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Capitolo 3. La Trasmissione dei prezzi e il potere di mercato: un’analisi della letteratura

3.2 I metodi di stima del potere di mercato

3.2.1 I casi studio e la Struttura-Condotta-Performance

La teoria dell’organizzazione industriale rappresenta la branca dell’economia che studia i mercati non perfettamente concorrenziali, specificamente il comportamento di un settore industriale nel suo complesso analizzando i risultati dell’interazione tra i comportamenti degli operatori in termini di livello dei prezzi, volume e qualità dell’offerta, profittabilità del settore e ripartizione dei benefici tra acquirenti e venditori (Pepall et al, 2008; Sodano, 2005).

L’organizzazione industriale tradizionale è stata duramente criticata per essere troppo orientata agli studi empirici e ai casi studio. A partire dai primi anni del ventesimo secolo, ad ogni nuovo caso indagato dall’autorità antitrust esperti di diritto, economia e management fornivano pareri ed effettuavano studi empirici utili all’applicazione della legislazione antitrust, entrata in vigore per la

prima volta negli Stati Uniti nel 1890 con lo Sherman Act. I lavori di Chamberlin (1933), Ronbinson (1933) e Mason (1938) hanno costituito le basi teoriche sulle quali gli autori dei casi studio poggiavano le loro analisi empiriche. Nel corso degli anni, la realizzazione dei casi studio venne considerata troppo dispendiosa e, soprattutto, i risultati ottenuti in un determinato settore non potevano essere facilmente ed efficacemente applicati in altri mercati.

Il paradigma Struttura-Condotta-Performance (SCP), introdotto nel suo lavoro seminale da Bain (1951) attraverso il quale l’autore ha elaborato la prima sistematizzazione teorica della moderna organizzazione industriale, è basato sull’assunzione che la struttura di un settore determina la possibilità per le imprese presenti di contendersi il mercato in modo più o meno competitivo (condotta), generando in tal modo una differente performance misurata, solitamente, dai profitti ottenuti.

Rispetto ai casi studio, i lavori basati sull’approccio SCP presentano l’indiscutibile vantaggio di poter effettuare delle analisi empiriche di tipo cross-section mediante le quali è possibile stimare e comparare la relazione esistente tra gli indicatori di performance e quelli che misurano la struttura del mercato nelle diverse industrie. Per cui, gli studi che applicano tali modelli sono caratterizzati da una prima fase nella quale vengono costruiti, individuati e misurati, anche mediante indagini ad hoc, gli indicatori di performance e di struttura e una seconda fase in cui viene effettuata una stima econometrica della relazione tra le due grandezze. Tra gli elementi impiegati in letteratura per rappresentare la struttura del mercato nei modelli SCP rientrano la concentrazione, le barriere all’entrata e la differenziazione del prodotto. Gli indicatori della concentrazione maggiormente utilizzati sono l’indice di concentrazione definito come la quota dell’output totale del settore offerta dalle prime, solitamente quattro o cinque, imprese e l’indice di Hirschman-Herfindal (HHI) che, diversamente dal precedente indicatore, tiene in considerazione tutte le imprese presenti sul mercato, essendo definito come la somma dei quadrati delle quote di produzione di tutte le imprese operanti in quel settore. Come precedentemente spiegato nel paragrafo sulla sentenza dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nei confronti dell’industria della pasta, solitamente le autorità antitrust considerano un mercato moderatamente concentrato quando il relativo indice HHI, preferito al primo indice perchè più robusto e meno arbitrario, assume un valore compreso tra 1000 e 1800 mentre un valore superiore indica un mercato concentrato. Per barriere di entrata si intendono quei fattori29 che consentono alle imprese presenti sul mercato di avere un vantaggio

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Le cause che secondo Bain (1956) possono generare delle barriere all’entrata sono la presenza di mercati differenziati nei quali le imprese già operanti godono di un vantaggio rappresentato dalla fedeltà dei clienti, il vantaggio competitivo derivante dall’accesso a tecniche produttive superiori, risorse strategiche e brevetti ed, infine, l’eventuale sfruttamento da parte delle imprese presenti nel settore di economie di scala e di distribuzione.

competitivo nei confronti dei potenziali entranti. In letteratura le proxy maggiormente impiegate per la misura delle barriere all’entrata sono le spese in pubblicità, l’intensità del capitale e la dimensione della scala minima efficiente (Weiss, 1974; Salinger, 1984).

