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I vizi relativi alla procedibilità ed all’oblazione

Nel documento L'appello (pagine 111-113)

6. qUEstIONI dI NULLItà

6.3. I vizi relativi alla procedibilità ed all’oblazione

Completando il quadro della disciplina delle nullità, l’art. 604, co. 6 c.p.p. stabilisce che, quando il giudice di primo grado ha dichiarato che il reato è estinto o che l’azione penale non poteva essere iniziata o proseguita, il giudice di appello, se riconosce erronea tale dichiarazione, ordina, occorrendo, la rinnovazione del dibattimento e decide nel merito.

Come può notarsi – e la dottrina lo ha messo in evidenza – la disposizione non menziona un fenomeno processuale riconducibile alla nozione di declaratoria di nullità, bensì riferisce l’attività percettiva del giudice di secondo grado ad un errore compiuto dal giudice precedente allorquando ha dichiarato che il reato è estinto o che l’azione penale non poteva essere iniziata o proseguita e, sul versante effettuale, ricollega al “riconoscimento” di esso la decisione sul merito della res iudicanda, eventuale preceduta dalla rinnovazione del dibattimento.

In ragione di siffatto particolare regime, la dottrina stessa ha posto in luce il carattere asistematico della previsione rispetto alla rubrica dell’articolo, essendo evidente che le ipotesi in esame non sono riconducibili all’ambito concettuale delle questioni di nullità441.

È stato messo in evidenza, tuttavia, come l’art. 604 c.p.p. costituisca la sede naturale della disciplina dell’erronea dichiarazione di estinzione del reato ovvero concernente il fatto che l’azione penale non poteva essere iniziata o proseguita, dal momento che «il “nuovo” giudizio di appello, eliminata la erronea decisione sull’estinzione del reato o sul difetto di procedibilità o proseguibilità, si struttura in termini non molto dissimili – sul piano della dinamica processuale e dell’ordo iudiciorum – dagli errores in procedendo dai quali consegua la declaratoria di nullità, ma non la regressione del processo»442.

La disposizione di cui all’art. 604, co. 6 c.p.p. è stata sottoposta a verifica di compatibilità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 24 cost., nella parte

settembre 1991, Giannuzzi, secondo la quale ai fini della configurabilità della nullità derivata, è necessario che gli atti successivi all’atto dichiarato nullo siano con esso in rapporto di derivazione, cioè in rapporto di dipendenza reale ed effettiva e non soltanto accidentale od occasionale, nel senso che l’atto dichiarato nullo deve costituire la premessa logica e giuridica degli atti successivi, per modo che, cadendo tale premessa, deve necessariamente venir meno anche la validità degli atti che ne conseguono.

441 Fiorio, Funzioni, caratteristiche ed ipotesi del giudizio d’appello, cit., 363. 442 Gaeta, Macchia, L’appello, cit., 566.

in cui prevede che il giudice d’appello, ove riconosca che il giudice di primo grado ha erroneamente dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale, decide nel merito, disponendo eventualmente la rinnovazione del dibattimento, anziché rinviare gli atti al medesimo giudice per la celebrazione del giudizio. La questione è stata, però, dichiarata manifestamente infondata, non rilevandosi né una lesione del diritto di difesa dell’imputato né una disparità di trattamento tra imputati a seconda del momento in cui venga pronunciata la sentenza di improcedibilità in ragione del fatto che la norma censurata non comporta alcuna “incongrua” privazione di un grado di giudizio di merito, dal momento che la completa trattazione del merito è assicurata, in grado di appello, nel caso in cui la sentenza di improcedibilità sia intervenuta prima che si sia dato corso all’istruzione dibattimentale, dalla rinnovazione del dibattimento, ovvero, in primo grado, quando la sentenza di improcedibilità sia pronunciata in esito all’istruzione dibattimentale e alla discussione sul merito443.

La Corte ha, nell’occasione, ribadito che la garanzia del doppio grado di giurisdizione, peraltro “non costituzionalizzata”, non va intesa, ove prevista, nel senso che tutte le questioni debbano essere decise da due giudici di diversa istanza, ma nel senso che deve essere data la possibilità di sottoporre tali questioni a due giudici di diversa istanza, anche se il primo non le abbia tutte decise.

Intervenendo sul versante della devoluzione ed aderendo ad una lettura sostanzialistica dell’art. 481 c.p.p., la Corte di cassazione ha chiarito che nel caso in cui il pubblico ministero abbia prospettato l’errore commesso dal tribunale e consistente nell’avere dichiarato estinti i reati a seguito del falso presupposto della morte dell’imputato, errando però nella richiesta sottoposta al giudice d’appello – avendo formulato, cioè, istanza di restituzione degli atti a quello di primo grado per il giudizio e non affinché questo avvenisse ad opera del giudice d’appello medesimo – è dato da quest’ultimo di verificare se una tale declaratoria sia stata correttamente pronunciata e, nella ipotesi di erroneità della stessa, decidere nel merito.

Infatti, pur mancando nella richiesta del pubblico ministero l’affermazione della responsabilità, non è certamente questa omissione che può produrre la limitazione totale dell’effetto devolutivo, poiché l’appellante ha prospettato la necessità che si provvedesse alla celebrazione del dibattimento per la verifica della colpevolezza dell’imputato, errando esclusivamente nella indicazione del giudice che avrebbe dovuto procedere, dovendosi interpretare i motivi tenendo conto del loro contenuto logico, quale si desume dalle intenzioni dell’impugnante e dalla realtà processuale alla quale ineriscono444.

443 C. cost. (Ord.), 4 luglio 2002, n. 316. 444 Cass. pen., Sez. III, 14 gennaio 1994, Schillaci.

Quando il giudice di primo grado ha respinto la domanda di oblazione il giudice di appello, se riconosce erronea tale decisione, ai sensi dell’art. 604, co. 7 c.p.p. accoglie la domanda e sospende il dibattimento, fissando un termine massimo non superiore a dieci giorni per il pagamento delle somme dovute: avvenendo nel termine il pagamento, il giudice di appello pronuncia sentenza di proscioglimento.

Pur riferendosi, la disposizione, al caso di erronea determinazione del giudice di primo grado, la Suprema Corte ha affermato che qualora, all’esito del giudizio di primo grado, l’imputato venga dichiarato responsabile di un reato che, a differenza di quello originariamente contestato, rende possibile l’estinzione mediante oblazione, deve ammettersi che la relativa domanda possa essere avanzata in sede di appello, trovando in tale evenienza applicazione analogica la disciplina prevista dall’articolo in esame per il caso in cui il giudice d’appello, appunto, riconosca come erronea la reiezione della domanda di oblazione da parte del giudice di primo grado445.

Nel caso in cui, invece, l’imputato, nel corso dell’istruttoria dibattimentale, abbia presentato istanza di oblazione subordinata ad una diversa e più favorevole qualificazione giuridica del fatto, dalla quale discenda la possibilità di essere ammesso all’oblazione stessa, il giudice, se effettivamente procede a tale modifica, deve attivare il meccanismo di cui all’art. 141, co. 4-bis c.p.p., anche all’esito dell’istruttoria dibattimentale.

Qualora questi ometta di pronunciarsi sull’istanza o si pronunci applicando erroneamente la legge penale, siffatti omissione o errore potranno essere fatti rilevare in appello, attraverso il meccanismo di cui all’art. 604, co. 7 c.p.p. ovvero, in caso di sentenza inappellabile, con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 606, co. 1 lett. c) c.p.p.446.

Nel documento L'appello (pagine 111-113)