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I composti metonimici nella metalessicologia

Illustrazione 5: la terminologia dei composti sintagmatic

2.4 I composti metonimici nella grammaticografia

2.4.1 I composti metonimici nella metalessicologia

Per quanto concerne la terminologia adottata dalle varie grammatiche per riferirsi ai composti metonimici, è utile ricordare che come “metonimici” sono sempre stati identificati i composti possessivi, anche noti come bahuvrihi. I composti possessivi vengono chiamati così perché etichettano ciò che posseduto, come yellowtail ʻgiallo.codaʼ denota un tipo di pesce che ha una coda gialla (Bauer 2017: 65), e sono dunque in grado di istanziare una sineddoche o pars pro toto. Ma Bauer (ib. 65, 108-109, 111) ricorda anche che i composti etichettati da Whitney (1889) come “possessivi” sono stati equiparati a lungo con l'etichetta di “composti esocentrici”, per quanto questi ultimi vadano a ricoprire in realtà una più ampia gamma di composti, dettagliatamente descritti in Bauer (2008 e 2010). Ai composti esocentrici Bauer fa afferire infatti non solo i cosiddetti bahuvrihi ma anche i composti sintetici - che coinvolgono un verbo e un suo argomento (Bauer 2017: 65) come cavatappi -, i composti coordinativi esocentrici - del tipo di bagna-asciuga -, i composti che risultano esocentrici a seguito di cambiamenti linguistici o sociali - Bauer riporta fra gli esempi blackberry, letteralmente 'bacca nera' ovvero “mora” che si tratterebbe in realtà di un frutto aggregato ma che comunemente è considerata una bacca, al pari ad esempio di ribes e mirtilli, di modo che non sarebbe vero (in termini scientifici) che la mora è una bacca nera ma ciò è pur vero nel senso comune - e, in ultimo, i composti metaforici. Interessante è tuttavia notare come Marchand (1969: 380) considerasse i composti sintetici del tipo di pickpocket, “tagliaborse”, degli pseudo-composti alla stregua dei composti possessivi e come persino abbia incluso i sintetici nella definizione di “bahuvrihi substantives” (Bauer ibidem: 70). Per Bauer una tale etichetta non farebbe altro che accentuare la natura metonimica di tali composti, tanto da interrogarsi sulla possibilità di analizzare questi composti in misura intercambiabile come prodotti della conversione o della metonimia.

È stato piuttosto in tempi più recenti che Blank (Blank 1988: 22, 23), partendo proprio dal concetto di metonimia, ha individuato i composti metonimici cosiddetti “integrali” proprio nei composti esocentrici.

La tradizione germanica riconosce inoltre i composti possessivi con il nome di “Dickkopf” ʻgrosso.testaʼ “testardo”, riportando un esempio del tipo, seguendo così il modello sanscrito - che utilizza appunto anch’esso il termine sanscrito (bahuvrīhi) - per quanto preferisca oggi etichettarli come “composti possessivi”. I composti bahuvrīhi hanno primariamente un uso aggettivale: bahuvrīhi significa infatti letteralmente “molto riso=che possiede molto riso, ricco” (Bauer 2017: 108). Bauer spiega come la loro peculiarità risieda nel fatto che ogni composto con nome finale come secondo costituente viene convertito in aggettivo senza bisogno di aggiungere suffissi. Il pattern che in inglese ricopre le medesime funzioni, non è un bahuvrihi, dal momento che non si tratta affatto di un composto anche se spesso viene confuso come tale. Si tratta del tipo blu-eyed. Per quanto l’uso primario in sanscrito sia aggettivale (Bauer, ibidem: 109) vi sono comunque anche in Sanscrito bahuvrihi di tipo nominale (Macdonell 1926, Whitney 1889) ed in molte lingue l’etichetta è utilizzata per composti che funzionano da nome piuttosto che da aggettivo.

Ortner & Ortner (1984: 62 e ss.) ricordano, accanto al termine di composti possessivi e di “bahuvrihi” anche quelli di “Exozentrika” e “Mutata”. I due autori, che definiscono questi composti come “possessivi-esocentrici”, riportano inoltre la critica di Coseriu a Marchand che li definì pseudo-composti interpretandoli come composti con un composto come determinante e con un determinato zero. Per Coseriu invece si tratterebbe sempre di composti ed anzi “dal punto di vista del significato linguistico primariamente determinante per i processi di formazione di parola non esisterebbe alcun composto esocentrico bensì esclusivamente endocentrici”. Cosicché Dickkopf ʻgrasso.testaʼ, “testardo”, risulta essere un composto dello stesso tipo di Rotwein ʻrosso.vinoʼ. L’esocentricità piuttosto avrebbe a che vedere con quella che lui chiama la “denominazione antonomastica” (”antonomastiche Bezeichnung”).

I composti possessivi sono stati trattati nella grammatica diretta da Wellman dell’istituto tedesco di Mannheim “Deutsche Wortbildung 4” (Ortner, Müller-Bollhagen et alii 1991) proprio seguendo le convinzioni di Coseriu sulla base delle relazioni esistenti fra i costituenti, e cioè Rothaut ʻrosso.pelleʼ “pellerossa” e Grünschnabel ʻverde.beccoʼ “pivello” vengono trattati nello stesso gruppo di Rotwein “vino rosso” e Grünspecht “picchio verde”.

Viene tuttavia richiamata l’attenzione sul loro status speciale, in quanto negli studi di formazione di parola analitica non è di poco conto se il costituente B di un composto possa o meno comparire come nucleo nella parafrasi, cosa che non si verifica nei composti possessivi.

Tant’è che, per quanto indipendentemente dalla loro particolarità sul referente si considerino come formazioni analizzabili alla pari di tutti gli altri composti (come nel caso di Rothaut, che è analizzabile come un sostantivo con un aggettivo qualificativo), proprio per via della loro particolarità sul referente vengono sempre additati come casi speciali nella descrizione dei singoli modelli di formazione.

Ortner e Ortner (Ortner & Ortner 1984) distinguono due tipi diversi di composti possessivi: quelli il cui referente ha parti o proprietà nominate all’interno del composto (Rothaut ʻrosso.pelleʼ, Rotschwanz ʻrosso.codaʼ “codirosso”, Rotschenkel ʻrosso.cosciaʼ, “pettegola” o “Tringa totanus” Rotdorn ʻrosso.spinaʼ “biancospino rosso”, Hohlopf ʻcavo.testaʼ “pallone gonfiato”) e quelli invece a cui la proprietà in questione viene attribuita in modo comparativo, come nel caso di Hasenfuß ʻlepre.piedeʼ “fifone”, Schafskopf ʻpecora.testaʼ “grullo, stupido”, Grünschnabel ʻverde.beccoʼ “pivello” e Hasenherz ʻlepre.cuoreʼ “cuor di coniglio”. Si tratta evidentemente di casi che risaltano per via delle loro particolari interazioni metaforico-metonimiche che all’epoca ancora non erano state indagate.

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