messa a punto dalla Uniào dos Escri-tores Angolanos, ma si tratta di una congettu-ra, non di una certez-za). Sembra ancora più strano che si ometta ogni riferimento alla prima edizione di Sa-grarla Esperanpa, pub-blicata dal Saggiatore nel 1963 e intitolata

Con gli occhi asciutti. Curiosamente, questa

"prima assoluta" di Sagrada Esperanga si presentava corredata della traduzione italia-na a fronte del testo origiitalia-nale, esattamente come nel caso del volume messo ora in cir-colazione dalle Edizioni Lavoro. Suonano anche francamente discutibili le affermazio-ni del curatore riguardo i ruoli del protestan-tesimo metodista e del cattolicesimo nella formazione della coscienza patriottica ango-lana e, infine, certe scelte di traduzione: ad esempio, l'espressione maos esculturais, che pervade il testo, viene sistematicamente resa "mani che scolpiscono", il che impove-risce e tradisce sia il corpus di immagini sia il senso più immediato della poesia.

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Dacia Maraini, LA NAVE PER KOBE. DIARI GIAPPONESI DI MIA MADRE, pp. 260 € 15,49, Rizzoli, Milano 2001

Fosco Maraini, a colloquio con l'ami-chevole intervistatrice Maria Pia Simo-netti, ha da poco rilasciato un nuovo rac-conto autobiografico, il Viaggiator

curio-so (Passigli, 2001; cfr. "L'Indice, 2002,

n.1). Ora Dacia, in un'edizione natalizia impreziosita dal materiale iconografico (disegni, fotografie, riproduzioni auto-grafe), mette in piena luce, accanto al celebre padre, la figura della madre To-pazia Alliata, di cui presenta e commen-ta gli inediti quaderni d'appunti, in-cominciati durante il viaggio per mare che li portava "giovanissimi innamorati" in Giappone (imbarco da Brindisi il 31 ottobre 1938, e attenzione alla data) e proseguiti fino al 1941 nel quieto sog-giorno a Tokyo, Sapporo, Kyoto. Dopo ci sarà il campo di concentramento, due anni di prigionia

quando "ci han-no chiesto di fir-mare per la Re-pubblica di Sa-lò". Parole di To-pazia, tuttora fe-dele a se stes-sa: "Dissi che il nazifascismo non concordava con le mie idee". Belli ed eccen-trici, e vitalmen-te longevi, que-sti genitori dai nomi inusuali! Questa madre intenta alle cure

dell'allevamento. Questa coppia ardita che andava nel mondo con una naturale sprezzatura del conformismo. Così lì ve-de e ricorda questa figlia, la primogeni-ta (e inprimogeni-tanto nascevano Yuki e Toni), in un continuo andirivieni fra la vita mater-na e la propria, e fra gioventù e vec-chiaia e la propria infanzia e il proprio in-vecchiamento. È dalle cronache di

Ba-gherìa, e dal successo dì Marianna Ucrìa, dunque da una decina d'anni

al-meno, che Dacia Maraini ha preso a la-vorare sulla memoria e a ricomporre da svariate prospettive una storia di fami-glia. Ma anche chi credeva di saperne già abbastanza sul ricomposto affresco personale di parentele e culture, qui ha qualche sorpresa: una deliberata inge-nuità, un confessato lasciar fare ai senti-menti nel malinconico fluire del tempo.

LIDIA DE FEDERICIS

dramma accentuando i tratti burattine-schi del proprio personaggio. Eccola in treno a Padova, dove scende e corre al decimo binario: "Ma devo ricordarmi che alla mia età le vecchie si rompono i fe-mori". Vedi la forza straniarne di un sem-plice plurale. Così Adorno e Pecorini, di-versamente avventurosi, affiancano nel libriccino, a distanza d'un secolo, due opposte esperienze e modalità di scrittu-ra autobiogscrittu-rafica.

