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Health-Related Quality Of Life

Nei pazienti con RCU e MC abbiamo osservato un miglioramento della qualità di vita raggiungendo la significatività statistica alla Settimana 14 (p=0.0244); alla Settimana 30 (p=0.0183) e alla settimana 54 (p=0.0428).

I valori di IBDq normale (≥170) sono stati osservati nel 36,5% del totale dei pazienti alla settimana 6; nel 52,6% alla settimana 14; nel 64,5% alla settimana 30 e nel 47,6% alla settimana 54.

Le variazioni dell'IBDq dalla settimana 0 alla settimana 54 sono illustrate nella figura 12a e12b.

3.4. Discussione

Il nostro studio ha evidenziato nei pazienti con RCU alla settimana 6 un tasso di risposta e remissione clinica sovrapponibile a quello osservato nel GEMINI I (47.2% vs 47.1% e 16.7% vs 16.1% rispettivamente) [25]. Nei pazienti con MC alla Settimana 6 è stata invece, osservata una percentuale di risposta clinica (50%) che si avvicina a quella registrata nello studio multicentrico tedesco (66%) [72], ma superiore a quella ottenuta nel GEMINI II (31.4%), dove non è stata osservata alcuna differenza statisticamente significativa tra i pazienti trattati con VDZ e il gruppo trattato con placebo (31.4% versus 25.7%, p=0.23) [26]. Anche nello studio GEMINI III che ha incluso solo pazienti con MC anti-TNFα failure, la risposta al VDZ è stata superiore al placebo alla Settimana 10 ma non alla Settimana 6 [27]. Pertanto nella MC è stata ipotizzata la necessità di tempi più lunghi per ottenere l’efficacia terapeutica. Secondo alcuni autori questa latenza potrebbe essere correlata al fatto che la MC è una malattia transmurale, a differenza della RCU caratterizzata invece, da una flogosi degli strati superficiali dove si concentra il bersaglio molecolare del VDZ, cioè la subunità α4β7delle integrine [75]. Un’altra ipotesi che spiegherebbe l’iniziale latenza necessaria per ottenere un effetto significativo sull’infiammazione intestinale, potrebbe essere legata al meccanismo d’azione del farmaco. Il VDZ inibendo i processi di adesione endoteliale e di migrazione, blocca l’infiltrazione dei tessuti intestinali da parte di linfociti di recente attivazione, ma potrebbe non interferire con le funzioni dei linfociti attivati in precedenza e già migrati nei tessuti intestinali infiammati prima dell’inizio del trattamento. Se da un lato questo meccanismo motiverebbe il crescente e graduale guadagno di risposta, dall’altro potrebbe garantire un’efficacia duratura nel tempo come confermato dalle analisi del GEMINI LTS [76-77].

Il tasso di risposta e remissione clinica osservata in fase di induzione nella nostra popolazione, che può essere definita “refrattaria” per via della durata media di malattia (10,8 anni) e della pregressa esposizione agli anti-TNFα (75% dei pazienti), conferma il beneficio del VDZ nei pazienti anti-TNFα failure. Risultati simili sono stati ottenuti in studi di real life: nello studio retrospettivo multicentrico del Massachusetts General Hospital, che ha valutato la risposta alla terapia alla fine dell’induzione in una popolazione di pazienti “refrattari” [66], nell’esperienza israeliana [73] nonché nelle coorti europee [72-74].

Recentemente sono stati pubblicati studi di real life che hanno valutato l’efficacia del VDZ dopo un anno di terapia e che riportano dati relativi a popolazioni costituite da pazienti prevalentemente experienced. L’OBSERV-IBD cohort, rappresenta la coorte di pazienti più numerosa con un’inadeguata risposta o intolleranza agli anti-TNFα, sottoposta a trattamento con VDZ (ad uso compassionevole) in un contesto di real life. Lo studio multicentrico francese è stato condotto in 294 pazienti con MICI (121 RCU e 173 MC). Gli autori mostrano come in questo specifico setting, il VDZ risulta efficace nel mantenimento della remissione clinica libera da steroidi alla settimana 54, solo in 1/3 dei pazienti; una buona parte dei pazienti, infatti, (soprattutto pazienti con MC) durante il primo di anno di terapia presenta una perdita di risposta [74].

