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“HISTORIA MONGALORUM” di Giovanni da Pian del Carpine

Il XII secolo vive un fiorente sviluppo culturale, fioriscono scuole ed università: a Parigi troviamo l’università di filosofia e teologia, che resterà la più importante per tutto il medioevo, il diritto canonico e romano trova il suo centro a Bologna. Attorno a questi luoghi di eccellenza e nelle corti dei principi fiorisce la poesia e i trovatori risveglieranno la lirica e l’epica, l’invettiva, l’ironia e insieme la musica e la danza.

L’Europa si arricchisce di monasteri, chiese e cattedrali, adorne di pitture e sculture che ancor oggi attestano una forza d’arte davvero eccezionale.

Tra i giochi politici non mancarono fermenti sociali e, soprattutto, il fermento religioso dell’eresia: a loro si contrappose Francesco D’Assisi20, che nell’esaltazione del Cristo povero del Vangelo,

seppe dare una ragione di conforto e di speranza.

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Nel XIII secolo l’Europa viene unita dal sentimento della paura alla notizia che il popolo Tartaro aveva attaccato l’Ungheria e che quest’ultima aveva dovuto cedere alla loro potenza.

Gengis Khan (o Cingiz Qan, nato come Temujin), letteralmente “sovrano universale” è il nome del condottiero mongolo che riuscì a imporre il suo dominio su tutte le tribù nomadi della Mongolia, arrivando nel 1206 a farsi riconoscere come capo supremo. Nato nel 1167, Temujin, passa l’adolescenza sotto la tutela della madre, che lo temprò alle più dure fatiche e ne fortificò il carattere. Ben presto la sua forza, il suo coraggio e la sua astuzia lo segnalarono fra i Mongoli, i cui principi decisero di elevarlo alla dignità reale, già vacante da anni, con il nome, appunto, di Gengis Khan.

Gengis Khan non fu soltanto un geniale condottiero, aveva anche doti non comuni di uomo di stato e di amministratore, che mostrò non appena ebbe unificato la Mongolia. Conciliante con le religioni straniere, seppe però unificare saldamente le varie tribù mongole, che articolò in tre gruppi corrispondenti ad altrettante suddivisioni dell’esercito, divise a loro volta da miriarchie21 e

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chiliarchie (un'unità minore della falange22, composta da circa

mille uomini).

Una guardia del corpo di diecimila uomini, costituita interamente da nobili, forniva poi al Khan i generali per le sue numerose truppe. I principi reali furono affidati ad un dotto uiguro, (gli Uiguri sono un'etnia turcofona di religione islamica che vive nel nord-ovest della Cina), prigioniero di guerra, perché insegnasse loro a scrivere in mongolo, fino ad allora soltanto parlato, in grafia uigurica.

Un tartaro fu incaricato di redigere delle ordinanze e delle sentenze, lo spirito delle nuove norme era sempre quello che regolava i rapporti tribali ma adesso c’era un diritto scritto che valeva per tutti e Gengis Khan lo faceva rispettare rigorosamente. La gerarchia sociale comprendeva, nell’ordine, la “famiglia d’oro” del Khan e dei principi reali, l’aristocrazia della steppa, i guerrieri, i plebei e i servi, questi ultimi per lo più stranieri.

Nel giro di pochi anni egli raggiunse la Manciuria e Pechino e si spinse fino all’Afghanistan e all’Iran.

22 In ambito militare indica uno schema di combattimento composto da

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La struttura dell’Orda mongola23, rigidamente gerarchizzata,

fortissima in battaglia, era sostenuta da un’economia di razzia. La sua organizzazione tattica impeccabile consisteva nell’attacco silenzioso che coglieva i nemici di sorpresa. Le risorse del nemico, il luogo e i tempi dell’attacco venivano studiate a tavolino e niente era lasciato all’improvvisazione, in modo tale che le forze disponibili erano sfruttate al massimo.

Gengis Khan riuscì ad affrontare le ribellioni di molti popoli anche se molti altri furono sottomessi quasi senza colpo ferire. Era un imperatore sicuramente consapevole della diversità delle popolazioni che aveva conquistato e riconosceva la superiorità culturale delle società sedentarie rispetto alla tradizione nomade mongola. Per questa ragione affidò ai cinesi e ai persiani il compito di creare una struttura statale unitaria e centralizzata. Alla sua morte, nel 1227, l’impero si estendeva dal Mar Cinese al Mar Caspio, dal Golfo Persico alla Siberia meridionale.

