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CAPITOLO 3 – Il rapporto tra mass media e conflitti internazionali

3.3 Le guerre dimenticate

Dopo la caduta del Muro di Berlino assistiamo a un cambiamento radicale in tema di conflitti, con caratteristiche ben diverse dalle precedenti. La spiegazione classica per definire la guerra non è più sufficiente a identificare questo nuovo tipo di violenza organizzata e vengono perciò coniati nuovi termini, come “guerre postmoderne”, “nuove guerre”, “guerre a bassa intensità”. Tali guerre hanno il punto nevralgico dell’azione in paesi lontani e sono per così dire le guerre degli altri, perché osservate dalla finestra senza un forte coinvolgimento.

Nel 1980 l’imprenditore statunitense Ted Turner fonda ad Atlanta la CNN, la quale trasmetterà notizie ventiquattr’ore su ventiquattro con una frequenza che prima sarebbe stata impensabile. E negli anni novanta fa il suo ingresso il direct broadcasting by satellite, il quale permette di ricevere e inviare immagini da ogni parte del pianeta. Questa nuova tecnologia in combinazione con la rete di Turner sancisce la nascita della nuova televisione globale che trasformerà il modo in cui i conflitti vengono raccontati. Fa così il suo debutto nelle scene l’era dell’informazione di guerra in tempo reale. L’informazione diventa internazionale e il continuo flusso di notizie elargisce maggior

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Enrico DE ANGELIS, Guerra e Mass Media, Roma, Carocci Editore, 2014, p. 61e 62

79 potere ai media nell’imporre il proprio programma ai politici, i quali si ritrovano in breve tempo a fare i conti con i problemi suscitati dai giornalisti. È il cosiddetto CNN

effect in cui ai media viene riconosciuta l’influenza sulla politica internazionale di cui

prima non fruivano.

Con l’indebolimento delle autorità statali, la guerra rappresenta il mezzo più potente per far nascere nuovi sistemi di potere e di conflitto. “La crisi dell’economia statale porta alla formazione di sotto economie chiuse che ruotano intorno a legami di tipo tradizionale. E i nuovi attori che le gestiscono instaurano rapporti economici diretti con imprese e compagnie straniere. In questo contesto di frammentazione dell’economia e del potere la guerra rappresenta uno degli strumenti più efficaci per realizzare a livello politico quello che di fatto già sta accadendo a livello economico”.99

I conflitti che ne scaturiscono sono diversi dai precedenti e sono perlopiù conflitti interni agli Stati e hanno a che fare con la politica dell’identità, in quanto la pretesa che hanno le nuove forme di potere è di costruire la propria forma di potere intorno a etichette che hanno il potere di escludere e includere allo stesso tempo. I metodi di combattimento cambiamo completamente e sono inclini alla guerriglia più che allo scontro diretto. La differenza è che, contrariamente alla guerriglia tradizionale che punta a conquistare il consenso della popolazione, in queste nuove guerre si ottiene il controllo del territorio con la paura e l’odio ed eliminando chi viene classificato con un’identità diversa. “L’economia di guerra da autarchica diviene globalizzata: i combattimenti si finanziano attraverso il saccheggio, il sostegno di governi confinanti, il commercio di armi e di droga, o anche sfruttando l’assistenza umanitaria”.100

A causa di tutto questo i mass media si imbattono in numerose difficoltà per raccontare e spiegare queste nuove realtà. I media hanno la tendenza a spiegare le nuove guerre con la definizione di “conflitti etnici”, in quanto si tenta di chiarire le crisi internazionali in base ai fattori culturali. “Dal punto di vista giornalistico e politico definire un conflitto come “etnico” significa in qualche modo lavarsene le mani, rinunciando allo sforzo di comprenderne le cause

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Enrico DE ANGELIS, Guerra e Mass Media, Roma, Carocci Editore, 2014, p. 66

80 politiche che ne sono all’origine”.101

L’effetto mediatico che si ottiene è quello di dirigere i mezzi di comunicazione a guardare altrove, ponendo l’attenzione su altre questioni reputate più attuali. Per questo motivo alcune guerre diventano “guerre dimenticate”, se una crisi è causata da odi tribali, non si può risolvere e per questo la si accetta e si passa oltre. Una volta che il conflitto è definito “etnico”, non è più necessario intervenire a livello politico, ma è meglio optare per un’azione di tipo tecnico.