Nello studio GEMINI I-II [25-26] i pazienti con fallimento terapeutico ai farmaci anti- TNFα sono stati inclusi in misura non superiore al 50% contro il 70% della nostra casistica. Le sottoanalisi del GEMINI I-II-III mostrano che l’efficacia di VDZ è lievemente superiore nei pazienti naive rispetto ai pazienti anti-TNFα failure, i quali tendono a perdere la risposta durante il primo anno di terapia in misura maggiore rispetto ai pazienti anti-TNFα naive. I dati relativi all’efficacia a lungo termine, provenienti dal GEMINI LTS mettono, invece, in evidenza come il mantenimento della risposta è indipendente dalla pregressa esposizione all’anti-TNFα [76-77].

Nonostante ad oggi esistano pochi dati provenienti dalla real life, emerge chiaramente una superiorità in termini di efficacia nei pazienti naive rispetto agli anti-TNFα failure, confermando i risultati degli studi GEMINI [65].

Sebbene nel nostro studio la percentuale di pazienti anti-TNFα naive sia solo del 25% e sebbene non tutti abbiano ancora raggiunto la settimana 14, da un’analisi preliminare risulterebbe che nella fase di induzione, il VDZ è molto più efficace in questa sottopopolazione rispetto a quella anti-TNFα failure. Anche nella coorte tedesca di Baumgart, i pazienti anti-TNFα naive hanno presentato alla settimana 14 tassi di remissione clinica superiori a quelli osservati nei pazienti anti-TNFα failure (MC 60% vs 21,7%; RCU 39,3% vs 18,5%) [72]. Tali risultati trovano conferma anche nello studio di Stallmach et al. Questi autori hanno valutato l’efficacia del VDZ fino alla settimana 54 in 127 pazienti (67 MC e 60 RCU) di cui solo 17 naive (6 MC, 11 RCU). Nei pazienti con RCU la remissione clinica alla settimana 54 è stata raggiunta nel 55% (6/11) dei pazienti anti-TNFα naive contro il 18% (9/49) degli anti-TNFα failure. Dei 6 pazienti naive affetti da MC, la remissione clinica alla settimana 54 è stata raggiunta da

pregressa esposizione agli anti-TNFα, l’utilizzo di steroidi negli ultimi sei mesi prima dell’inizio della terapia e il mancato raggiungimento di una risposta clinica per i pazienti affetti da MC e della remissione clinica nei pazienti con RCU alla settimana 14, sono indici prognostici negativi. Gli autori concludono che VDZ ha una moderata efficacia a lungo termine nei pazienti anti-TNFα failure, suggerendo nei pazienti che non rispondono entro 14 settimane dall'inizio della terapia, di considerare l’ottimizzazione del trattamento e/o associare altre terapie o sospendere VDZ [78]. Questi dati sono in contrasto con i risultati del gruppo di Dulai [79] il quale sostiene che il VDZ nei pazienti con MC guadagna la risposta nel tempo; essi dimostrano come la prosecuzione del trattamento oltre un anno di terapia aumenti i tassi di remissione. Nella coorte statunitense di Dulai meno del 10% dei pazienti anti-TNFα failure e circa il 20% di pazienti naive raggiunge la remissione clinica alla settimana 14, che è considerevolmente inferiore ai tassi di remissione clinica osservati da altri gruppi [66- 69]. Lo studio ha incluso 200 pazienti con MC moderata-severa, 90% dei quali anti- TNFα failure. La remissione clinica libera da steroidi è stata osservata in circa il 35% dei pazienti (GEMINI 32% ;esperienza pisana 50%). Analogamente a quanto osservato nel GEMINI l’efficacia del trattamento anche nella coorte di Dulai è stata tempo- dipendente; il maggior tasso di perdita di risposta è stato osservato tra i 6-12 mesi di trattamento; la maggior efficacia è stata osservata dopo 6 mesi di terapia. In qualche caso l’ottimizzazione ha permesso un recupero della risposta. Dal momento che il tasso di deep remission nella coorte statunitense trattata con VDZ è inferiore a quello della popolazione di pazienti trattati con gli anti-TNFα, gli autori concludono che è necessario un trattamento di almeno 18 mesi.

