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CAPITOLO 2: I riscontri in letteratura

2.3 I sopravvissuti

Affinché la realtà post-apocalittica colpisca l’immaginario del lettore e vi lasci un segno, è necessario che l’autore configuri un mondo caratterizzato da marche di plausibilità e soprattutto “immaginabilità”. Tale scopo è spesso raggiunto tramite la descrizione di uno spazio straordinario, affidata agli abitanti e ai visitatori di questo mondo. Se gli orizzonti post-apocalittici giocano inevitabilmente sull’estraniazione dal nostro mondo, allora il modo per dare un senso a questo tipo di realtà è far esplorare i nuovi setting ai protagonisti delle varie opere e osservarli mentre interagiscono con essi. Entrano quindi in scena i sopravvissuti al cataclisma, che per Berger sono, assieme alle loro testimonianze, “invested with several distinct but related forms of authority”138. Egli afferma che la funzione principale del sopravvissuto è quella epistemologica, “for the survivor has seen, and knows, what no one else could see and know”139. Gli scampati all’apocalisse sono quindi investiti del cosiddetto “privilegio epistemico”, che conferisce loro una sorta di autorità etica che può facilmente diventare politica o spirituale, in base al ruolo e all’aspetto dell’evento apocalittico in sé. Berger, come esempio concreto, ricorre ai veterani della seconda guerra mondiale, i quali, avendo partecipato al conflitto, possono testimoniare agli altri le loro esperienze, renderli più familiari e, quindi, trasmettere loro almeno parte della loro autorità epistemica, etica e spirituale140.

138

James Berger, After the End: Representations of Post-Apocalypse, cit., p. 48.

139

Ibidem.

140

73 In un certo senso, si tratta di un passaggio di testimone, essenziale in quanto i valori espressi dai sopravvissuti vengono tramandati ad altri che li possono fare propri, ed ecco allora che le denunce (sociali, politiche, economiche, ambientaliste) che si celano dietro i racconti post-apocalittici vengono convogliate ai lettori in maniera più o meno esplicita.

Il ruolo di cui vengono investiti i personaggi tipici di questo genere letterario risulta complesso e gravoso. Secondo Elana Gomel, loro è il mandato di farsi ambasciatori per i morti e in quanto morti141; a tal proposito Primo Levi, testimone di quella realtà dei campi di concentramento evocata da Berger come esempio di un’apocalisse già avvenuta, in un suo libro affermò che gli unici testimoni autentici delle atrocità sono i morti stessi142. Solo i morti hanno subito e patito nel profondo gli orrori della Storia e chi vuole testimoniare tali realtà deve farsi carico del loro dolore e, in un certo senso, “convertirsi”. Ancora una volta, troviamo una condizione bivalente: in bilico tra la vita e la morte, ancora vivi ma simbolicamente deceduti, i testimoni delle scene apocalittiche cercano di offrire una testimonianza degli avvenimenti diretta e non mediata, in modo che il messaggio permei ancora di più la mente e il cuore dei suoi lettori.

Un altro elemento che contribuisce alla complessità del ruolo degli spettatori delle scene apocalittiche è sottolineato da Chanda Phelan, la quale afferma che la nostra realtà è percepita e conosciuta attraverso simboli e strutture che le danno significato; dato che il cataclisma apocalittico ha privato il mondo di tali attributi, l’uomo post-catastrofe si ritrova a vivere in una dimensione non conosciuta, non ancora comprensibile e perciò “inesistente”, annichilita, una realtà con cui il genere umano dovrà istituire un dialogo per poter tornare a farne parte. Questo processo di riappropriazione non è semplice, poiché i sopravvissuti alla catastrofe

141 Elana Gomel, “The Plague of Utopias: Pestilence and the Apocalypse Body”, cit., p. 430. 142

Primo Levi, The Drowned and the Saved (I sommersi e i salvati), Vintage, New York 1989, pp. 83-84, cit. in Elana Gomel, “The Plague of Utopias: Pestilence and the Apocalypse Body”, cit., p. 430.