23 Orda, dal tartaro ordu, che significa tribù. L’orda mongola era composta

da clan e tribù di diversa provenienza e lingua che ubbidiva ad un unico capo militare.

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Impero Mongolo alla morte di Gengis Khan.24

All’apertura del Concilio di Lione del 1245, Papa Innocenzo IV affrontò la questione chiamata “Remedium contra Tartaros”, dal momento che, nonostante la morte di Gengis Khan, l’impero Mongolo stava avvicinandosi sempre più all’occidente cristiano. Il Papa, molto preoccupato per questa situazione, decise di inviare una legazione in Mongolia con lo scopo di consegnare una lettera al Gran Khan.

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La missiva del Papa aveva certamente scopi non palesi, poiché sembra impossibile che Innocenzo IV si potesse rivolgere al Gran Khan con delle richieste così manifestatamente paradossali: la conversione di tutto il popolo mongolo al Cristianesimo, la rinuncia alla conquista dell’Europa, lasciando intuire la possibilità di un’alleanza con il Gran Khan contro l’Islam. È chiaro che il Papa sapeva perfettamente di non avere alcuna possibilità che queste sue richieste potessero avere una risposta positiva. Quale era dunque il suo vero scopo?

Bisogna ricordare che in quel periodo l’Europa era completamente all’oscuro delle abitudini e della mentalità dei popoli asiatici, è quindi lecito pensare che la legazione del Papa avesse soprattutto lo scopo di avere notizie certe sulla situazione alla corte del Gran Khan e di conseguenza conoscere, per via diretta, le intenzioni dello stesso. Non è escluso che il Pontefice sperasse di indicare molto velatamente un possibile conflitto tra mongoli e islamici: la Cristianità avrebbe avuto sicuramente un vantaggio indipendentemente dall’esito che ne sarebbe derivato.

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Questa iniziativa di Innocenzo IV fu poi seguita anche da Gregorio X25 che mandò all’imperatore mongolo della Cina

Kubilay Khan un’ambasceria per mezzo dei fratelli Niccolò e Matteo Polo. Essi stessi, al ritorno di un secondo viaggio fatto con Marco, riportarono al Papa un messaggio dell’imperatore. La delegazione verso oriente fu guidata da frate Giovanni da Pian del Carpine.

Frate Giovanni nacque a Pian del Carpine, l’attuale Magione in provincia di Perugia, verso la fine del XII secolo e fu uno fra primi discepoli di San Francesco. Nel corso della sua vita viaggiò molto poiché inviato dallo stesso Francesco a diffondere l’ordine dei frati minori in Europa centrale, dove si distinse per l’energia e l’efficacia della sua predicazione. Ebbe modo così di sviluppare abilità diplomatiche che sicuramente influenzarono il Papa nella sua scelta, nonostante frate Giovanni fosse in età già avanzata e avesse un fisico robusto, apparentemente non adatto a sopportare un viaggio di quel genere. Nonostante questo Fra Giovanni è spinto dalla forte determinazione di portare a termine la volontà di Dio e del Papa ed è con questo stato d’animo che inizia il suo

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viaggio e il suo diario di viaggio “Historia Mongalorum”: un vero trattato storico-geografico sul paese e sul popolo Tartaro, il più antico documento scritto da un europeo sulla geografia dell’Asia centrale.

Ci sono due versioni dell’opera, nella seconda, oltre a molte giunte parziali, troviamo un nono capitolo con la descrizione dell’itinerario.

Il testo è composto di nove capitoli in cui l’autore ci presenta il popolo dei Tartari descrivendo dettagliatamente il loro territorio, il clima, la religione, gli usi e costumi, la loro strategia di guerra. Per la prima volta questo popolo lontano e misterioso viene conosciuto e descritto, attraverso l’occhio curioso e attento di un frate viaggiatore che ne analizza gli aspetti negativi ma riconosce anche quelli positivi riuscendo così ad adeguarsi in maniera intelligente alle loro regole e leggi.