Per quanto riguarda i fattori predittivi di risposta alla terapia con VDZ nei pazienti con MC, da una recente review sistematica emerge che il fumo di sigaretta, la malattia perianale e la precedente esposizione agli anti-TNFα, l’attività clinica severa e alti livelli di PCR al baseline, risulterebbero associati a bassi tassi di remissione. L’outcome peggiora in maniera proporzionale al numero dei fattori di rischio elencati e al numero di anti-TNFα utilizzati. Non sono stati ancora identificati possibili predittori di risposta nei pazienti con RCU ad eccezione della pregressa esposizione agli anti- TNFα [65].

Nel nostro studio un aumento della PCR, così come un aumento della calprotectina fecale al baseline, non sembrano costituire delle variabili in grado di predire la risposta

alla terapia alla Settimana 6 e 14, in accordo con quanto osservato in alcuni studi di real life [66-72-78] e nel GEMINI II [26].

La concomitante terapia con corticosteroidi sistemici durante l’induzione, presente nel 55,8% dei nostri pazienti, non sembra influenzare la risposta clinica alla settimana 14 analogamente a quanto osservato nello studio multicentrico del Nord America [66], nella coorte tedesca [72]. Anche in un’analisi post-hoc degli studi GEMINI non sono state riscontrate differenze significative in termini di efficacia nei pazienti con RCU in monoterapia e in quelli in terapia combinata con corticosterodi e/o immunomodulatori. Le analisi esplorative degli studi GEMINI II-III che hanno invece valutato gli effetti della terapia concomitante con corticosteroidi e immunomodulatori sull’induzione della remissione nei pazienti con MC, hanno messo in evidenza un’efficacia superiore della terapia associata a corticosteroidi rispetto al solo VDZ o alla terapia concomitante con immunomodulatori [80].

I risultati endoscopici ottenuti nella nostra casistica di pazienti con RCU a 30 e 54 settimane dall’inizio del trattamento sono promettenti, pur con i limiti legati al breve periodo di follow up. Sono comunque, in linea con i risultati ottenuti negli studi GEMINI, con quelli preliminari dello studio GEMINI LTS e con quelli riportati da alcuni studi di rela life. Nello studio di Dulai et al [79] è stato osservato un tasso cumulativo di mucosal healing del 21% dopo 6 mesi e del 67% dopo 12 mesi. Vivio et al [65] riportano un tasso di mucosal healing del 30% nei pazienti affetti da MC e del 69% nei pazienti con RCU dopo 52 settimane di terapia. Uno dei principali limiti di questi studi di real life è legato alla numerosità del campione.

Il nostro studio ha incluso la valutazione di una paziente con ileostomia transitoria. In accordo con i chirurghi è stato deciso di intraprendere una “rescue therapy”, allo scopo di ottenere una guarigione mucosale e rendere così possibile la ricanalizzazione. Alla Settimana 30 è stata osservata stabilità del quadro clinico ed endoscopico rispetto al baseline. Pertanto è stata decisa la sospensione del trattamento. In letteratura sono riportati pochi studi su questa categoria di pazienti. Nella coorte americana del Massachusetts General Hospital è stata valutata la risposta alla terapia con VDZ in 14 pazienti portatori di stomia e 9 con ileo-pouch anastomosi. Entrambe le categorie dei pazienti hanno presentato una risposta clinicamente significativa alla Settimana 14 [66]. Tra gli obiettivi principali del nostro studio vi è stata la valutazione della HRQoL. L’andamento cronico-recidivante delle MICI ha un impatto significativo sulla

