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I giudici costituzionali quali depositari della nuova verità

Nel documento Verità e diritto (pagine 81-86)

CAPITOLO III: VERITÁ E LEGALITÁ

2. La legalità come archetipo della modernità

3.2 I giudici costituzionali quali depositari della nuova verità

L’evento che fuori di ogni dubbio fornì in Italia il contributo più significativo per una vera e propria “scoperta” della Costituzione fu l’istituzione, nel 1956, della Corte Costituzionale.

La presa di coscienza dello specifico e nuovo carattere del testo costituzionale non poteva che avere ricadute necessarie sul piano metodologico. Gli articoli costituzionali, infatti, lontani dal contenere, secondo la teorizzazione giuridica moderna, sostanze normative che richiedevano esclusivamente di essere rinvenute dalla scienza giuridica e applicate dalla giurisdizione, racchiudono programmi finalizzati all’azione il cui perseguimento è richiesto all’intera pratica giuridica.

Sarà proprio il costante rapportarsi con la nuova dimensione assiologica del testo costituzionale a far comprendere progressivamente alla Corte che il suo compito è quello di contribuire, in concomitanza con la magistratura ordinaria, alla realizzazione del progetto costituzionale comprendendone il senso originario attribuitogli dai Padri Costituenti e aggiornandolo alla luce dell’evoluzione della società italiana123.

In altri termini, in seguito alla lunga parentesi moderna, grazie all’acquisita consapevolezza circa il proprio ruolo da parte dei giudici costituzionali, viene reintrodotto l’antico metodo aristotelico della filosofia pratica che consentì la riscoperta della natura relazionale e dialogica del diritto, il suo non essere più “cosa” o “sostanza” ma práxis.

Dunque, i giudici della Corte hanno oltrepassato le soglie della modernità e si sono avviati alla riconquista della seconda dimensione

122 Sul tema diffusamente, G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite, Einaudi, Torino

1992, p.56 e ss.

123 Sull’evoluzione della giurisdizione costituzionale, M. FIORAVANTI, La trasformazione del modello costituzionale, in L’Italia repubblicana nella crisi degli anni settanta. Sistema politico e istituzioni, a cura di DE ROSA e MONINA,

77 del diritto configurandosi in tal modo come i “custodi” della nuova verità del e nel diritto.

Essi, in questo senso, si fanno fautori di un ripristino del legame tra il diritto che è (il diritto positum, ex parte potestatis) e il diritto che deve essere per configurarsi come giusto (cioè conforme alle fondamentali categorie culturali di senso e di valore della società). Di qui discende che nella prudente e ragionevole gestione di questa tensione risieda il compito del giurista sia teorico e pratico il quale non può più limitarsi ad una applicazione meccanica della legge, ma dovrà sempre valutarla criticamente, sottoponendola ad un test generale di ragionevolezza (che è il tipo di razionalità proprio della ragion pratica) e di conformità ai valori costituzionali, in progressivo aggiornamento da parte della comunità interpretativa124.

4. LA NUOVA VERITÀ DEL DIRITTO: RICOMPARSA DEL DIRITTO NATURALE?

Da quanto si è avuto modo di evidenziare nelle pagine precedenti, nei momenti costituenti le volontà dei soggetti che vi prendono parte tentano di armonizzarsi al fine del raggiungimento di uno scopo comune: quello di stabilire i principi che, posti al di sopra degli interessi particolari, garantiscano la convivenza civile125.

Nonostante nelle assemblee costituenti non siano mancati alcuni “riferimenti partigiani”, i principi sanciti dalle Costituzioni pluralistiche, per poter confluire in un accordo comune nell’ambito del quale tutte le parti (pur essendo disposte a rinunciare a qualcosa) potessero riconoscersi, possono essere rassomigliati, per la loro formulazione universale ai principi del diritto naturale.

In altre parole, si potrebbe addirittura dire che tali costituzioni rispecchino l’«ordine naturale» storico-concreto delle società politiche secolarizzate e pluralistiche126.

Tuttavia, andrebbe precisato come la similitudine tra i principi costituzionali e quelli del diritto naturale non possa stabilirsi soltanto sulla base di una generica corrispondenza di contenuti, quali ad esempio i diritti dell’uomo e la giustizia.

124

M. VOGLIOTTI, Legalità cit., p.402.

125 Sul tema la letteratura è molto vasta, nella presente trattazione si è consultato: J.

RAWLS, A Theory of Justice (1971), trad. It. Una teoria della giustizia, Feltrinelli, Milano 1982.

78 Infatti, l’ “assorbimento” da parte delle Costituzioni di molti dei valori morali propri del diritto naturale rappresenta, in ogni caso, una circostanza storicamente contingente che potrebbe cedere il passo in futuro, a differenti elaborazioni.

Prospettando un ritorno dei principi del diritto naturale nell’ambito dei principi costituzionali, si vuole evidenziare piuttosto un’analogia che potremmo definire funzionale, in quanto relativa alla comune modalità di entrambi di operare nella realtà concreta del diritto. Infatti, i principi nella loro configurazione generale non pretendono (come avviene per le regole) un’azione conforme alla fattispecie, quanto piuttosto una «presa di posizione», confacente al proprio

ethos, nei confronti di tutte le non preventivabili circostanze offerteci

dai casi della vita127.