( L . D . F . )

Luisa Adorno e Daniele Pecorini-Manzoni,

FOGLIA D'ACERO: IL DIARIO RITROVATO,

pp. 204, € 9,30, Sellerio, Palermo 2001

Il diario scomparso, dopo un'edizione romana del 1937, e ora ritrovato, aveva un titolo vago, Foglia d'acero, e un sotto-titolo didascalico, Scene di vita in Corea

e in Giappone durante la guerra russo-giapponese (1904-1905). L'autore era

Daniele Pecorini: un "gentiluomo veneto d'antico stampo" (scriveva l'amico cura-tore) o meglio un padovano senza timi-dezze, laureato in diritto internazionale, naturalizzato inglese, e da Londra partito per l'Oriente con funzioni commerciali (e diplomatiche, politiche). Pecorini ebbe la sorte di trovarsi poi imparentato, benché lateralmente, con la curiosissima Luisa Adorno che gli ha ridato vita. Pecorini racconta, in terza persona e con il dan-nunziano pseudonimo Paolo dall'Aquila, incontri e amori esotici. Luisa Adorno racconta, con la bella voce conversevo-le che conversevo-le conosciamo, la propria ricerca per atlanti e per treni, e commenta infine il diario facendone emergere la storia d'un amore incupito, un femminile annul-larsi per amore. Ma corregge il

melo-Antonella Sbuelz Carignani, IL NOME NUDO,

pp. 156, € 10,33, Mobydick, Faenza (Ra) 2001

La memoria ha spesso un sapore do-loroso. Nell'intimismo crudo, eppure poe-tico, di questo romanzo davvero molto bello, Sbuelz recupera il passato remo-to delle colpe belliche, alla ricerca di una

risposta che sia anche la con-clusione delle in-tolleranze. Solo in chiusura, con un finale che ci ha riportato in mente quello del "Raggio d'om-bra" di Pontig-gia, conoscere-mo "il nome nu-do" rincorso dal-la narratrice Giu-lia sulle trac-ce del ricordo. Il passato è quel-lo della sorella maggiore Elena, nascosto tra le pagine di un diario recu-perato in segreto, mentre il tempo è tra-scorso e molti piccoli misteri familiari re-stano irrisolti. Le date degli appunti sono inequivocabili, tra una Venezia del 1944 e una Cividale del '45, in cui Elena dovreb-be scontare la colpa di mettere al mondo un figlio, nato - sembrerebbe - da una re-lazione poco più che adolescente. Ma la storia privata si illumina di lampi atroci, che coinvolgono amici ebrei in uno dei periodi più neri della guerra. Giulia intui-sce una soluzione che in qualche modo la coinvolge, sente che quei nomi lontani appartengono a un segreto che ha modi-ficato la sostanza della sua stessa fami-glia. E la rivelazione, toccante, sarà il sug-gello di un'odissea sotterranea in cui il so-spiro tenue delle vicende private si sposa con la grande, dolorosa epopea della Sto-ria con le sue ingiustizie, le sue vittime, i segreti sepolti. Ben calibrato da una ten-sione narrativa intimista, talvolta solo sug-gerita, il romanzo riesce a crearsi una sua giustificazione essenziale, tra memoria - appunto - e cronaca del passato.

SERGIO PENT

Margaret Mazzantini, NON TI MUOVERE,

pp. 295, € 16,53, Mondadori, Milano 2001

È un monologo sofferto l'ultimo roman-zo di Mazzantini. Una sorta di confessione - resa alla figlia in coma - da parte di un chirurgo di mezza età, "sfondato dal dolo-re" non solo a causa delle condizioni del-la ragazza, ma anche per del-la consapevo-lezza di non essere mai riuscito a voler bene davvero ad alcuno: né alla sin trop-po bella consorte, né all'amante, e nep-pure alla figlia Angela con cui si è sempre comportato da padre assente. Così, men-tre la giovane è sotto i ferri di un collega, il genitore si rivolge a lei attraverso un amaro soliloquio in cui ripercorre impieto-samente gli ultimi sedici anni della propria vita; a partire dal giorno dell'incontro con Italia: donna semplice, "scialba" e di umi-li condizioni, verso cui tuttavia il dottore prova un'attrazione irresistibile, li rapporto conflittuale con la donna - intessuto di

squallore e tenerezza, di sensi di colpa e slanci generosi - mette però in crisi il ma-trimonio del medico, la cui intesa è solo di facciata. Ma è difficile essere autentici, e il chirurgo - affettivamente un eterno bam-bino - non è in grado di scegliere metten-dosi davvero in discussione. Verrà quindi trascinato in una relazione ambigua e de-gradante, fino al suo epilogo drammatico, paradossalmente contrassegnato da un evento mortifero (la scomparsa di Italia in seguito a un aborto) e vivifico (la nascita della figlia legittima Angela). Romanzo in-torno alla precarietà e all'ambivalenza dei sentimenti, Non ti muovere è una storia sulla difficoltà di amare, narrata con una scrittura di grande sensibilità precisa nel-lo scavo emozionale, poetica per la prgnanza metaforica delle immagini, e-spressiva d'una pietas umanissima e coinvolgente.