sul benessere dell’individuo, coinvolgendo vari aspetti tra cui quello psico-emotivo e sociale-lavorativo, compromettendo drasticamente la qualità di vita. Nei nostri pazienti dalla Settimana 0 alla Settimana 6-14-30-54 abbiamo osservato un miglioramento statisticamente significativo della qualità di vita in tutte le sottoscale del questionario IBDQ relative a sintomi intestinali, funzionalità sistemica, funzionalità emotiva e funzionalità sociale, sia nei pazienti con MC che con RCU. Tale miglioramento correla con la buona risposta alla terapia. Anche le analisi esplorative del GEMINI I [25] hanno dimostrato miglioramenti significativi associati a VDZ; i miglioramenti sono risultati significativamente superiori rispetto al gruppo placebo alla Settimana 6 e alla Settimana 52 nei punteggi della scala analogica visiva EQ-5D ed EQ-5D VAS, in tutte le sottoscale del questionario IBDQ. Nel GEMINI-II [25-26] questi risultati sono stati osservati alla Settimana 52, ma non alla Settimana 6.

La bassa incidenza e la tipologia di eventi avversi osservati nella nostra piccola casistica risulta essere in linea con i dati di letteratura. Nel nostro studio, infatti si sono verificati solo 6 eventi avversi: una reazione avversa correlata all'infusione (IRR), un episodio di parestesie, un caso di dermatite atopica, tre episodi di sindrome influenzale. Negli studi GEMINI I e II il 4% dei pazienti trattati con VDZ e il 3% dei pazienti trattati con placebo ha manifestato un’IRR. La maggior parte delle IRR ha avuto un'intensità lieve o moderata e meno dell'1% ha portato all'interruzione del trattamento. Negli studi controllati GEMINI I-II, il tasso di infezioni è stato di 0,85 per anno- paziente nei soggetti trattati con VDZ e di 0,70 per anno-paziente nei soggetti trattati con placebo [25-26].

Analogamente a quanto emerge dalla nostra breve esperienza, le infezioni insorte durante i trials clinici consistevano principalmente in rinofaringite, infezione delle prime vie respiratorie, sinusite e infezioni delle vie urinarie. La maggior parte dei pazienti ha proseguito la terapia con VDZ dopo la risoluzione dell'infezione. Il tasso di infezioni gravi è stato di 0,07 per anno-paziente nei soggetti trattati con VDZ e di 0,06 per anno-paziente nei soggetti trattati con placebo. Non è stato osservato un significativo incremento del tasso di infezioni gravi nel tempo. Anche negli studi di real life è stato riscontrato un elevato profilo di sicurezza [66,72,73,74]. Un’analisi preliminare dello GEMINI LTS ha confermato il tasso di eventi avversi già documentato, mettendo però in evidenza un’incidenza superiore nello sviluppo di nuove formazioni ascessuali nei pazienti con MC trattati con VDZ (2%) [81]. Nella

nostra casistica abbiamo riscontrato un solo caso di progressione di malattia perianale in assenza di ascessi, che ha condotto all’interruzione del trattamento.

Il VDZ, inoltre, ha presentato un buon profilo di tollerabilità e sicurezza anche nella nostra casistica di pazienti con età superiore ai 65 anni (8 pazienti) confermando il possibile utilizzo di tale farmaco in questa categoria di pazienti.

Inoltre abbiamo avuto modo di valutare la sicurezza del VDZ in un paziente con RCU associato a CSP già sottoposto a trapianto di fegato in terapia immunosoppressiva con pregressa reazione avversa all’Infliximab, che ha raggiunto la settimana 30 in assenza di effetti collaterali. Ad oggi esistono pochi studi sugli effetti del VDZ in pazienti con CSP. Secondo alcuni autori, un possibile effetto positivo di VDZ in pazienti con CSP, sarebbe legato alla patogenesi della patologia epatica stessa che può essere correlata all’attivazione delle cellule T intestinali che esprimono i recettori α4β7 e che vengono reclutati a livello dell’albero biliare contribuendo ad innescare e mantenere la flogosi cronica a tale livello [82]. La selettività intestinale che caratterizza il VDZ, se da un lato garantisce un’estrema maneggevolezza del farmaco, dall’altra presenta delle limitazioni nella gestione di quei pazienti con MICI che presentano manifestazioni extra-intestinali, in particolar modo articolari e dermatologiche, nei quali risulta spesso indicato un trattamento con anti-TNFα. Nel programma GEMINI non sono stati riportati dati sugli effetti del VDZ sulle manifestazioni extra-intestinali. Le esperienze di real life sono ancora limitate.

