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CAPITOLO 2: MARE TRA DIFFERENZE E COOPERAZIONE: LE DUE SPONDE A

3.3 Gli IDE italiani nell’area

Si è detto che le esportazioni negli ultimi anni sono state la voce più dinamica dell’economia italiana ma ciò non significa che le aziende italiane siano molto attive

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quando si parla di internazionalizzazione. Dal quadro descritto dal vice-segretario di Unioncamere, Pettinato, nel corso di un suo intervento75 emerge che delle 900mila

imprese italiane solo 11.200 hanno “un’attività prevalente e continua sull’estero”, anche se ve ne sono altre che hanno dei rapporti saltuari. Il motivo del fatto che l’Italia, o meglio molte delle sue imprese, non riescano a creare attività di esportazione continue con l’estero e a sfruttare al massimo le possibilità che vengono offerte dal commercio estero, risiede soprattutto nel fatto che il sistema italiano è composto per la maggior parte da piccole e medie imprese che non hanno i mezzi sufficienti per sostenere l’impegno e i rischi derivanti da un’attività svolta all’estero.

Proprio la peculiarità del sistema produttivo italiano, con un tessuto industriale costituito da imprese di piccole e medie dimensioni, piuttosto che da grandi aziende multinazionali, fa sì che, proprio per la scarsità di risorse di cui queste dispongono e per l’incapacità di procurarsi dei servizi da soli senza l’aiuto di qualche istituzione, non solo i commerci con l’estero siano scarsi ma anche che poche di esse decidano di investire all’estero. Qui si intende investire direttamente all’estero, creando delle filiali estere o, meglio ancora, acquisendo delle partecipazioni in imprese locali. Stando ai dati Eurostat nel 2012 (ultimo anno per cui è disponibile il dato) gli investimenti diretti esteri dell’Italia verso il resto dei Paesi del mondo è stato superiore ai 399 miliardi di euro; a fine 2013 le 30.513 imprese estere partecipate da quelle italiane occupavano oltre 1 milione e mezzo di addetti e potevano contare su un fatturato che superava i 550 miliardi di euro. Il numero di imprese, così come il fatturato derivante, hanno mostrato un continuo aumento nel corso degli anni, mentre il numero di addetti, dal 2012, ha cominciato a scendere76 e questo si può presumibilmente imputare ad un

utilizzo sempre più massiccio di macchinari nelle imprese.

Queste sono solo alcune considerazioni generali sugli IDE italiani, che possono servire come punto di partenza per approfondire questo tema in relazione agli investimenti dell’Italia verso i vari Paesi della costa Sud-Est del Mediterraneo, ovvero per capire quanto il Paese investa direttamente in quest’area e quanto siano importanti gli

75 Parole pronunciate in un incontro a Roma sui vantaggi dell’interscambio con il Sudafrica e che sono state riportate nel “Rapporto ISPI 2015” (pag.116)

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apporti italiani all’apparato industriale dell’area rispetto a quelli destinati all’industria mondiale. Approfondire tale tema è importante per vari motivi:

1- Innanzitutto perché, come già è emerso varie volte, gli IDE sono considerati un fattore cruciale per i processi di sviluppo di quest’area in quanto possono apportare miglioramenti tecnologici e conoscenze;

2- Poi perché visto gli stretti rapporti commerciali, e l’alto valore delle esportazioni, tra l’Italia e i Paesi della sponda sud-orientale del bacino vale la pena vedere se anche gli IDE verso questi Paesi siano altrettanto intensi oppure no;

3- Infine perché i rapporti interni al Mediterraneo, e in particolare tra nord e sud o meglio tra Italia e Sud-Est, sono il tema su cui è incentrato tutta la trattazione. Purtroppo non si potrà procedere ad un analisi che nella sua interezza comprenda anche i dati più recenti, quelli fino all’anno 2014, per la mancanza di dati sugli IDE italiani nei Paesi considerati relativi a tale periodo; per quanto riguarda gli stock di IDE in particolare si farà riferimento all’anno 2011 mentre per i flussi ci si baserà sui valori relativi al periodo 2003-2012. I Paesi a cui sono destinati gli IDE italiani sono gli stessi scelti per parlare di commerci ovvero: Algeria, Egitto, Libia, Tunisia, Marocco, Siria, Israele e Libano.

La prima cosa che emerge dall’osservazione degli IDE italiani verso l’area sud del Mediterraneo è che per l’Italia i tassi di investimento non sono comparabili con quella che è da sempre stata, ed è tutt’oggi, la sua capacità di esportare. Nel 2011 (ultimo anno per cui sono disponibili i dati Eurostat relativi agli stock) la loro incidenza sul totale degli investimenti esteri italiani nel mondo era pari solo al 3%, a fronte di una quota sulle esportazioni totali italiane di oltre il 4%. Questo a conferma della maggiore vocazione al commercio, più che agli investimenti diretti, delle impese italiane; vocazione che è dovuta, come si è già detto, soprattutto alla piccola dimensione e alle scarse risorse a disposizione della maggior parte di questo tipo di aziende che in Italia rappresentano la maggioranza.

