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I presupposti per la stipulazione del contratto

7. La disponibilità nelle due versioni del lavoro intermittente

7.1. I presupposti per la stipulazione del contratto

Oltre che da divieti (87) il contratto subisce il condizionamento di presupposti soggettivi e oggettivi (88), che ne definiscono due distinti ambiti di utilizzo. Il primo è individuato su base anagrafica, interessando le prestazioni rese da chi ha meno di ventiquattro o più

fra le sue prerogative quella di richiedere al lavoratore la prova del fatto che l’info-rmazione sia stata effettivamente tempestiva.

(85) VOZA, Il contratto di lavoro intermittente, in VALLEBONA (a cura di), I

contratti, cit., p. 1256.

(86) Ipotesi, questa, che comprova la non obbligatorietà di prestazioni effetti-vamente discontinue. Per una diversa impostazione, v., tuttavia, Trib. Firenze, 25 gennaio 2011 (a quanto consta non pubblicata), che considera requisito indispensabile del lavoro a chiamata « la mancanza della regolarità e della continuità della prestazione, che per contro sono proprie dell’ordinario contratto di lavoro subordinato ».

(87) Riferiti alle seguenti ipotesi: sostituzione di lavoratori in sciopero; fatta salva diversa disposizione degli accordi sindacali, utilizzo in unità produttive dove nei sei mesi precedenti si sia proceduto a licenziamenti collettivi o sia stata attivata la cassa integrazione guadagni, che abbiano interessato lavoratori adibiti alle stesse mansioni alle quali si riferisce il contratto di lavoro intermittente; mancata effettuazione della valutazione dei rischi (art. 34, comma 3, d.lgs. n. 276/2003).

(88) Peraltro, essendo riconducibile alla categoria dei « contratti a orario ridot-to, modulato o flessibile » richiamati dall’art. 8 d.l. n. 138/2011, sono ammessi interventi della contrattazione collettiva che lo svincolino da siffatti presupposti.

di cinquantacinque anni (art. 34, comma 2, d.lgs. n. 276/2003 (89)), e ciò con il duplice scopo di promuovere il graduale inserimento lavorativo di inoccupati e disoccupati e di offrire una prospettiva occupazionale calibrata sulle esigenze di chi non è interessato ad un impiego continuativo (come studenti e pensionati). La delimitazio-ne del secondo, invece, segue il consueto schema della flessibilità contrattata, alla quale è assegnata la funzione di definire le ragioni che giustificano il contratto, nonché i periodi di tempo in corri-spondenza dei quali può essere richiesta la prestazione lavorati-va (90).

Il ruolo autorizzatorio non compete, tuttavia, ai soli contratti collettivi, potendo essere svolto — solo, però, nel caso di loro inerzia — anche dal Ministero del lavoro (art. 40 d.lgs. n. 276/2003). Eventualità concretizzatasi con il d.m. n. 259/2004, che rinvia alle

(89) La norma è stata modificata dall’art. 1, comma 21, lett. a), l. n. 92/2012. Infatti, in precedenza le soglie d’età al di sotto e al di sopra delle quali era consentito ricorrere al lavoro a chiamata erano, rispettivamente, venticinque e quarantacinque anni. Nella nuova formulazione della norma è, poi, previsto che per coloro con meno di ventiquattro anni è necessario che le prestazioni contrattuali siano svolte entro il ventiquattresimo anno d’età. Sul punto, la circolare del Ministero del lavoro n. 18/2012 distingue fra la data di stipulazione del contratto e il periodo di esecuzione. Nel primo caso, è necessario che il lavoratore non abbia ancora compiuto ventiquattro anni, nel secondo caso, invece, il limite si innalza a venticinque anni. Sicché, « il ventiquattrenne, sino al giorno antecedente al compimento dei 25 anni, potrà essere chiamato a rendere la propria prestazione », mentre se tale limite dovesse essere oltrepassato interverrà « la “trasformazione” del rapporto in un rapporto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato ».