Nel lavoro di Varkas [83] sono descritti cinque casi di pazienti con MICI trattati con VDZ e con concomitante riesacerbazione della spondiloartrite. Una situazione analoga è stata osservata in una paziente del nostro studio per cui è stato necessario associare alla terapia con VDZ un immunomodulatore. Risultati differenti emergono dall’esperienza italiana di Orlando [84]. Questi autori hanno evidenziato, infatti, come nella loro casistica, una fetta dei pazienti (6/53) con spondiloartrite attiva in terapia con VDZ, ha presentato un beneficio clinico e sul versante intestinale e su quello articolare. Sebbene l’ipotesi che il VDZ possa indurre una riacutizzazione delle artropatie associate alle MICI o in alcuni casi favorirne l’esordio, abbia un razionale, occorre tenere comunque in considerazione un possibile utilizzo del farmaco anche nel trattamento delle patologie extra-intestinali che si associano alle MICI. Un ipotetico beneficio del VDZ in tal senso, potrebbe essere spiegato dalla presenza della sub unità α4β7 dimostrata anche a livello delle articolazioni [85] e dalla recente evidenza di

dei piccoli vasi del midollo osseo nei pazienti con spondiloartrite assiale [85]. Queste evidenze dovranno essere supportate da ulteriori studi su coorti più ampie e da un periodo di osservazione di maggior durata.

Dall’osservazione a lungo termine dei pazienti in terapia con VDZ emergeranno anche dati relativi alla gestione di quei pazienti che perdono la risposta durante la fase di mantenimento. Nel nostro studio è stata osservata un’iniziale perdita di risposta in due pazienti, per i quali è stato deciso di intensificare la frequenza delle somministrazioni (300 mg ogni 4 settimane). L’ottimizzazione della terapia, mediante la riduzione dell’intervallo tra una somministrazione e l’altra, può rappresentare una valida strategia per recuperare la risposta come evidenziato dagli studi GEMINI e dal gruppo di Stallmach [78]. Negli studi GEMINI I-II, infatti, i pazienti che non avevano presentato una risposta alla Settimana 6 sono rimasti nello studio e hanno ricevuto VDZ ogni quattro settimane. Un aumento della risposta clinica è stato osservato alla Settimana 10 e alla Settimana 14 in un numero maggiore di pazienti trattati con VDZ rispetto ai pazienti trattati con placebo. I due schemi posologici, VDZ 300 mg ogni 4 o ogni 8 settimane, comportano una completa saturazione dei recettori-targets in quasi tutti i pazienti (95%). Esiste comunque un’associazione tra una maggiore concentrazione di farmaco e una maggior efficacia clinica, suggerendo che le concentrazioni di farmaco richieste per raggiungere livelli terapeutici sono maggiori di quelle necessarie per ottenere la saturazione dei recettori targets nel sangue periferico [25-26]. Anche i dati sull'efficacia a lungo termine confermano che l'ottimizzazione della terapia rappresenta una valida strategia terapeutica nei pazienti che perdono la risposta nella fase di mantenimento [76-77].

Dagli studi GEMINI emerge che VDZ è associato ad una scarsa immunogenicità: la formazione di anticorpi, talvolta associata alla perdita di risposta, nei trials si è verificata solo nel 3.7-4.1% dei pazienti [25-27]. Nel nostro studio non stati dosati i livelli di farmaco e gli anticorpi anti-VDZ in quanto non disponibili Kit dedicati presso il nostro laboratorio.

3.5. Conclusioni

VDZ nei nostri pazienti si è dimostrato un farmaco sicuro e ben tollerato con buona risposta clinica confermandosi una valida opzione terapeutica in pazienti con MICI attiva non responsivi alla terapie convenzionali e/o agli anti-TNFα. Saranno, comunque, necessari studi su coorti più ampie, allo scopo di identificare fattori clinici e biochimici predittivi di risposta al VDZ e definire in tal modo una terapia patient- tailored. Un periodo di osservazione più lungo, inoltre, permetterà di valutare l’efficacia a lungo termine e l’eventuale comparsa di complicanze correlate alla terapie.

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