Gli argomenti sono trattati da Frate Giovanni in modo organizzato ed ordinato a scapito dello stile letterario e questo rende la lettura non sempre scorrevole o piacevole. Ma frate Giovanni dichiara di avere ricercato la chiarezza e la precisione con lo scopo di istruire e non di dilettare. Probabilmente questa è

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la ragione per cui l’opera di Frate Giovanni non ebbe molto successo, soprattutto nel Medioevo e agli inizi dell’età moderna. La scarsa diffusione rispetto ad altre relazioni di viaggio si può giustificare dalla totale assenza di racconti di avventure inventate ad hoc, per attirare l’attenzione del lettore.

Il merito di frate Giovanni è certamente quello di aver riportato notizie con sufficiente esattezza, di grande valore storico è l’elenco dei principi e generali mongoli e che con le genealogie cinesi rimane una delle fonti più attendibili. Cade spesso in errore quando vuole fare l’erudito perché perde l’obiettività e cede all’influsso di idee, opinioni e dottrine generalmente divulgate nel medioevo.

Fra Giovanni fa prima una descrizione del territorio e del clima, quindi prosegue esponendo la fisionomia che contraddistingue la popolazione mongola, il loro abbigliamento, le abitazioni e le abitudini coniugali.

La religione era sicuramente monoteista ma erano presenti anche idoli antropomorfi che erano venerati come protettori del popolo; parallelamente a questi venivano venerati e omaggiati con offerte

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di cibo e bevande tre elementi primordiali come il fuoco, l’acqua e la terra unitamente al sole e alla luna.

In questo capitolo si trova un primo commento di Fra Giovanni con queste parole: “…si presume tuttavia che se avessero il dominio del mondo – cosa che Dio allontani – obbligherebbero tutti a inchinarsi a quell’idolo.26

La posizione del Frate è ferma e indica chiaramente che la vittoria mongola sull’occidente segnerebbe la fine della religione cattolica.

Sebbene Fra Giovanni sottolinei che l’elenco delle “cattive abitudini” dei tartari sia talmente lungo da non poterlo scrivere per intero, riferisce anche alcune qualità che li contraddistinguono e, da questo, si può capire la sua grande onestà intellettuale.

Afferma che i tartari sono molto devoti ai loro superiori e molto leali fra loro, contemporaneamente però rileva la loro forte avversione per gli stranieri che non rispettano e di cui non si fidano.

26 “Storia dei mongoli” di Giovanni da Pian del Carpine, a cura di P.Daffinà,

C. Leonardi, M.C. Lungarotti, E. Menestò, L.Petech, Centro italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto, 1989, (pag. 343-344).

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A questo proposito rileva come il giuramento fatto a uno straniero non necessariamente deve essere rispettato, in quanto lo straniero è, per loro, “nessuno”.

Giovanni descrive anche l’enorme potere di Gengis Khan, che ha avuto il merito di riunire l’impero, e che ha un controllo capillare dell’enorme territorio unificato attraverso una fitta rete gerarchica.

Il sesto capitolo “dell’Historia Mongalorum”, affronta uno dei temi che stanno più a cuore ai viaggiatori occidentali. Se diamo per scontato che Innocenzo IV abbia mandato questa delegazione per poter capire il comportamento e la volontà di conquista dell’Impero Tartaro, si può pensare che queste notizie siano veramente importanti per un Papa che cerca di salvare la Cristianità. È forse per questo che Giovanni registra abbastanza dettagliatamente il comportamento dei tartari in guerra e le loro strategie, il trattamento dei prigionieri e le armi usate.

Questo è forse il contributo più importante che Giovanni porta con la sua missione perché grazie a lui la paura dell’ignoto che rendeva un attacco tartaro molto difficile da combattere veniva arginata grazie alla conoscenza.

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Continua descrivendo il comportamento in caso di trattative di pace e spiega come gli accordi di non belligeranza vengano messi in atto soltanto dopo la completa resa e sottomissione del popolo vinto; in questo caso ritorna il loro sentimento di disprezzo verso gli stranieri in quanto spesso le promesse fatte non vengono rispettate: i prigionieri sono fatti schiavi e trattati con estrema crudeltà, la loro vita non ha nessun valore.

A questo punto Frate Giovanni è completamente convinto che l’obiettivo dell’Impero mongolo sia di allargarsi fino alla conquista del mondo conosciuto e ribadisce che le paure del Papa avevano sicuramente un fondamento.

