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Cosí Hobbes espone la natura dell’uomo costretto dal suo orgoglio e dalle altre passioni a sottomettersi ad un governo, insieme al grande potere di chi lo gestisce,

e per rappresentare tale autorità ricorre all’immagine del Leviatano, il terribile

mostro biblico che Dio presentò a Giobbe per indurlo a riconoscere l’onnipo-

tenza divina. Dotato di una compatta corazza di squame, di una gola da cui

escono fiamme, di un cuore duro come la pietra, il Leviatano incute terrore sol-

tanto a vederlo e la sua potenza gli garantisce l’obbedienza di tutti: «Fin qui ho

esposto la natura dell’uomo […] insieme al grande potere di chi lo governa, che

ho paragonato al Leviatano, riprendendo questo paragone dai due ultimi versi del

quarantunesimo capitolo di Giobbe, in cui Dio, dopo aver sottolineato il grande

potere del Leviatano lo chiama re dell’orgoglio, dicendo: non c’è nulla paragona-

bile a lui sulla terra. É fatto in modo tale da non aver paura. Vede ogni cosa, non

importa quanto sia alta, sotto di lui ed è il re di tutti i figli dell’orgoglio»

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182A. P. MARTINICH, The two Gods of Leviathan, cit., p. 206.

183TH. HOBBES, Leviatano, cit., pp. 520-521. In inglese: «I have set forth the nature of man, […] together with the great power of his governor, whom I compared to Leviathan, taking that compa- rison out the two last verses of the one-and-fortieth of Job; where God, having set forth the greater power of Leviathan, calleth him King of the Proud. There is nothing, saith he, on hearth, to be com-

pared with him. He is made so as not to be afraid. He seeth every high thing below him; and is king of all the children of pride». In latino: «Hactenus de natura hominis […] et rectoris sui potentia

ingente disserui, comparans illum magno illi Leviathan: de quo cap 41 Jobi dicit Deus non est pote-

stas super terram quae comparetur ei. Factus est, ita ut non metuat. Videt sublimia omnia infra se; et rex est omnium filiorum superbiae». Il nome Leviathan deriva dalla mitologia biblica, in ebraico Liwyathan, ed indica l’origine del caos e un nemico di Yahweh (Salmi 74, 13-14, 104, 26; Giobbe 3,

8, 41, 1-34). Sebbene sia rappresentato come coccodrillo o balena è una creatura mitologica spesso associata da molti autori con il male, da altri con l’ordine opposto al disordine simboleggiato da

Behemoth. Shakespeare parla del Leviatano per esprimere un’idea di forza e velocità, Marvell uti-

lizza tale simbolo per riferirsi ad una grossa nave, Milton lo usa come sinonimo di larghezza. Per Hobbes Leviatano è il governo civile, il principio dell’ordine garantito dall’invincibile forza di tale mostro, come descritta nel passo di Giobbe il cui libro tratta del sapiente sceicco arabo della lette- ratura fenicia, risalente ai secoli XV-XIV, protagonista di un dramma angoscioso per l’umanità di

Il Leviatano è il simbolo dell’unità dello Stato nella persona del sovrano, è il

solo in grado di contenere l’orgoglio, l’ambizione, l’avidità degli uomini, figli della