FRANCESCO ROAT

Isabella Bossi Fedrigotti, CARI SALUTI,

pp. 194, € 14, 98, Rizzoli, Milano 2001

La vicenda si svolge intorno a un per-sonaggio che non c'è: Paolo, scomparso all'improvviso, apparentemente senza motivo. Per tentare di fare luce sulle ra-gioni di un fatto che diventa enigmatico quanto più viene indagato, prendono la parola l'ex fidanzata e l'attuale, la madre, la sorella, il fratello, l'amico dei cuore. Nel ricercare indizi, formulare ipotesi, insegui-re soluzioni attendibili, ciascuna "voce" scandaglia il passato della propria rela-zione con l'assente, facendo emergere contraddizioni, sensi di colpa, tradimenti, incomprensioni, cattiverie, tenerezze, se-greti. La lettera finale, che credo giustifi-chi il titolo, scioglie solo parzialmente il mistero. Ritoma, in questo ultimo romanzo di Bossi Fedrigotti, la stessa tecnica po-lifonica adottata in Casa di guerra (1983) e nel più noto Di buona famiglia (1991), funzionale alla descrizione della multi-forme realtà psicologica e affettiva. Ri-torna anche lo

stesso milieu al-to borghese in fase decaden-te, caratterizzato da sottili per-versioni endo-gamiche, da u-na spiccata ten-denza alla rimo-zione e da diffi-coltà comunica-tive fra i suoi componenti. La casa e i mobi-li - come già magistralmente sperimentato nel 1996 in

Magaz-zino vita -

occu-pano il cuore simbolico della rete

interperso-nale della famiglia. Non a caso Cari saluti è dedicato "agli amati inquilini delle stan-ze in fondo", e non è certo solo una trova-ta un po' snob, se la scrivania contesa tra i fratelli risarcisce la mancanza di un dia-logo franco e affettuoso ed è per la madre merce di scambio di un segreto mai sve-lato. Stessa ironia elegante, stesso stile garbato dei migliori romanzi della giorna-lista roveretana.

LUISA RICALDONE

apprezzerà senz'altro lo stile essenziale di Anna Gavalda, giovane scrittrice francese che esordisce con questa raccolta di do-dici taglienti piccole storie nelle quali si muove una minuscola galleria di cosiddet-te "persone comuni": il ragioniere timido innamorato della collega e assediato dalle sorelle hippy che gli affollano la casa di improbabili amici tatuati e fidanzati scroc-coni, l'aspirante scrittrice con manoscritto sottobraccio colta da panico a colloquio con l'editore, gli studentelli ricchi che si fanno belli con l'auto del padre. Con pochi dettagli Gavalda regala ai suoi personag-gi colore e consistenza, con uno humour fresco e un gusto per la sorpresa (il miglior esempio è Junior, dal finale esilarante e in-sieme crudele). Silvia Ballestra, che ha cu-rato la traduzione dal francese, sottolinea appunto nella sua breve introduzione que-sta attitudine all'ironia, forse il maggior pregio del libro, che ha il merito degli epi-sodi più riusciti. D'altro canto, alcuni rac-conti sono sorretti da un nucleo narrativo eccessivamente esile e talora scontato: il telefono cellulare che squilla a sproposito e sciupa l'incanto di un primo appunta-mento a cena è uno spunto davvero trop-po letto e visto - e purtroptrop-po anche vissu-to! Ma rimane apprezzabile comunque la capacità della scrittrice di cogliere spunti di interesse dalle vicende minute delle persone, verso le quali è palpabile la sua simpatia e partecipazione. La scanzonata traduzione italiana di Silvia Ballestra, ricca di invenzioni e di colore, rende a meravi-glia lo stile di Gavalda e fa scorrere veloci le pagine fra le dita del lettore.