74 can no longer rely on the old patterns and narratives, which makes us feel constantly off-balance, cut loose from the anchors that previously protected us from being overwhelmed by the meaninglessness of existence. The only way to alleviate some of the discomfort imposed by defamiliarization is to find new ways of looking, new patterns to create meaning in the new world143

e, aggiungerei io, recuperando quei remains che possano fungere da mediatori tra le due realtà separate dall’evento apocalittico.

Apparentemente può inoltre sembrare che, a causa della forza soverchiante dell’evento cataclismatico, i personaggi siano qui superflui, schiacciati dalla minaccia dell’estinzione della razza umana che assume maggiore importanza rispetto al destino della singola persona. William Lomax ci rammenta tuttavia che le storie post-catastrofiche insegnano il ricostituirsi della civiltà, spesso affidato alle gesta di un singolo o, comunque, di pochi personaggi144. Sono il protagonista o il gruppo di sopravvissuti (all’interno del quale tutti o quasi tutti hanno una funzione e un ruolo precisi) a farsi portatori di specifici valori e ideologie dell’era pre-apocalittica, in virtù di quel processo di semplificazione sineddochica che investe il singolo del ruolo di rappresentante della società in generale. Temere per la vita dei protagonisti significa perciò temere per la sopravvivenza dell’intero genere umano e della società civile. Altre volte, per Lomax, la funzione dei personaggi di queste opere non è conservatrice, ma palingenetica: quando si diffonde un sentimento di sfiducia nei confronti dei nostri miti, si manifesterebbe la tendenza a crearne di nuovi, ed ecco allora che nasce l’eroe post-apocalittico. Come eroe nuovo, egli diviene la pietra su cui erigere una cultura nascente145 dopo l’eradicamento della civiltà precedente.

143 Chanda Phelan, “An end-of-the-world compromise”, cit. 144

William Lomax, “From the Ashes Comes the Cuckoo: Character and Myth in Postholocaust Narratives”, cit., pp. 65-66.

145

75 Ma qual è la caratteristica principale dei protagonisti di queste opere? Sicuramente, a loro è funzionalmente concessa l’immunità al cataclisma, il cui prezzo è il farsi partecipi della protratta agonia dell’umanità e del mondo, in modo che sia garantita la loro testimonianza di ciò che avviene durante e dopo l’evento apocalittico146 (si veda ad esempio il protagonista di The Last Man, l’unico in tutta l’opera ad ammalarsi di peste e poi a guarire). Secondo Lavigne,

the goal (or purpose) of survival supersedes all other dramatistic elements: the heroes do not conquer, but instead flee, they have limited means which are not used to achieve victory, but rather as feeble attempts to temporarily stave off utter consumption by the scene147.

Vorrei sottolineare che qualsiasi tentativo di esegesi categorizzante presenta in questo particolare caso dei limiti. La descrizione offerta da Lavigne non trova infatti applicazione proprio negli esponenti di punta del sottogenere post- apocalittico: rimanendo nell’ambito delle opere americane (settore da lui trattato), mi basti citare I am Legend (1954, romanzo di Richard Matheson trasposto più volte in film, recentemente nel 2007 ma, come succede quasi sempre con le traduzioni intersemiotiche di opere letterarie, la qualità della versione cinematografica è nettamente inferiore all’originale), il cui protagonista lavora attivamente per comprendere e magari cambiare la nuova realtà post- apocalittica, e The Postman (opera interessantissima scritta da David Brin nel 1985), dove il protagonista tenta di riedificare una società ormai distrutta ed è pronto a compiere grossi sacrifici nell’ottica di questa speranza.

Che siano testimoni o meno dell’evento catastrofico, la radicalità del setting post-apocalittico costringe i personaggi che lo popolano ad essere indipendenti, a liberarsi da quelle restrizioni della società evoluta spesso palesate negli scenari narrativi distopici; come utilizzare questa libertà sarà ciò che determinerà la

146 Elana Gomel parla, a tal proposito, di “historian among the graves” (“The Plague of

Utopias: Pestilence and the Apocalypse Body”, cit., p. 411).