La realtà storica, anziché rappresentare semplicemente una delle tante fattispecie concrete da sussumere in quelle astratte, una sostanza inerte in balia dell’applicazione di regole, a contatto con il principio si “vivifica” acquisendo valore e mostrando le proprie connaturate qualità giuridiche.

È come se il principio incorporandosi nel fatto richiedesse atteggiamenti conformi ad esso da parte della legislazione, della giurisprudenza e degli individui, quali tutti, pur nella diversità di strumenti, ruoli e competenze, soggetti impegnati necessariamente in un’opera di interpretazione del diritto.

La dottrina del positivismo giuridico, dal suo nascere sino alle più contemporanee formulazioni, si fonda su di un rigido dualismo tra essere e dover essere e sulla base di tale postulato accusa di fallacia

naturalistica tutte quelle correnti che, richiamandosi in qualche

modo al diritto naturale, tentano di stabilire un ponte tra i due aspetti, tra la realtà e i valori.

La dimensione giuridica che è quella del dover essere non sarebbe in alcun modo ancorata alla realtà, di conseguenza, il suo criterio di validità sarebbe non la verità ma la “competenza”. In altri termini, la

127 Sul tema, G. Zagrebelsky scrive: «Alle regole si “ubbidisce” e perciò è

importante stabilire con precisione i precetti che il legislatore enuncia per mezzo delle formule che le contengono; ai principi invece si “aderisce” e perciò è importante comprendere il mondo dei valori, le grandi opzioni di civiltà giuridica di cui sono parti, alle quali le parole non fanno che una semplice allusione». G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite cit., p.149.

79 norma giuridicamente valida sarebbe quella scaturente da una volontà autorizzata, del tutto svincolata da contenuti di verità.

Al contrario, la diretta incidenza dei principi sulla realtà determina le condizioni perché vi sia la possibilità che quest’ultima acquisisca una valenza normativa. Ancora dunque, e questa volta non solo per il riferimento ad uguali contenuti ma per l’identico modo di operare il diritto per principi si accosta al diritto naturale.

È caratteristica, infatti, di qualunque concezione rimandi al giusnaturalismo il fare propria la trilogia: vero, giusto, doveroso. «Dall’essere (il vero) si giunge al dover essere (il doveroso) attraverso il criterio della giustizia»128.

Che il contenuto di ciò che è vero sia determinato dalla volontà di Dio che si manifesta nel creato, o dalla cosiddetta natura delle cose intesa naturalisticamente o razionalmente, non viene a mutare la conformazione del passaggio, tipicamente di diritto naturale, dalla dimensione della realtà a quella della doverosità.

Ciò, a ben vedere, sembra essere anche lo scopo prefissosi dalla Costituzione.

Si è parlato, poi, con riguardo alle giurisdizioni costituzionali di una vera e propria amministrazione giudiziaria del diritto naturale osservandosi, in aggiunta, come l’interpretazione della Costituzione assuma sempre più l’aspetto di una filosofia del diritto, dal momento che le sue procedure, per quanto in necessaria connessione con il diritto vigente, non possano far ricorso esclusivamente alle sue regole di quest’ultimo. I processi di argomentazione del diritto costituzionale, infatti, si confrontano ed attingono in molta parte anche da discorsi metagiuridici129.

D’altra parte, i fautori del positivismo giuridico sostengono che i principi statuiti dalla Costituzione non possano essere principi discendenti dal diritto naturale. All’opposto, essi sarebbero la più alta manifestazione del diritto positivo dal momento che rappresentano lo sforzo di positivizzare ciò che, da secoli, era ritenuta prerogativa esclusiva del diritto naturale, vale a dire la definizione dei diritti umani e della giustizia.

128 IVI, p.162.

129 Sul tema, è stato consultato: J. HABERMAS, Morale, Diritto, Politica, Einaudi,

80 La Costituzione, infatti, nonostante assuma una posizione gerarchicamente superiore a quella del diritto legislativo, non può precedere l’esperienza giuridica positiva poiché non si pone in una dimensione trascendente rispetto alla volontà fondatrice degli individui. È indiscutibile che i diritti siano incorporati nella Costituzione ma quest’ultima è, per sua natura, una “deliberazione” politica, di più: la massima scelta politica, dunque, non un mero riflesso di un ordine naturale130.

Aspetti di tematiche sia giusnaturalistiche che positivistiche sono riconducibili alla natura dei principi costituzionali.

Di qui, risulta essere evidente come la questione dell’avvenuto “inglobamento” dei contenuti del diritto naturale nelle Costituzioni contemporanee o, viceversa, di una loro totale comprensione all’interno delle categorie del diritto positivo non si sia ancora sopita e probabilmente sia destinata a non esserlo se ancora fondata su una rigida opposizione131.

130 In merito, G. ZAGREBELSKY, Il diritto mite cit., p.154 e ss.

131 Sul tema, tra gli altri, P. F. GROSSI, Introduzione ad uno studio sui diritti inviolabili nella Costituzione italiana, Cedam, Padova 1972.

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Nel documento Verità e diritto (pagine 81-86)

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