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4.2 Alternative progettuali

4.2.3 Hydrothermal liquefaction

Un’ultima analisi verte su un processo attualmente in fase di studio per applicazioni su biomasse algali, vale a dire l’hydrothermal liquefaction. Tale operazione prevede di inviare la biomassa in un reattore assieme ad acqua la quale, ad elevate pressioni e temperature, è in grado di liquefare la biomassa stessa (Valdez et al., 2012). Risultato finale di tale trattamento sono:

• una fase oleosa, grezza, da commercializzare (seppur di valore inferiore rispetto all’olio estratto con solvente);

• una fase gassosa, composta essenzialmente da metano, anidride carbonica, idrogeno, azoto, etano ed etilene;

uno slurry acquoso, contenente la biomassa residua, separato dalla fase oleosa a valle dell’hydrothermal liquefaction. In seconda battuta, un’opportuna filtrazione provvede alla separazione della fase acquosa dal bioresiduo.

Tale procedura può essere schematizzata come nel flowsheet presente in Appendice (Figura A.6). Si osserva la necessità di operare ad elevate temperature (374°C) e a pressioni tali da mantenere l’acqua in fase liquida. Si riportano per completezza in Appendice (Tabella A.6) le stream tables relative alla simulazione della presente sezione di processo.

In ogni caso il sistema, per come è concepito, presenta una scarsa convenienza dal punto di vista energetico. L’enorme quantitativo di potenza termica richiesta dal processo comporta l’obbligo di dover bruciare l’intera frazione d’olio estratto, oltre al bioresiduo solido, per cercare l’autosufficienza energetica, che comunque non viene raggiunta in queste condizioni. Da tale analisi emerge l’attuale impossibilità di realizzare la liquefazione termica della biomassa algale su scala industriale.

4.3 Conclusioni

Da quanto riscontrato nell’analisi condotta nel presente Capitolo, emerge un fatto di fondamentale importanza: la necessità di “sacrificare” parte dell’olio estratto per conseguire la potenziale autosufficienza energetica della sezione di processo in esame. Tale aspetto, sebbene determini una riduzione dei ricavi associati alle vendite del prodotto principale, consente di risparmiare sui costi di esercizio del processo, rendendolo energeticamente sostenibile. Per riassumere l’analisi appena condotta, si riporta in Tabella 4.5 la frazione d’olio da sottoporre a combustione per le diverse alternative progettuali esaminate.

Tabella 4.5. Frazione d’olio estratto da sottoporre a combustione per

garantire l’autosufficienza energetica del processo, relativamente alle diverse soluzioni vagliate (e ad un contenuto lipidico nelle microalghe pari al 40%).

Processo Frazione d’olio al

combustore

Dry extraction e

combustione biomassa residua 22,2% Wet extraction e

combustione biomassa residua

22,2% Wet extraction e

digestione anaerobica biomassa residua 44,2%

Hydrothermal liquefaction 100%

Dalla valutazione di tali alternative progettuali, si osserva la maggior convenienza, in termini prettamente energetici, della configurazione che prevede estrazione con solvente e

combustione della biomassa residuale, sebbene anch’essa richieda parziale invio al combustore dell’olio estratto. Considerando l’attuale stato non ancora avanzato della ricerca sull’estrazione a umido, si considera il sistema con dry extraction come l’alternativa da sottoporre alla successiva analisi economica.

A conclusione del lavoro sviluppato fino ad ora, è opportuno precisare che il passaggio da ragionamenti puramente teorici (supportati talvolta da simulazioni al computer) ad applicazioni su un impianto industriale fa sorgere diverse problematiche, le più significative delle quali sono ora discusse.