147

Jeffrey James Lavigne, After the Fall: The Post-Apocalyptic Frontier in “The Road” and “28

76 natura e il carattere dei vari personaggi. Al tempo stesso, la natura dell’indipendenza di cui il protagonista può godere è definita dalla familiarità dell’ambiente narrativo, che è dettata dall’utilizzo dei remains e che lo rende analogo al mondo del lettore: i personaggi quindi sono in grado di mostrarsi liberi di agire rispetto proprio a quegli stessi vincoli (legislativi, morali) cui il pubblico è costretto a sottostare148. In virtù di questi fattori, se prima dell’apocalisse il sopravvissuto era un “nessuno”, dopo il cataclisma egli è in grado di plasmare la propria esistenza e diventare chiunque voglia.

Come ribadito altrove, la realtà post-cataclismatica affascina grazie alla miriade di possibilità che offre, non solo nel riplasmare il mondo, ma anche gli individui che la abitano. Volendo collegare questo discorso all’influenza della tradizione cristiana che, inevitabilmente, incide sulla produzione letteraria (post-) apocalittica, risulta interessante la seguente affermazione di Leigh: “Among the novels that employ the cosmic battle, approximately half of those examined include some form of apocalyptic messiah figure, [...] make significant use of a Christ figure, of nonviolent resistance, or of sacramental symbols”149. Secondo Leigh, quindi, i protagonisti di questo genere di opere, oltre a fungere da testimoni di una nuova realtà, vengono investiti del ruolo di salvatori o comunque di ambasciatori di un’etica improntata maggiormente alla carità, alla compassione e al sacrificio rispetto a quella dei personaggi di altri tipi di narrativa e anche l’uomo più comune può essere qui connotato di elementi messianici150.

La libertà offerta ai personaggi post-apocalittici rimane comunque condizionata dallo scenario in cui si aggirano. Come ricorda anche Lavigne, che li paragona ai pionieri della conquista del selvaggio West151, nel caso di apocalissi di carattere globale, o che si estendono su tutto lo spazio raggiungibile all’interno

148

William Lomax, “From the Ashes Comes the Cuckoo: Character and Myth in Postholocaust Narratives”, cit., p. 68.

149

David J. Leigh, Apocalyptic Patterns in Twentieth-Century Fiction, cit., p. 35.

150

La conseguenza di ciò è portata all’estremo, con intento satirico, in The Book of Dave di Will Self, dove il diario scritto dal personaggio eponimo sarà il fondamento per una nuova religione, un surrogato della Bibbia o del Corano.

151

Jeffrey James Lavigne, After the Fall: The Post-Apocalyptic Frontier in “The Road” and “28

77 della diegesi, i personaggi spesso non possono domare, conquistare, né tantomeno fuggire dal paesaggio, che si rivela loro nemico e il loro più grande ostacolo152. Quella subita da loro è una forma di prigionia che li costringe a scendere a compromessi con il nuovo mondo, a cercare di cambiarlo in meglio o ad adattarsi completamente, nel bene e nel male, ad esso. Spesso, quindi, i personaggi che si fanno portatori delle norme del mondo pre-apocalittico si ritrovano a vivere in una società per la quale i vecchi valori e leggi non contano nulla e a tale scardinamento soccombono, se non riescono ad adattarsi in fretta.