Tra quelli considerati il Paese che ha beneficiato maggiormente degli investimenti diretti italiani è stato l’Egitto con uno stock di oltre 4 miliardi di euro, seguito

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dall’Algeria con circa 3 miliardi di euro e dalla Tunisia con circa mezzo miliardo di euro; tutti gli altri Paesi si posizionano su somme più basse che vanno dai 45 milioni del Libano, ultimo in classifica, ai circa 300 di Israele.

Tabella 16 Fonte: dati Eurostat

Guardando ai dati relativi ai flussi di IDE dell’Italia verso i Paesi considerati si nota che nel complesso essi hanno avuto un andamento crescente nel corso del periodo preso in considerazione; l’unico momento di calo, infatti, si è registrato nel 2007 dopodiché c’è stata una ripresa che sembra non essersi più arrestata. Ovviamente, come per ogni altra osservazione, va sottolineato che vi sono state delle differenze tra i vari Paesi dell’area ma, in generale, alle riduzioni degli investimenti in un dato Stato sono corrisposti aumenti in altri che li hanno compensati producendo il generale aumento degli IDE di cui si è detto.

Le imprese italiane presenti nei Paesi mediterranei nordafricani e mediorientali sono numerose così come le imprese locali partecipate da quelle italiane. Sulla base dei dati ICE-Politecnico di Milano che considerano solo le imprese con fatturato minimo di 2 milioni e mezzo di euro che hanno investito all’estero, negli ultimi anni (2007-2013) vi è stato un aumento sia del numero di imprese locali partecipate da quelle italiane sia un aumento del fatturato di queste, mentre, come già anticipato, negli ultimi anni si è assistito ad una riduzione del numero di addetti. Stando a questi dati al 31-12-2013 le imprese dei Paesi nord-africani e mediorientali affacciati sul Mediterraneo (Marocco, Algeria, Tunisia, Libia, Egitto, Israele, Libano, Siria) sono circa 1000 con un fatturato totale di 10.300 milioni di euro e in esse sono impiegati ben 58.000 addetti.

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011 2012 Algeria 0 0 3 -7 3 75 222 1.114 1.182 1.311 Egitto 18 11 9 1.225 27 541 384 465 1.107 1.068 Libia 0 0 1 20 -17 -11 74 52 20 4 Marocco 2 3 10 17 17 -57 8 0 -64 34 Tunisia 10 15 32 27 25 79 307 -307 117 199 Israele 0 5 5 11 12 79 -76 180 116 19 Libano 0 7 2 -6 1 17 -1 0 2 -3 Siria 0 0 0 0 0 30 20 79 132 41

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Il dettaglio della distribuzione di tali imprese, e quindi degli investimenti diretti esteri italiani nell’area sono riportati nella seguente tabella:

Tabella 17 Fonte: dati ICE- Politecnico di Milano

Dunque il Paese nelle cui aziende gli imprenditori italiani investono di più è la Tunisia dove si conta anche il maggior numero di addetti; ma è interessante notare che, nonostante questo, il Paese che genera il fatturato maggiore è l’Egitto che, a quasi parità di addetti, conta un numero di imprese nazionali partecipate da italiane che è pari a meno della metà di quelle tunisine. Quindi gli investimenti in Egitto sembrano essere più fruttuosi che in qualunque altro Paese della regione.

Si tratta per lo più di imprese operanti nei settori della raffinazione petrolifera, dell’energia, del tessile e abbigliamento, delle costruzioni, dei trasporti e della metallurgia e la distribuzione settoriale degli investimenti nel territorio di ciascuno Stato rispecchia, in qualche modo, le specializzazioni produttive di ciascuno di essi (sulla base di quanto riportato dal Ministero dello sviluppo economico).

Molte sono le imprese italiane presenti in tali territori con stabilimenti propri oppure tramite collaborazioni con aziende locali aventi come obiettivo quello di soddisfare la crescente domanda interna nonché aumentare la produzione per l’esportazione; tra queste si possono ricordare:

- Eni, Enel ed Edison nel settore energetico;

- Fiat, Piaggio, Pirelli e Iveco nel settore dei mezzi di trasporto; - Italcementi nel settore delle costruzioni;

- Benetton, Pompea, Marzotto, Tacchini per il settore moda; - Unicredit, Intesa Sanpaolo, Assicurazioni Generali tra le banche;

Algeria Egitto Israele Libano Libia Marocco Siria Tunisia N. di imprese 129 153 46 32 29 162 6 447 N. di addetti 3.775 17.288 763 191 5.689 10.545 61 19.559 Fatturato (milioni di euro) 2.423 5.063 86 35 668 955 7 1.073

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- Ferrovie dello Stato e Telecom per il settore delle infrastrutture e comunicazione.77

Per assicurare una maggiore presenza di impese italiane nell’area sud - sud-est del Mediterraneo in modo così da rafforzare un rapporto di collaborazione che ,ora, sembra essere basato più sulle esportazioni che sulla presenza italiana in loco, oltre ad avviare delle politiche di promozione e sostegno da parte in particolare dell’istituto preposto a promuovere i rapporti economici e commerciali italiani con l’estero, ovvero l’ICE, sarebbe anche utile prevedere delle strategie di internazionalizzazione più complesse e, in qualche modo, “complete”.