I mass media internazionali hanno perpetrato e rafforzato le divisioni etniche grazie alla propaganda coordinata e grazie anche alla complicità dei media locali. Il genocidio del Rwanda per esempio e la guerra in Bosnia-Erzegovina non esplosero a causa di odi tribali, ma furono l’epilogo di diversi mesi di propaganda volta a separare dove prima c’era convivenza, anche se tormentata. “Nelle nuove guerre il ruolo dei mass media è quindi ancora più fondamentale, in quanto necessario per estendere i criteri di esclusione e di inclusione a tutta la popolazione, in modo da mobilitarla e creare le condizioni idonee al conflitto”.102

Negli anni Novanta, il territorio dell’ex Iugoslavia è il palcoscenico sul quale si svolsero due cruenti conflitti e in cui i media ebbero un ruolo importante. Il primo è la guerra combattuta nella multietnica Bosnia-Erzegovina tra il 1992 e il 1995, mentre il secondo è la guerra del Kossovo nel 1999. La guerra in Bosnia-Erzegovina è la prima guerra umanitaria e quella in cui si può parlare di un vero e proprio CNN effect. I media ritagliano sin da subito un ampio spazio alla guerra e prendendo in considerazione l’espressione che aleggiava negli ambienti politici la definirono una scontro etnico. I giornalisti non avevano libero accesso alle zone di guerra e per questo le notizie non venivano verificate, ma si affidavano alle testimonianze isolate. Fu questo tipo di copertura mediatica a dare inizio per la prima volta a un CNN effect, ovvero la comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti, si impegnarono in un’azione bellica di tipo umanitario. Affinché si possa attivare il CNN effect è necessario che si verifichino due condizioni. In primo luogo la copertura mediatica deve esprimere una

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Enrico DE ANGELIS, Guerra e Mass Media, Roma, Carocci Editore, 2014, p. 68

81 certa sensibilità nei confronti del dolore delle popolazioni coinvolte nel conflitto e deve essere dura e critica nei confronti dei governi. In secondo luogo tale copertura può verificarsi solo nel caso in cui non ci fosse un forte potere risolutivo, il quale risulterebbe difficile da scalfire da parte dei media.

Gli epiloghi più rilevanti sono dovuti a due eventi in cui l’influenza mediatica è risolutiva. “Il primo è la caduta dell’area di sicurezza creata dalle truppe ONU intorno alla città di Srebrenica nel luglio del 1995, con il successivo massacro di 8.000 persone e l’espulsione della popolazione rimanente. I media raccontano l’avvenimento come un disastro, focalizzandosi sulla questione dei profughi e sottolineando il fallimento della politica di attesa dell’Europa e degli Stati Uniti. Il risultato è che gli americani si convincono a impegnarsi per la difesa di un’altra area di sicurezza, quella di Gorazde, minacciando i serbo-bosniaci di bombardamenti aerei. Ancora più deciso è l’ennesimo bombardamento di un mercato a Sarajevo con colpi di mortaio il 5 febbraio 1994, la cui responsabilità è peraltro ancora da chiarire. È una tragedia che gode di una grande risonanza mediatica, dovuta anche all’abbondante disponibilità di immagini che illustrano l’orrore provocato dalle esplosioni”.103

Nella guerra in Kosovo nel 1999 i mass media, invece, non furono così determinanti. La NATO decise di intervenire bombardando la Serbia e nelle decisioni politiche successive, più dure e determinate, i media esercitarono un’influenza più debole. I media non riuscirono a creare un evento mediatico che ruotasse intorno alla guerra. Nonostante fosse una guerra televisiva, le immagini che i giornalisti avevano a disposizione erano limitate e dovettero accontentarsi di mandare in onda gli aerei che decollavano dalle basi in Italia o i bombardamenti sul suolo kosovaro. Gli attori in campo erano molti, dalla NATO alle ONG, e per i giornalisti fu molto complicato costruire una storia con un unico filo conduttore, perciò la guerra in Kosovo diventò a livello televisivo una “guerra delle emozioni”. I telegiornali focalizzano i racconti sulla gente che soffriva per denunciare l’atrocità del conflitto. Attraverso l’evidenza della sofferenza, si cercò di superare il racconto di un conflitto che sarebbe stato troppo

82 complesso da narrare.

La nascita delle televisioni globali e dell’informazione sono il primo di tanti passi verso la formazione cosmopolita. La globalizzazione dei media trasformerà tutto il mondo in un’unica comunità sempre più unita. I media sono il mezzo con il quale tutti i popoli possono conoscersi e creare così un’unica opinione pubblica internazionale, che sa osservare e essere determinante per la risoluzione dei conflitti facendo pressione sui governi.

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