CRISTINA LANFRANCO

Anna Gavalda, VORREI CHE DA QUALCHE PARTE a FOSSE QUALCUNO AD ASPETTARMI,

ed. orig. 2000, trad. dal francese di Silvia Bal-lestra, pp. 192, € 12,65, Frassinella Milano 2001

Chi ama la formula del racconto breve e conchiuso nell'arco di poche pagine

Cristina Comencini, MATRIOSKA, pp. 192, € 13,00, Feltrinelli, Milano 2002

A una matrioska assomiglia Antonia, scultrice dall'ampio corpo avvolto in un cattano e dal piccolo viso di porcellana,

Matrioska s'intitola il file in cui Chiara, che

di Antonia deve scrivere la vita, riversa i lunghi colloqui a-vuti con lei; è da matrioska, infine, la struttura stes-sa che regge questo romanzo di Cristina Co-mencini. Dall'in-vecchiata figura di Antonia inizia-no a emergere altre figure: An-tonia bambina, innamorata non corrisposta di sua madre, An-tonia giovane, che del disgusto che avverte in-torno a sé impa-ra a fare ii suo punto di forza, Antonia nel pie-no della sua maturità, che aggredisce il bronzo con "felice determinazione". Chia-ra sembChia-ra patire la sua vicinanza, avverte in lei il segno luminoso del talento, della capacità di creare; più volte si trincera die-tro ai suoi figli, la sua "creazione perfetta", pur continuando a struggersi dietro il so-gno di scrivere una storia tutta sua, che la riscatti da un'infanzia non amata, proprio come quella di Antonia, li passaporto per entrare in questo mondo abitato dal talen-to glielo allungherà con fare ironico la stessa Antonia, autorizzandola a scrivere la storia della sua vita, in cui Chiara ha rav-visato sorprendenti analogie con la pro-pria. L'autrice sa perfettamente, e ci con-duce a scoprirlo con dolce gradualità, che nel cuore della storia di Antonia, di quella di Chiara, di Teresa, di Malù e di ogni altra matrioska, c'è sempre un giardino incan-tato con bambine che giocano.

3 LINDICF

* 2 LIBRI D E L M E S E H H

Massimo Mastrogregori, INTRODUZIONE A BLOCH, pp. 186, € 9,30, Laterza, Roma-Bari

2001

Il volume si propone di ripercorrere nel complesso l'azione intellettuale di quello che fu probabilmente il maggiore medie-vista del Novecento. Procede quindi attra-verso una scansione ben precisa: prima gli orientamenti storiografici e le scelte metodologiche di Bloch, poi i percorsi e i risultati della sua ricerca storica, e infine la sua azione politica; completa il volume un'appendice relativa alla storia della cri-tica. La presentazione procede attraverso l'analisi non solo delle pubblicazioni, ma dell'opera di ricerca nel suo insieme, ov-vero della vasta raccolta di appunti e schede conservate nell'archivio di Bloch, dai quali si possono trarre numerose indi-cazioni sui procedimenti e le riflessioni che ne fondarono l'attività intellettuale. Di particolare pregio l'analisi attraverso cui Mastrogregori mostra il profondo legame intellettuale tra l'attività scientifica di Bloch e la sua azione come partigiano. Resta in-vece in ombra la concreta azione di ricer-ca di Bloch: se infatti vengono delineati i principali risultati scientifici, non sono po-ste in luce né le componenti di novità del-l'opera di Bloch, né le ragioni della sua duratura incidenza nella medievistica del Novecento.

LUIGI PROVERO

mo il glossario, da cui impariamo che

pa-stinache sono le carote e petronciane le

melanzane. Gregory, nell'introduzione, si trova a proprio agio alle prese con un tra-dizionalismo gastronomico pur eretico che, se da un lato gli consente di tessere l'elogio delle salse, dall'altro lo induce a suggerire l'uso di opere del genere, come un capitolo della storia del gusto del se-colo XVIII.

SIMONA BANI

D E L CIBO PITAGORICO OVVERO ERBACEO PER u s o DE' NOBILI E DE' LETTERATI. OPERA MECCANICA DELL'ORITANO VINCENZO COR-RADO, SEGUITO DAL TRATTATO DELLE PATATE PER u s o DI CIBO, OPERA DEL MEDESIMO AU-TORE, a cura di Tullio Gregory e Francesco Abbate, pp. 134, € 22,72, Donzelli, Roma

2001

Corrado è un salentino dalla poliedrica aspirazione artistica nato nel 1738 e dive-nuto monaco benedettino a diciassette anni. Da Napoli viaggia molto, in visita a vari monasteri, e "grandi e (...) illustri per-sonaggi" gli "comandano" di scrivere di cucina: nascono così II Cuoco Galante, del 1773, e il Credenziere di buon gusto del 1778. Nel 1781 pubblica quest'opera. Nel titolo fa riferimento a Pitagora, promo-tore di un'alimentazione sana fondata sui prodotti della terra; ai "nobili e letterati", per la "mediocrità della spesa", per l'ele-ganza della "sobrietà", e per favorire la lunga vita degli intellettuali che "poca di-gestione fanno"; e al carattere

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