Questo convincimento è sempre più evidente quando tutta la delegazione assiste all’elezione di Cuyuc a imperatore ed è testimone della volontà del nuovo capo di attaccare ed assoggettare tutti i popoli di fede cristiana. Giovanni fa qui una riflessione e, con amarezza, valuta che un’eventuale fine della Cristianità per mano di un popolo tanto barbaro, è tutt’altro che un paradosso.

Ridimensiona anche l’importanza delle sue informazioni, specificando che non è sua intenzione sostituirsi agli esperti di

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tattiche di guerra ma porre le sue conoscenze nelle mani di coloro che ne potrebbero fare buon uso; a proposito di questo scrive: “Il saggio che ascolta diventerà più saggio e capendo avrà le redini del governo27”.

In questo modo Giovanni sembra voler prendere le distanze dall’obiettivo politico della sua spedizione, che, in realtà, non è mai stato apertamente dichiarato e sembra essere convinto che i mongoli non avrebbero mai accettato diplomatici con fini politici, data l’alta considerazione che avevano di sé stessi e, di conseguenza, la bassissima considerazione degli altri.

Il Frate ha presto l’occasione di dimostrare le sue doti diplomatiche e si serve delle elemosine raccolte durante il viaggio per comprare doni da offrire ai vari capi mongoli. La prima occasione che gli si presenta è al suo arrivo in territorio tartaro, quando deve incontrare un capo, Corenza, incaricato di proteggere i confini dell’impero da possibili attacchi. Corenza manda i suoi uomini ad istruire la delegazione sulle norme da seguire prima di essere ammessi al suo cospetto: solo in cambio

27 “Historia Mongalorum” di Giovanni da Pian del Carpine. Citazione

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di doni adeguati Giovanni e i suoi avrebbero avuto una guida leale come salvacondotto all’interno dell’impero mongolo.

Gli uomini di Papa Innocenzo seguono scrupolosamente le indicazioni date non volendo indispettire in alcun modo i tartari. In questa occasione Giovanni consegna a Corenza la lettera del Papa indirizzata all’imperatore ma, non essendo l’interprete della missione in grado di tradurla in modo perfetto, tutta la delegazione viene accompagnata ad incontrare il più importante principe tartaro, secondo solo all’imperatore, Batu. Il viaggio per raggiungere l’accampamento di Batu fu molto lungo ma, all’arrivo della delegazione il principe era già stato informato della loro venuta e del perché si erano rivolti a lui.

La lettera di Papa Innocenzo venne finalmente tradotta e Batu informò Giovanni che avrebbe presto incontrato l’imperatore Cuyuc.

I messaggeri del Papa ebbero quindi l’occasione di assistere alla cerimonia di elezione di Cuyuc ad imperatore di tutto il popolo mongolo. Secondo la descrizione di Giovanni più di quattromila ambasciatori vennero per assistere alla cerimonia che si svolse nell’accampamento imperiale chiamato Sira Orda. Cuyuc e il suo

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seguito entrano poi in una tenda chiamata “Orda D’oro28” dove

l’imperatore fu fatto sedere sul trono. È in questo momento che Giovanni viene ammesso al cospetto del nuovo capo e può quindi assistere da vicino a tutte le fasi dei festeggiamenti.

Questo “grande onore” non fu però di aiuto ai messaggeri del Papa: Cuyuc fece mettere per iscritto le richieste e i termini della trattativa e li fece attendere ancora molti giorni prima di riammetterli alla sua presenza. Anche questa è una dimostrazione del fatto che i tartari non lasciassero mai niente all’improvvisazione ma studiassero accuratamente ogni loro decisione.

Dopo aver consegnato la lettera dell’imperatore, gli uomini di Cuyuc vollero accertarsi che la traduzione della missiva rispettasse l’originale parola per parola in modo tale che il Papa non potesse avere nessun margine di fraintendimento.

I delegati cristiani rifiutarono l’accompagnamento, nel viaggio di ritorno, di ambasciatori tartari: il “diplomatico” Giovanni volle impedire che i mongoli si potessero rendere conto di quanto

28 Letteralmente campo aureo. Qui non si parla della formazione turco-

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fossero vulnerabili i loro territori, occupati in guerre intestine e continue discordie, convincendoli definitivamente all’attacco. Durante il viaggio di ritorno il frate si preoccupa anche di prender nota dei posti visitati e delle persone incontrate, i cui nomi sono citati come testimoni dell’impresa da lui compiuta. Nella conclusione Giovanni da Pian del Carpine fa un appello a tutti i futuri lettori del suo diario di viaggio affinché non siano in nessun modo modificate o alterate le informazioni in esso contenute in quanto, egli afferma, scritte “con assoluta veridicità”.