Per quanto concerne il sistema di termostatazione del reattore, la risoluzione del bilancio di energia restituisce per la stagione estiva un valore preciso di duty da smaltire (nel caso considerato, 55,8 MW). Alla luce delle attuali conoscenze tecnologiche, però, non è possibile soddisfare tale richiesta attraverso soluzioni diverse da un sistema di scambiatori di calore posizionato a monte del reattore, un’opzione economicamente assai onerosa. Inoltre l’analisi che è stata sviluppata si basa su due approssimazioni importanti: l’aver considerato valori di irradianza di quattro giornate rappresentative delle stagioni e l’aver assunto come dato di riferimento quello medio giornaliero.

La simulazione della crescita algale effettuata mediante Aspen Plus® prescinde da queste due ipotesi, essendo basata per l’appunto su una cinetica semplificata del tipo kcx (essendo k la costante di crescita netta, pari a 0,6 d-1). Nell’espressione della velocità di crescita dovrebbero invece essere inclusi gli effetti dell’intensità luminosa e del suo assorbimento/scattering. Il problema di eventuali interazioni/contaminazioni tra il sistema di reazione e l’ambiente circostante può essere superato mediante una copertura del reattore. Nel concreto dovranno essere accuratamente valutate sia l’azione isolante sia la tendenza allo sporcamento, e quindi l’attenuazione dell’energia luminosa che può essere assorbita.

L’alimentazione della CO2 al processo è effettuata sfruttando flue gas provenienti da centrali termoelettriche. La simulazione condotta mediante Aspen Plus® fornisce il quantitativo necessario allo scopo. Il problema è identificare la soluzione migliore per alimentare la corrente gassosa al PBR. La saturazione del mezzo acquoso a monte del reattore ha mostrato infattibilità tecnica ed economica. È pertanto necessario prevedere un gorgogliamento diretto all’interno del fotobioreattore: esso può essere affetto da un’efficienza di cattura di CO2 relativamente bassa. In alternativa si potrebbe considerare l’immissione in fase liquida di carbonati, il cui grado di assimilazione da parte delle microalghe è ancora oggetto di studio (Chi et al., 2011).

Il reattore progettato per il caso in esame presenta estensione superficiale notevole, pari a 1 km2: la sua costruzione presenta rilevanti problemi tecnologici, come ad esempio la sua

copertura con un sistema del tipo “a serra”. La suddivisione in tanti reattori di dimensioni inferiori, potrebbe superare questi problemi, ma aumenterebbe i costi.

Resta anche da verificare sul campo in impianti pilota (e non solo teoricamente) il fatto che il comportamento reale di un reattore closed raceway pond sia comparabile a quello di un PFR. Per quanto riguarda l’alimentazione dei nutrienti, la scelta di inviare al reattore acque reflue implica un pretrattamento delle stesse, volto a renderle compatibili con la presenza di alghe. In particolare è necessario valutare fino a che punto spingere tale operazione nell’ottica di assicurare una presenza sufficiente di nutrienti azotati e fosfatici ed escludere nel contempo ciò che può nuocere alla crescita algale (ad esempio batteri). Non è inoltre scontato che le acque reflue contengano in partenza il quantitativo di nutrienti desiderato; è importante che ciò sia preventivamente accertato.

Si segnala la necessità di minimizzare per le microalghe il contributo derivante dal mantenimento, che spinge alla ricerca di sistemi atti a ridurre i periodi di assenza di luce al reattore. Tuttavia è difficile pensare ad un sistema di luce artificiale che possa essere applicato su dimensioni industriali così elevate.

Il sedimentatore del processo in esame richiede un’efficienza di precipitazione maggiore o uguale al 62%. Analisi di laboratorio suggeriscono il quantitativo di flocculanti necessario a garantire tale specifica. È comunque opportuno verificare che il passaggio di scala (da quella analitica a quella industriale) confermi le quantità previste.

Richiede infine una conferma anche il fatto che l’esano, ovvero il solvente impiegato nel leacher, abbia un’efficienza prossima al 100% nel provocare la rottura delle cellule algali e nella conseguente estrazione dell’olio.

Si sono segnalati questi punti critici perché essi vanno accompagnati da ulteriori approfondimenti, per aiutare ad applicare al meglio nella realtà lo studio effettuato e studi analoghi.

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