Un ruolo di fondamentale importanza nel sostegno delle imprese che decidono di operare, o già operano, nella sponda sud del Mediterraneo è quello svolto dai numerosi enti ed agenzie, sia pubblici che privati, che si occupano di fornire supporto finanziario queste aziende, dare loro informazioni sui luoghi in cui queste intendono investire, favorire l’incontro con operatori locali, fornire aiuto per l’adempimento degli obblighi burocratici e, ancora, di proteggere gli investimenti italiani in tali territori. L’attività pubblica di sostegno all’internazionalizzazione, che è quella che risulta avere un peso maggiore nelle richieste di sostegno da parte soprattutto delle piccole e medie imprese italiane, è realizzata attraverso il cosiddetto Sistema Paese, un complesso sistema composto da numerosi soggetti presenti sul territorio nazionale e su quello estero. Al vertice di tale sistema vi sono due ministeri, quello dello Sviluppo economico e quello degli Affari esteri, che si occupano rispettivamente di definire le politiche a sostegno dell’internazionalizzazione il primo e di coordinare gli interventi nei Paesi esteri svolgendo tra l’altro attività di sostegno e valorizzazione all’estero dell’Italia attraverso una fitta rete di organi tra cui spiccano le ambasciate il secondo.

Ma più che il ruolo svolto da questi Ministeri quello che interessa di più alle imprese italiane che vogliono investire all’estero è quello ricoperto dai cosiddetti enti operativi, cioè quegli attori pubblici che mettono in atto le linee guida e gli interventi delineati dalle istituzioni prima nominate. Questi enti ed agenzie sono:

77 ISPI, The New Middle East (Dis)Order. Scenari politici ed economici, Med&Gulf Initiative Bulletin, n. 3, 23 ottobre 2014

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- L’Agenzia ICE (Istituto per il commercio estero): controllata direttamente dai Ministeri sopra citati ha l’obiettivo di incentivare l’internazionalizzazione delle imprese italiane per mezzo dell’offerta di servizi di consulenza, assistenza ed informazione favorendo la circolazione nei mercati esteri di beni e servizi italiani e promuovendo il Made in Italy.

- La SIMEST (Società italiana per le imprese all’estero): una società per azioni avente l’obiettivo di favorire l’internazionalizzazione delle imprese italiane attraverso attività di promozione e di sostegno tecnico, finanziario ed organizzativo.

- La SACE (Servizi assicurativi del commercio estero): offre un’ampia gamma di strumenti a sostegno dell’export italiano e di prodotti per proteggere IDE e assicurare le attività delle PMI che operano con o all’estero. In particolare offre a imprese e banche che svolgono attività commerciali sia in Italia che all’estero dei prodotti assicurativi e finanziari aventi il fine di proteggerle dal rischio politico ma anche da quello commerciale.

- Le CAMERE DI COMMERCIO in Italia e all’estero: queste, ed in particolare le Camere di Commercio Italiane all’estero, sono gli enti a cui le imprese italiane soprattutto di piccole e medie dimensioni si rivolgono sempre più spesso quando intendono avviare un processo di internazionalizzazione e rappresentano il punto di riferimento del Sistema Italia per la promozione, l’internazionalizzazione ed il supporto al Made in Italy nei mercati esteri. Le C.C.I.E. nello specifico svolgono servizi di informazione, organizzano eventi per la promozione dell’Italia, mettono in contatto le piccole e medie imprese che vogliono operare all’estero con dei possibili partner commerciali locali, offrono servizi di assistenza e consulenza specializzata.

- Le ambasciate: svolgendo la loro attività di intermediazione e dialogo con le amministrazioni pubbliche straniere al fine, tra l’altro, anche di proteggere gli investimenti italiani in tali territori, sono le prime a poter favorire l’internazionalizzazione e lo sviluppo anche all’estero di attività da parte delle piccole imprese italiane.

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E sono proprio tutti questi enti, con la loro attività, a poter favorire l’internazionalizzazione e lo sviluppo anche all’estero di attività da parte delle piccole imprese italiane fornendo loro un ruolo, in qualche modo, di guida e sostegno, non lasciandole “sole” e aiutandole a trovare all’estero le risorse e i servizi di cui hanno bisogno e che faticano a cercarsi da sole (a differenza delle multinazionali) per mancanza di capacità o risorse.

3.4 LA COMPETIZIONE CON VECCHI CONCORRENTI E NUOVI ENTRATI (i BRICS)