Tuttavia, alcuni tratti della società moderna, quali il riunirsi nell’intento di costituire i nuclei di future civiltà, la volontà di proteggere i più deboli e il desiderio di educare, possono risultare utili in un mondo post-apocalittico; inoltre, spesso la nuova civiltà che si viene a formare non ha spazio per le discriminazioni (almeno quelle dell’era pre-catastrofe), in quanto la sopravvivenza di ciascuno ha un’urgente priorità. Quando l’autore, attraverso la sua opera, voglia invece denunciare proprio le discriminazioni sociali, etniche, religiose o sessuali del proprio tempo, allora vi è il ricorso a nuove tipologie di “diversi”: gli alieni, i mutanti o addirittura i sopravvissuti stessi al cataclisma, che, se in inferiorità numerica rispetto ad altri abitanti del nuovo mondo, divengono oggetto di ostracismo (si veda, ad esempio, The Committed Men di M. John Harrison). A proposito degli impulsi maligni che connotano queste opere, questi si palesano negli antagonisti spesso sotto forma di un desiderio di potere da ottenere attraverso l’assimilazione di conoscenze e l’acquisizione di risorse tecnologiche e beni che, se appartengono all’era pre-apocalittica, gettano una luce negativa sulla riesumazione del passato, soprattutto se essa consiste nel recupero di armi o altri strumenti atti a garantire una posizione di predominio sul resto dei sopravvissuti.

In conclusione, quale tipo di struttura attanziale è possibile individuare all’interno del racconto post-apocalittico e come si relaziona questa con i

152

Concetto questo espresso anche da Wolfe, il quale colloca come quarto punto del suo schema l’emergere della natura come antagonista.

78 personaggi? Joseph Campbell, in uno studio miliare, ha individuato tre momenti diversi all’interno del percorso esperienzale dell’eroe nella narrativa mitica, ovvero gli stadi di departure, initiation e return153. Con “partenza” egli intende l’investitura del protagonista del ruolo di eroe, volto a compiere un viaggio (fisico o spirituale) che lo allontanerà dagli ambienti che costituiscono la sua quotidianità, da ciò che gli è familiare. Il secondo stadio riguarda il momento in cui l’eroe attraversa “a dream landscape of curiously fluid, ambiguous form, where he must survive a succession of trial”154. Queste prove, spiega Campbell, sono quelle che permettono al soggetto di maturare, conoscere il mondo e acquisire le competenze e abilità necessarie a compiere la sua missione. Una volta avvenuto il superamento delle avversità, o la “penetration of the source, or through the grace of some male or female, human or animal personification”, egli ritorna al luogo di origine con il suo “life-transmuting trophy” per il beneficio dell’intera comunità155. È importante sottolineare che i tre momenti individuati da Campbell sono accumunati dall’elemento cinetico: “departure” e “return” sono due termini che sottointendono un movimento, mentre per quanto riguarda la “initiation”, lo studioso parla di “move in a dream landscape”156.

Questo continuo riferimento al movimento pare quindi essere la costante che dimostra come, con le dovute eccezioni, lo schema tripartito ben si adatti alla narrativa post-apocalittica, i cui protagonisti, come vedremo nei prossimi capitoli, molto spesso intraprendono viaggi attraverso le wasteland in modo da conoscere e far conoscere ai lettori la realtà post-cataclismatica e conseguentemente la realtà loro coeva. Carl Yoke osserva che molte opere post- apocalittiche si concentrano proprio sulla seconda parte del percorso postulato da Campbell, che coincide con il viaggio attraverso la wasteland. In questo caso, egli afferma, l’intero racconto diviene metafora del rito di iniziazione, nel quale il personaggio sviluppa abilità, talenti e cresce psicologicamente e raggiunge così la

153 Joseph Campbell, The Hero with a Thousand Faces, New World Library, Novato 2008, p. 23. 154

Ivi, p. 81.

155

Ivi, p. 167.

156

79 piena maturazione157. Campbell a tal proposito afferma che, attraverso questo processo di separazione, iniziazione e ritorno,

a hero ventures forth from the world of common day into a region of supernatural wonder [...]: fabulous forces are encountered and a decisive victory is won [...]: the hero returns from his mysterious adventure with the power to bestow boons on his fellow man158.

È questo un processo di formazione e catarsi cui il lettore partecipa virtualmente in compagnia dei protagonisti di queste opere.

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