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I Taparelli d’Azeglio: un percorso storiografico

Nel 2002 Carlo Pischedda, a margine dell’uscita di alcune importanti opere sui d’Azeglio, muoveva acute riflessioni sul rapporto tra storia e me- moria dei due epigoni della famiglia, Massimo ed Emanuele1. Come osser-

vava l’illustre studioso di Cavour e del Risorgimento, con la morte nel 1862 del marchese Roberto, della moglie Costanza Alfieri, e del padre gesuita Luigi Taparelli, era sorta nei “sopravvissuti” della famiglia, zio e nipote ap- punto, consci della prossima estinzione di casa “Zei”, la necessità, quasi l’impellente bisogno, di fare concretamente i conti con il proprio passato. Così, a modo loro, gli ultimi d’Azeglio si facevano storici di se stessi. Per il “Gran Massimo” non poteva che trattarsi di una questione più di lettere che di scienza, più di autobiografia che non di lessico familiare. Già in passato aveva mostrato la volontà di «jete[r] à la hâte quelques traits de ma vie sur le papier»2, ed effettivamente qualche riga la vergò per l’amico Torelli nei

Racconti pubblicati all’interno della rivista “Il Cronista”3; poi ci ripensò,

dissuadendo il nipote, che già allora non si era dimostrato insensibile al po- tere evocativo del suo epistolario così come al mito che già gli aleggiava attorno, dal fare la raccolta delle sue lettere; semmai le vendesse ad un li- braio, per cavarne, «forse», di che per «un pranzo e ber una volta alla mia

1 C. PischEddA, Massimo e Emanuele d’Azeglio memorialisti, in Studi Piemontesi, XXXI,

1 (2002), 3-14 ora in C. Pischedda, Pagine sul Risorgimento (a cura di R. Roccia), Santena 2004, 311-328.

2 M. d’AzEGlio, Epistolario (a cura di G. Virlogeux), vol. VI, Torino 2007, lettera di

Massimo ad Emanuele, 22 dicembre 1850, 198.

3 Ora in M. d’AzEGlio, Racconti, leggende, ricordi della vita italiana, introduzione e note

salute»4. Ma quelli erano i tempi occupati dalla politica e dalla vita pubblica;

poi vennero i tempi della disillusione del più italiano tra i padri della patria, e fu un’altra storia. Come ha scritto Alberto Maria Ghisalberti, dalle pre- occupazioni artistiche Massimo transitò al campo delle inquietudini morali e politiche, sempre assillato dal problema, per lui essenziale, del carattere nazionale tutto da costruire5. Venne dunque quel sabato 7 febbraio 1863 in

cui l’eclettico personaggio pose mano alle prime pagine de I miei ricordi. Al nipote, Massimo poteva comunicare di essersi messo di gran lena a scri- vere le memorie «nostre, mie, del paese, degli amici», di aver cominciato dall’origine della famiglia6. E in effetti un po’ di storia “propria”, d’Azeglio

la fece; a modo suo però, con mestiere di scrittore e con lo stile rapido e aneddotico che gli aveva sempre garantito successo, convinto più che mai della forza dell’aforisma che «quando si comincia a invecchiare, ricordarsi e raccontare diverte»7. Appunto: ricordare e raccontare, non scrivere di storia.

Nacquero alcune delle pagine più celebri del libro, con l’esordio, in tono minore, ma grandioso, che traccia il discrimine tra un prima e un dopo: «ho passata tutt’intera la mia vita sino a tre mesi fa, senza saper altro della mia famiglia se non poche notizie udite da un vecchio agente di casa. Non uscì mai parola dalla bocca di mio padre e mia madre su questo argomento […] non cercai più in là»8. Se per una vita intera non si era posto domande sugli

antenati – anzi, li aveva obliati per quell’antipatico cognome Taparelli che l’aveva sempre obbligato a firmarsi “Azeglio”9 – Massimo, novanta giorni

dopo la morte del fratello maggiore Roberto, sentiva il bisogno di consultare i documenti di famiglia onde saziare la sua «erudizione archeologica», per spingersi nel passato «più indietro di [suo] nonno», colonna d’Ercole che fino ad allora non aveva mai superato10. Al di là della curiosità, d’Azeglio

non cavò molto dallo studio delle fonti, giusto un paio di pagine per poter chiosare, da par suo, che sebbene antica, la storia della casa non era illustrata né da grandi fatti né da quei nomi storici che potessero renderne importante

4 M. d’AzEGlio, Epistolario cit., vol. VII, lettera di Massimo a Emanuele, 24 dicembre

1851, 56-57.

5 A.M. GhisAlBErti, Prefazione a M. d’AzEGlio, I miei ricordi, Torino 1949, 17-26.

6 N. BiAnchi, Lettere inedite di Massimo d’Azeglio al marchese Emanuele d’Azeglio,

Torino 1883, 315-316 ora in M. D’Azeglio, Epistolario (a cura di G. Virlogeux), vol. X, Torino 2019, lettera di Massimo ad Emanuele, 25 febbraio 1863, 557.