superbia, che soltanto un potere assoluto può salvare dall’autodistruzione

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tutti i tempi. Egli, con il permesso di Dio, è sottoposto a prove durissime inflittegli da Satana e, sicuro della propria innocenza, si domanda perché Dio lo castiga come se fosse un empio attraverso tre cicli di discorsi polemici con tre dotti amici. Dio stesso provocato, interviene per rispondere ed è questo il passo biblico 40-41 considerato da Hobbes: «Ecco l’ippopotamo che io ho creato, al pari di te, mangia l’erba come il bue. Guarda la sua forza è nei fianchi e il suo vigore nei muscoli del ven- tre. Rizza la coda come un cedro, i nervi delle sue cosce s’intrecciano saldi, le sue vertebre, tubi di bronzo, le sua ossa come spranghe di ferro […] Chi potrà afferrarlo per gli occhi, prenderlo con lacci e forargli le narici? Puoi pescare tu il Leviathan con l’amo e tener ferma la sua lingua con una corda ficcargli un giunco nelle narici e forargli la mascella con un uncino? Ti farà forse molte sup- pliche e ti rivolgerà dolci parole? Stipulerà forse con te un’alleanza, perché tu lo prenda come servo per sempre? […] Metti su di lui la mano a ricordo della lotta non riproverai! Ecco la tua speranza è fallita, al suo vederlo uno stramazza. Nessuno è tanto audace da osare eccitarlo e chi mai potrà star saldo di fronte a lui? Chi mai lo ha assalito e si è salvato? […] non tacerò la forza delle sue membra: in fatto di forza non ha pari. Chi gli ha mai aperto sul davanti il manto di pelle e nella sua doppia corazza può penetrare? […] Intorno ai suoi denti è il terrore! Il suo dorso è a lamine di scudi, sal- date con stretto suggello […] dalla sua bocca partono vampate, sprizzano scintille di fuoco, dalle sue narici esce fumo come da caldaia […] nel suo collo risiede la forza e innanzi a lui corre la paura […] quando si alza, si spaventano i forti e per il terrore restano smarriti […] nessuno sulla terra è pari a lui, fatto per non avere paura. Lo teme ogni essere piú altero; egli è il re di tutte le fiere piú superbe». In questo passo citato non solo si riscontra la somiglianza con il frontespizio hobbesiano, ma anche con il potere attribuito da Hobbes all’istituzione statale, soprattutto con l’assoluta impos- sibilità di scendere a patti con quest’ultima, che permane nello stato di natura, e con la descrizione dello Stato che Hobbes fa nell’introduzione paragonandolo al corpo umano.

184Questa è l’interpretazione di Schmitt che reputa Hobbes il grande teorico del decisionismo, colui il quale, assieme a Machiavelli e Bodin, costruisce lo Stato moderno dal punto di vista della dottrina politica. La storia e la teoria di Hobbes appaiono a Schmitt come la riflessione parallela della sua storia: nati nello stesso anno in due secoli diversi (1588-1888), entrambi vissuti nell’ango- scia della situazione conflittuale del proprio tempo, entrambi dediti alla ricerca dell’unità politica, finiscono per essere sconfitti e rimanere nella storia della filosofia politica come teorici di mostri grotteschi, degeneranti. Questo interesse di Schmitt per Hobbes, eletto cosí a maestro di pensiero, culmina nel saggio sul Leviatano – Il Leviatano nella dottrina dello Stato di Thomas Hobbes. Senso e

fallimento di un simbolo politico (Scritti su Thomas Hobbes, cit., pp. 61-143). Il punto di partenza

dell’analisi è la considerazione del ruolo dell’immagine del Leviatano nella storia di tutte le teorie politiche. L’origine del Leviatano è biblica, lo si trova citato per la prima volta nel libro di Giobbe, dove è indicato come il mostro marino piú forte ed indomabile, accanto ad un altro animale, terre- stre, altrettanto forte, Behemoth. Questa immagine nelle successive rielaborazioni subite nella tra- dizione, prima ebraica e poi cristiana, è stata identificata, nel Medioevo cristiano come il simbolo del diavolo che come un grosso pesce viene catturato da Dio; come immagine dei popoli pagani in conflitto, nel pensiero ebraico. Stanti tali origini ed interpretazioni del Leviatano, questo mito sem- bra non corrispondere affatto all’uso fattone da Hobbes, il quale cita il Leviatano nel frontespizio e in tre passi diversi all’interno del testo. Per tale motivo Schmitt ritiene che il mito hobbesiano si rifaccia piuttosto alle figure del drago e del serpente, considerate da molti popoli come divinità pro- tettrici, prive del carattere demoniaco che la tradizione ebraico-cristiana gli aveva attribuito e che indicano semplicemente qualcosa di grande e potente. Del resto, i passi in cui Hobbes cita il Levia- tano non sono altro che l’esplicazione del contenuto dell’opera, il simbolo mitologico, pertanto, non ha nulla del mostro, ma piuttosto rievoca l’immagine platonica del “grande uomo”, usata da Hob- bes come equivalente a Leviatano. Il Leviatano è l’esplicazione dei concetti chiave della teoria hob- besiana, grande uomo perché rappresenta la pienezza del potere politico dove quest’ultimo, attra- verso il Leviatano, rivela il carattere della persona sovrano-rappresentativa tipica delle concezioni

Riassunto di ciò e senza dubbio il frontespizio che Hobbes pone all’inizio della