Fonte: Digal e Amhadi-Esfahani, 2001

Per quanto concerne le misure della performance, in letteratura vengono generalmente impiegati il tasso di redditività del capitale investito usato come proxy del saggio di profitto e il differenziale tra prezzo e costi marginali. Nel primo caso, l’indicatore viene calcolato a partire dai dati contabili, anche se questo comporta delle serie difficoltà di stima principalmente legate alla natura degli extraprofitti. Il secondo indicatore di performance, che corrisponde al mark-up nel caso di monopolio, viene generalmente misurato mediante l’impiego del costo medio variabile in sostituzione del costo marginale, spesso difficilmente disponibile, o in altri casi viene calcolato come valore delle vendite a cui vengono sottratti i costi legati al lavoro e ai beni materiali, diviso per il valore delle vendite.

Sono molti gli studi30 che hanno stimato dal punto di vista econometrico la relazione tra tasso di ritorno del capitale, concentrazione e altri variabili come la misura delle barriere all’entrata. Anche se Weiss (1974), nella sua trattazione dei modelli di SCP impiegati fino a quel momento in letteratura, ha dimostrato che vi fosse una significativa relazione tra profitto, concentrazione e barriere all’entrata, altri lavori più recenti hanno trovato una debole relazione tra gli indicatori impiegati per spiegare le grandezze (Salinger, 1984).

Altri autori (Domowitz et al. 1986, 1987), seguendo il lavoro di Collins e Preston (1969), hanno esaminato, per numerose industrie, la relazione tra il differenziale tra prezzo e costi marginali e varie proxy della struttura del mercato come la concentrazione usando dati a livello settoriale. Kwoka e Ravenscraft (1985), impiegando dati sulla performance a livello di singola impresa hanno mostrato come la relazione tra elevata concentrazione e alti profitti fosse ambigua.

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Infine, diversi studi riportano gli effetti sulla performance dell’industria di altre variabili. Ad esempio, Kwoka e Ravenscraft (1985) mostrano come la crescita dell’industria abbia un effetto significativo e positivo sul margine di profitto mentre Comanor e Wilson (1967) rilevano la stretta relazione tra la percentuale del rapporto tra pubblicità e vendite con la profittabilità dell’industria. Interessanti e controversi sono gli studi che hanno analizzato gli effetti della presenza dei sindacati sul margine di profitto del settore. Mentre Freman (1983) e Ruback e Zimmerman (1984) trovano un effetto significativo e negativo Voos e Mishel (1986) affermano che, sebbene l’operato dei sindacati riduca il margine di profitto, il prezzo non è significativamente sopra a quello che si determinerebbe in caso di loro assenza.

Dalla breve e non esaustiva rassegna appena presentata in merito agli studi empirici che hanno applicato l’approccio SCP emerge che la relazione tra i fattori strutturali di un settore quali la concentrazione, le barriere all’entrata e altri indicatori presi in considerazione in letteratura e il tasso di profitto delle imprese operanti in quel mercato non sia così chiara e netta. Oltre al parziale riscontro empirico dell’assunzione che caratterizza l’approccio SCP sul nesso di causalità tra struttura del mercato e profittabilità si aggiungono critiche, iniziate già a partire degli anni 60, sui numerosi limiti della metodologia stessa. In primo luogo, il limite maggiore riguarda l’assunzione che le variabili di struttura siano esogene mentre, ben conosciamo che, nella realtà, il livello di profitto e il grado di concentrazione in un mercato si influenzano reciprocamente, oppure alcune particolari strategie (condotta) hanno come obiettivo principale il mutamento della struttura. Proprio la condotta delle imprese che, almeno in base alle assunzioni dell’approccio SCP, dovrebbe essere determinata dalla struttura del settore e, a sua volta, dovrebbe influenzare la performance del mercato stesso, nelle trattazioni empiriche viene omessa. Inoltre, un altro elemento che poneva dei dubbi sulla efficacia dei modelli riguardava la misura degli indicatori della performance del mercato, nello specifico la difficoltà di reperire dati affidabili e, soprattutto, di interpretare dal punto di vista economico le informazioni estratte dai bilanci delle imprese.

I filoni di ricerca che si sono sviluppati nel corso degli anni per superare gli evidenti limiti che hanno caratterizzato l’approccio SCP sono molteplici, tra i quali rientrano gli studi collocabili nella New Empirical Industrial Organization (NEIO) trattati nel prossimo paragrafo. Tuttavia, all’interno del framework SCP, interessanti sono i tentativi realizzati da Sutton (1991, 1998). L’autore, al fine di verificare, per varie industrie, la relazione esistente tra grado di concentrazione e prezzo, ha inserito nei suoi modelli elementi quali i costi non recuperabili, le strategie di differenziazione e l’aumento nel tempo della dimensione di domanda. I risultati di tali studi mostrano come sia indispensabile effettuare una analisi caso per caso perchè è necessario tenere in dovuta considerazione le peculiarietà del settore esaminato.