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Itinerario di Giovanni da pian del Carpine. Tavola da “Storia dei mongoli”, a cura di P.Daffinà, M.C. Lungarotti, E. Menestò, L. Petech. Centro Italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto, 1989.

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CAPITOLO IIII

DUE TESTI A CONFRONTO

Entrambe le opere analizzate “Pellegrinaggio alle cinque regioni dell’India” del monaco coreano Hyech’o e “Historia Mongalorum” di frate Giovanni da Pian del Carpine, raccontano il viaggio a scopo religioso dei rispettivi autori.

La distanza temporale tra le due imprese è importante e il momento storico che i due religiosi vivono è profondamente diverso.

Hyech’o è vissuto tra il 680 e il 780, momento conosciuto come il secolo d’oro di Silla, dove la futura Repubblica di Corea costruisce le fondamenta di una civiltà aperta e culturalmente avanzata. I monaci buddhisti di Silla si confrontano con i confratelli cinesi, giapponesi, indiani e centroasiatici ed è in un clima di grande apertura che vive Hyech’o. Con questo spirito positivo il monaco coreano affronta la sua avventura, spinto solamente dalla sua sete di conoscenza.

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Tutt’altra situazione vive frate Giovanni: l’Europa del XIII secolo è minacciata da un possibile attacco da parte dell’impero Tartaro ed è proprio a causa di questo pericolo che Papa Innocenzo IV organizza la spedizione di Giovanni verso la Mongolia.

In questo caso lo scopo dell’impresa è politico, anche se mascherato da scopo religioso: cercare informazioni sul misterioso e pericoloso popolo tartaro e portare loro il messaggio del Papa che chiedeva la sua completa conversione al cattolicesimo.

Giovanni ha fatto da tramite tra occidente e oriente cercando un punto d’incontro e un dialogo con un popolo sconosciuto e profondamente diverso da quello occidentale.

Gli scopi che spingono i due religiosi a compiere questi viaggi, quindi, sono molto diversi: Hyech’o parte per scoprire i luoghi vicini alla vita dell’Illuminato e per avvicinarsi di più a lui; frate Giovanni, obbedendo alla richiesta del Papa che lo sceglie come capo della sua delegazione diplomatica, parte per fini di stato. Oltre alle indubbie doti diplomatiche di Giovanni, anche la sua fisicità rassicurante e il suo status di frate francescano sono stati

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determinanti per l’incarico ricevuto di capo delegazione in un’impresa così delicata e piena di incognite. Per un popolo come quello tartaro, che prima usava la spada e poi la parola, mettere al posto del frate una figura che potesse apparire una minaccia, un cavaliere armato o un nobile con propri soldati al seguito, sarebbe stato un grande errore.

“Pellegrinaggio alle cinque regioni dell’India” è un diario di viaggio che racconta le varie tappe di Hyech’o durante la sua visita ai luoghi sacri del buddhismo; “Historia Mongalorum”, invece viene scritto alla fine dell’esperienza e organizzato in capitoli che suddividono gli argomenti trattati, così da rendere più chiara la comprensione per il lettore.

Pur avendo entrambi delle motivazioni ben precise, riescono a vivere appieno tutti gli aspetti del viaggio intrapreso; ed è per questo che troviamo nelle loro descrizioni aspetti di antropologia, di geografia e di politica.

Il modo di descrivere le loro esperienze sottolinea l’approccio diverso che hanno i due autori. Hyech’o dimostra un’apertura mentale che gli deriva dal vivere “nell’epoca d’oro” di Silla, ed è per questo che le sue descrizioni sono il più possibile oggettive,

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astenendosi da giudizi tranne in un caso, quando valuta come “immorale” la promiscuità incestuosa che era abitudine in un popolo da lui incontrato29.

Molto diverso è l’atteggiamento di frate Giovanni il quale descrive ciò che incontra ponendosi sul piedistallo di chi è

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