7 M. d’AzEGlio, Racconti, leggende, ricordi cit., 3.

8 id., I miei ricordi, nuova edizione condotta sull’autografo da A.M. Ghisalberti, Torino

1949, 45. 9 Ibidem. 10 Ivi, 45-46.

ed utile la minuta notizia: risparmiava al lettore la noia di leggerla, a lui la fatica di scriverla. Pertanto, invece di compilare la cronotassi «d’una serie di oscuri signorotti, che a saperne autenticamente i fatti, Dio sa che roba da chiodi si troverebbe», riferiva di ciò che «scartabellando», aveva scoperto di genere aneddotico11. E ciò che aveva scoperto non andava al di là di un

paio di generazioni: dal nonno, Carlo Roberto di Lagnasco, primo marche- se d’Azeglio, rotto alle quotidiane delusioni della vita con il suo cartello esposto in bella vista sulla scrivania con su scritto un piemontesissimo Ai fa pa nen («non importa nulla», «me ne infischio», secondo la traduzione più colorita di Massimo)12; al padre, Cesare, la cui vita avventurosa veniva

ricostruita sulla base di un affettuoso quanto romantico manoscritto vergato dalla madre di Massimo, Cristina Morozzo di Bianzè13. Dunque per d’Aze-

glio i documenti d’archivio – o i racconti orali all’occorrenza – erano adatti a tracciare non tanto “la storia” della famiglia, quanto “una storia” che fosse congeniale alla sua penna: una storia che non poteva concedere troppo ai secoli e a terzi, onde scansare il rischio di nulla comunicare; e che fosse prologo a ciò che interessava a lui e ai lettori: la storia della sua vita, che in definitiva era storia contemporanea, dei suoi tempi14. Al nipote scriveva:

«Non credere che il mio scopo sia stato informare il pubblico di tutte le c… che ho fatto in vita mia. Le mie vicende sono un pretesto per parlare un po’ di tutto e un po’ di tutti»15. Dunque, al centro del racconto la “sua” storia,

personale; quella della famiglia invece, presentata come mai fine a se stessa, idonea più a far transitare messaggi che a sciorinare date e personaggi: dalla bretone e antica stirpe (ma sempre presentata all’insegna di un non mai so- pito esageruma nen…), al conosciuto, perché recente, onore di uomini dalla schiena diritta, di quel vecchio Piemonte sabaudo tutto trono e altare, pronto all’estremo sacrificio per il suo re. Come dimostrano i suoi romanzi e i suoi dipinti, la storia ha in d’Azeglio una duplice veste: è essenziale quanto fun- zionale al soggetto, all’io narrante. Essenziale per il contenuto; funzionale per il messaggio. Sempre presentata con il proverbiale sarcasmo. Del resto, anche quando racconta della sua schiatta Massimo non si frena dal dire che «l’estinzione d’una razza» al tempo dei suoi avi «non si prendeva […] colla

11 Ivi, 47-48. 12 Ivi, 48-49.

13 Ivi, 49 ss. Il manoscritto si trova oggi presso l’Archivio Azeglio dell’Opera Pia Taparelli di Saluzzo, fondo 16: Marchesi Taparelli, serie 35 Carteggio privato del marchese

Emanuele: Cesare, Roberto, Costanza, Massimo, n. 6, biografia di Cesare D’Azeglio, nato nel 1763, scritta da sua moglie.

14 Ivi, 35-42.

filosofia colla quale vedo io, per esempio, avvicinarsi per la nostra questo fatto, senza perdere perciò né l’appetito né il sonno»16.

Ben diverso è invece nel nipote Emanuele l’approccio alla storia: nel di- plomatico, Clio non si eleva ad arte, a racconto, semmai si fa erudizione o vettore di miti. Nei lunghi anni passati a rappresentare i Savoia nelle corti di mezza Europa, l’ultimo d’Azeglio non trascurò di raccogliere, con pas- sione e impegno, documentazione che riguardasse la propria progenie. Ma con atteggiamento ben diverso dallo zio: laddove Massimo si era servito en passant delle vecchie carte, per farne un “mezzo”, un breve preludio alla propria (straordinaria) esistenza, Emanuele ne fece un fine, con l’intenzione di ricostruire le origini e le vicende successive della famiglia, per puntellare la fierezza della sua condizione nobiliare data dagli antenati della “razza Taparella”. Per anni riempì di appunti le pagine di un calepino rosso; poi co- minciarono i contatti con gli studiosi che potevano passargli note bibliogra- fiche, inediti, trascrizioni di documenti; infine, cessato il servizio diplomati- co, l’archivio di famiglia divenne il centro dei suoi interessi. Come ha scritto Rosanna Roccia però, Emanuele, «privo di linee guida, di una rigorosa cul- tura storica e di cognizioni archivistiche e paleografiche», passò intere gior- nate a riordinare il materiale in modo approssimativo, a ricopiare, redigere elenchi ed estratti, trascrivere, tradurre, sunteggiare; insomma, a produrre altre carte «non prive di errori vistosi»17. Cosicché, quando nel 1884, dopo

anni di faticose ricerche, uscì il libro – tirato in sole 200 copie, fuori com- mercio – dal titolo Une famille piémontaise au moment de s’éteindre, ciò che si presentò al lettore fu ben altro che un’opera “di peso” paragonabile agli incompiuti Ricordi dello zio, bensì un lavoro «disorganico, talora incoerente e ingenuo, infiorato di svarioni storici, di contraddizioni e di notizie non pertinenti»18. Non che Emanuele avesse tradito le aspettative. Licenziando la

sua fatica, aveva messo in guardia il lettore dal suo procedere dilettantesco, certo lasciando intendere il difetto con quell’understatement che era marca di famiglia: l’opera era una “piccola” storia, o meglio, una silloge di docu- menti raccolta per passatempo; una ricerca ascritta a un genere minore, il genealogico: e mentre lui aveva sempre collazionato con interesse le notizie sugli avi, era incorso nelle canzonature di suo padre e suo zio19. Ma come

emerge dalle ultime righe del trattatello, scrivere, per Emanuele, a differenza di Massimo che aveva sempre usato la penna da artista in funzione del pub-

16 M. d’AzEGlio, I miei ricordi cit., 57.

17 R. rocciA, Un aristocratico al tramonto, in E. tAPArEllid’AzEGlio, Una famiglia pie- montese in via di estinzione (traduzione e cura di R. Roccia), Cuneo 2001, 14.

18 Ibidem.