(90) Prima della sua abrogazione da parte dell’art. 1, comma 21, lett. a), l. n. 92/2012, l’art. 37 d.lgs. n. 276/2003 ammetteva il ricorso all’istituto il fine settimana, durante le ferie estive, in corrispondenza delle vacanze natalizie e pasquali. Quanto alla contrattazione collettiva, nei rari casi in cui è intervenuta, si è regolata facendo coincidere i presupposti del lavoro intermittente con quelli del lavoro straordinario (v., ad esempio, c.c.n.l. aziende industriali del legno; c.c.n.l. aziende artigiane chimiche; c.c.n.l. aziende artigiane metalmeccaniche; c.c.n.l. aziende artigiane tessili — tutti siglati il 4 marzo 2005 da Conflavoratori) ovvero individuandoli in « esigenze tecniche, produttive, organizzative o sostitutive, per le quali non sia possibile stipulare contratti a tempo parziale, per l’impossibilità o comunque la difficoltà di predeterminare i periodi di prestazione lavorativa » (c.c.n.l. imprese cooperative del settore artistico, informativo, sport e spettacolo del 20 luglio 2006 — siglato da FESICA-CONFSAL, LIBERSIND-CONFSAL e CONFSAL-CISAL —; c.c.n.l. studi professionali non ordinistici del 24 aprile 2005 — siglato da FENASALC-CISAL —)

attività indicate nella tabella allegata al r.d. n. 2657/1923, ossia alle « occupazioni che richiedono un lavoro discontinuo o di semplice attesa o custodia » escluse dalla limitazione d’orario di cui all’art. 1 del d.l. n. 692/1923.

La scelta è stata criticata, poiché mentre questo elenco sottin-tende un’accezione d’impiego discontinuo nel significato di ridotta intensità lavorativa, nel lavoro a chiamata lo stesso requisito non attiene all’impegno imposto dal lavoro, ma dal suo avvicendarsi con l’inattività. Allo stesso tempo, si è rilevata la dissonanza fra il provvedimento amministrativo e il rinvio legale, dove alla contrat-tazione e — in via sussidiaria — all’autorità amministrativa è assegnato il compito di determinare le esigenze legittimanti e non le qualifiche o le mansioni dei lavoratori (91).

Tuttavia, già la l. n. 30/2003 si era riferita a « prestazioni di carattere discontinuo o intermittente », poi tradotte dal d.lgs. n. 276/2003 in « esigenze », sicché delle due l’una: o la seconda formulazione è in linea con la prima — e quindi il criterio adottato dal ministero non determinerebbe alcuno scostamento dal rinvio legale — oppure in sede di attuazione la delega è stata travisata, con un conseguente problema di costituzionalità (92). In ogni caso, il rinvio alla normativa ministeriale ha il merito di esprimere un’ade-guata oggettività alla quale si associa una non irrilevante

funziona-(91) VOZA, Il contratto di lavoro intermittente, in VALLEBONA (a cura di), I

contratti, cit., p. 1264; NUZZO, Il lavoro intermittente: un’opportunità nelle Information communication tecnology?, W.P. C.S.D.L.E. “Massimo D’Antona”, n. 31, 2005, p. 8 ss.; MATTAROLO, Lavoro intermittente: uso improprio e misure di contrasto, in CARINCI F. MISCIONE(a cura di), Commentario, cit., p. 129.

(92) Implicazione, questa, prospettata da ALES, I paradossi della tipizzazione: i

« contratti » di lavoro intermittente, in Diritto del lavoro. I nuovi problemi, cit., p. 863,

che per evitarla considera necessaria una preventiva « attività istruttoria che abbia consentito l’individuazione nel settore o nell’ambito territoriale di riferimento di prestazioni che si rendono necessarie in forma intermittente o discontinue », alle quali fare seguire « la definizione di esigenze particolari, produttive o, più precisamente, di mercato, in presenza delle quali a tali prestazioni è dato far fronte esclusivamente mediante il ricorso al lavoro intermittente ».

lità sul piano selettivo, comprendendo molti dei profili professionali ai quali ci si rivolge per assecondare le esigenze, che l’istituto è tipicamente volto a soddisfare (93).