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I progenitori delle MSP: l’emissione dalle LMXB

1.4 Evoluzione delle pulsar

1.4.2 I progenitori delle MSP: l’emissione dalle LMXB

Grazie al grande flusso di fotoni di alta energia provenienti da sorgenti in seno agli ammassi globulari (GC), furono scoperte [Giacconi et al. 1974] quelle che oggi consideriamo le progenitrici delle MSP, ovvero le low-mass X-ray binary (LMXB). La supposizione che le MSP siano lo stadio successivo delle LMXB venne avanzata subito dopo la loro scoperta, avvenuta da parte di Backer [1982]. L’ipotesi è corroborata dall’evidenza che la maggior parte delle MSP si colloca in sistemi binari. Inoltre le MSP hanno un campo magnetico più basso di quello generalmente trovato nelle pulsar normali, come se l’accrescimento di materia riducesse, in qualche modo, il campo magnetico.

G. Clark [1975] suggerì che, data la densità stellare estremamente alta nelle regioni interne dei GC (§1.6), vecchie ed ormai spente NS, che si dispongono nei pressi del nucleo dell’ammasso, possono occasionalmente “collidere” con un sistema binario, distruggerlo ed acquisire una nuova compagna (exchange encounter). Quest’ultima quindi evolve, riempie il suo lobo di Roche e comincia il trasferimento di materia verso la NS, formando così una LMXB. È valido anche il procedimento inverso, cioè una NS o MSP, che costituisce un sistema doppio, può essere scalzata da una terza stella che ne prende il posto. Si giustifica così l’enigmatica presenza di MSP isolate in GC, soprattutto in quelli con alta densità centrale (e.g. NGC 7078 [Anderson 1993], NGC 6624 [Biggs et al. 1994,Lynch et al. 2012], NGC 6517 [Lynch et al. 2011], NGC 6752 [D’Amico et al. 2001a;2002]), che provoca la disgregazione dei sistemi binari rimescolando continuamente le coppie già esistenti. Un altro possibile fattore può essere la presenza di un buco nero (BH) di massa intermedia nel centro del GC (come in NGC 6752 [Colpi et al. 2002]). Il processo dinamico appena descritto può essere anche esteso a sistemi doppi o multipli che interagiscono tra loro. Un sistema stellare avrà una “sezione d’urto” sicuramente maggiore di un oggetto singolo. D’altro canto il loro numero è solitamente inferiore rispetto a quello degli oggetti isolati, con l’esclusione delle regioni centrali dei GC più densi.

A livello qualitativo la teoria per l’emissione delle LMXB è relativamente semplice da delineare: in presenza di una NS magnetizzata l’accrescimento di materia è incanalato verso i poli magnetici, cosicché l’emissione X è circoscritta ad una zona limitrofa alla superficie stellare. Se l’asse magnetico non è allineato con quello di rotazione, ad un osservatore potrà capitare di vedere un’emissione X variabile, con periodo pari a quello di rotazione della stella. Questo periodo, a sua volta, è modulato dal moto di rivoluzione della NS intorno alla primaria. Come già detto, la formazione di un disco di accrescimento è in grado di aumentare la velocità rotazionale della NS, a causa del trasferimento di materia e quindi di momento angolare.

Si introduce una distanza caratteristica rA, chiamata raggio di Alfven, che gioca

un ruolo importante nell’accrescimento. Si ha infatti che per:

• r < rA la pressione magnetica H2/8π è maggiore della pressione dinamica

del fluido ρu2. In questa circostanza il moto del fluido è dominato dal campo

il flusso di materia verrà convogliato in una piccola area intorno alle calotte polari magnetiche. La zona interna dove H2/8π > ρu2 è detta magnetosfera.

• r > rA la pressione dinamica del fluido supera la pressione magnetica ed il

fluido si comporta come se non ci fosse un campo magnetico. Se il materiale in caduta è fornito di momento angolare, si formerà un disco di accrescimento, la cui velocità di rotazione alla distanza rA , cioè al suo bordo interno, si potrà

stimare grazie alla velocità kepleriana del materiale in caduta attorno alla NS. Il valore di rA corrisponderà al raggio in cui si equivalgono le due pressioni

(H2/8π ' ρu2). Se m

dè il momento di dipolo associato al campo magnetico, avremo

H = md/r3; ad u sostituiamo la velocità kepleriana acquisita dalla materia in caduta

sulla NS, ossia u = pGMN S/r. Il calcolo della densità del disco di accrescimento è

più grossolano, poiché dipende da parametri non del tutto noti, e la si può valutare dal ritmo di accrescimento, cioè

˙

M = ρuS =⇒ ρ = ˙M /4πr2u, (1.30)

dove S è la superficie della sfera di raggio r e il prodotto uS rappresenta il volumetto spazzato nell’unita di tempo dalla materia accresciuta. Fatte queste approssimazioni, il raggio critico che stiamo cercando diventa

rA=  m2d 2 ˙M√GMN S 2/7 . (1.31)

Per valori rappresentativi dei parametri di una NS (md= 1030G cm3, ˙M = 1017g/s,

MN S = 1.4 M ) si trova rA ≈ 3 × 108cm  RN S, assicurandoci, malgrado le

parecchie approssimazioni, che il flusso di particelle venga convogliato verso i poli magnetici. Proviamo ora calcolare qual è il minimo valore che deve assumere H affinché si verifichi il processo di “canalizzazione”. Per far ciò rimaneggiamo la (1.31) in funzione del raggio di Alfven, non senza aver posto prima rA= RN Se md= HR3N S.

Si ha

Hmin=

(2 ˙M )1/2(GMN S)1/4

RN S5/4 (1.32)

e reinserendo i parametri tipici delle NS già citati otteniamo H ≈ 5 × 107G, valore di

circa un milione di volte più piccolo di quello richiesto per le pulsar radio ordinarie. In conclusione, il meccanismo di emissione è completamente diverso da quello delle pulsar radio: nelle pulsar radio è il campo elettrico indotto dalla rotazione della NS magnetizzata che estrae gli elettroni che poi irradiano, scorrendo lungo le linee di forza ricurve del campo magnetico, mentre la rotazione di quest’ultima viene frenata; nelle pulsar-X l’emissione è dovuta alla conversione in radiazione dell’energia gravitazionale, liberatasi nell’accrescimento di materia nelle zone polari magnetiche della NS, e l’azione frenante dovuta al dipolo magnetico ruotante è trascurabile, rispetto al momento angolare trasferito dalla materia accresciuta. In entrambi i casi il campo magnetico ha un ruolo essenziale nel rendere anisotropa l’emissione, ed in entrambi i casi è lo sfasamento tra gli assi che genera le variazioni nella radiazione osservata.