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L’idillio degli anni ’20 (1922-28) »

3.1 – Una scelta di continuità di Pio XI

Pio XI viene eletto il 6 febbraio 1922, a 65 anni. E’ un uomo di cultura specialisti- ca, di breve esperienza diplomatica, e di scarsa pratica pastorale. Fino a più di 60 anni “era ancora tra i libri”1, prima a Milano come direttore della Biblioteca Ambrosiana e poi a Roma come prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, vivendo costantemen- te tra preziosi manoscritti da decifrare, cataloghi da formare e archivi da ristrutturare. Benedetto XV lo ha chiamato a ricoprire un ruolo diplomatico in Polonia nel 1918. Diventa cardinale, come il suo predecessore, solo a pochi mesi dalla sua elezione, in coincidenza con la nomina ad arcivescovo di Milano, diocesi da cui proviene.

P. Giacomo Martina scrive che Ratti “era stato a lungo bibliotecario, a Milano ed a Roma, e solo da pochissimo tempo l’intuito di Benedetto XV lo aveva lanciato nella vita diplomatica, dove un complesso di circostanze in parte contrastanti, in parte for- tuite lo avevano portato alla sede di Milano”2. Viene eletto come ‘terza via’ al quarto giorno di conclave, nel quattordicesimo scrutinio, a causa dell’impasse tra il candidato della linea di Pio X, il card. La Fontaine di Venezia, e quello in maggiore continuità con Benedetto XV, il suo segretario di Stato card. Gasparri3. Confermato questi alla guida della Segreteria, benedetta la folla dal loggiato esterno della basilica di S. Pietro in segno di buona volontà verso lo Stato italiano, Pio XI si presenta con la Ubi Arcano

Dei del 23 dicembre 1922 in cui espone la sua tesi fondamentale in ordine alla sovra-

nità della Chiesa al di sopra di ogni istituzione terrena. Il suo motto è ‘Pax Christi in Regno Christi’4.

Achille Ratti è stato già a Roma in due distinti periodi della sua vita. Il primo risale alla fase terminale della sua formazione teologica, tra il 1879 ed il 1882, triennio nel quale risiede al Collegio Lombardo, a S. Maria Maggiore, quando viene ordinato sa- cerdote e consegue le licenze in teologia alla Sapienza, in utroque jure alla Gregoriana ed in filosofia all’Accademia San Tommaso. Il secondo periodo, di sette anni, è invece abbastanza recente, situandosi tra il 1911 e il 1918, coincidente con gli incarichi alla Biblioteca Vaticana, prima come vice-prefetto e poi come prefetto5. A poco più d’un mese dall’elezione confida ancora a Benedetto XV di provare “nostalgia” per Roma, in cui – afferma in una lettera - “verrei a volo”6.

Le prime reazioni ufficiali della diocesi all’elezione del nuovo pontefice sono fe- 1 T. Bertone, Prolusione, in La sollecitudine ecclesiale di Pio XI. Alla luce delle nuove fonti archi-

vistiche (a cura di C. Semeraro), Atti del convegno internazionale di studio. Città del Vaticano 26-28

febbraio 2009, Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 2010, p. 10..

2 G. Martina, La Chiesa nell’età dell’assolutismo, del liberalismo, del totalitarismo, vol. IV, L’età

del totalitarismo, Brescia, Morcelliana, 1991, pp. 101-102.

3 Cfr. G. Zizola, I Papi del XX e XXI secolo. Da Leone XIII a Benedetto XVI, Roma, Newton & Compton Editori, 2005, p. 45.

4 Cfr. G. Zizola, Il conclave, p. 207.

5 Cfr. D. Veneruso, Il pontificato di Pio XI, in Storia del cristianesimo 1878-2005, vol 3, La Chiesa

e le dittature (a cura di E. Guerriero), Milano, Periodici San Paolo, 2005, p. 2.

6 In una relazione sulla propria attività nella diocesi milanese Ratti scrive: “Comincio, Padre San- to, a sentire la nostalgia di Roma e, col beneplacito della S.V., verrei a volo, se non fosse il dovere, la necessità di rimanere qui dove le situazioni difficili e bisognose di urgenti provvidenze sono così numerose ed incalzanti che non mi lasciano alcun respiro” (lettera di Ratti a Benedetto XV, 21.12.1921, in ASV, SS, Spoglio Benedetto XV, b. 5, fasc. card. Ratti Arcivescovo di Milano).

stose, un po’ come in tutte le occasioni del genere. La rivista diocesana, nel numero di febbraio, pubblica la notificazione del card. vicario datata il giorno stesso dell’ele- zione: “Primi ad udirlo, questo annunzio di gioia, siamo stati noi che il nuovo Papa, come sempre, acclamiamo Vicario di Cristo e Vescovo di questa nostra Roma immor- tale. Alla mestizia è successo il tripudio [… ] Abbandoniamoci, pieni di fiducia, nelle braccia paterne di Pio XI: oggi è lui che a tutte le anime si offre, guida sicura verso il cielo”7. Quindi Pompilj ordina il canto del Te Deum in tutte le chiese per il 9 febbraio e il suono delle campane a festa per un’ora, dalle 11 alle 12.

A sollecitare nel clero romano uno stato d’animo di “esultanza” è chiamato mons. De Sanctis, il quale scrive: “Noi dobbiamo promettere al nostro Vescovo novello che, nel suo clero di Roma, rifulgeranno queste qualità ricordate nella divina Scrittura […] Faremo in noi rivivere sempre ininterrotte le più care e le più sante tradizioni […] Nella promessa solenne che questa devozione [eucaristica], accesa nel cuore nostro, promuoveremo sempre più alacremente tra i fedeli, noi esultiamo all’Incoronazione del nuovo Pontefice: Viva il Vicario di Cristo, Viva il nostro Vescovo, Viva Pio XI!” 8.

Il primo incontro diretto del papa con la diocesi è quasi immediato. Il 22 febbraio è fissata l’udienza abituale del pontefice con i predicatori ed i parroci romani in occa- sione del tempo quaresimale. Pio XI è appena giunto in Vaticano. Ha già incontrato il card. Pompilj, non certo suo grande elettore al conclave. Quasi nulla lo unisce a lui salvo l’età ma non può che rispettarne le funzioni, se non altro per l’anzianità cardina- lizia. La questione del congresso eucaristico internazionale è ancora aperta9.

L’incontro inizia con il card. Pompilj che presenta a Pio XI i circa sessanta parroci romani, convenuti tutti per l’occasione, mentre i predicatori sono in minoranza. Li presenta uno per uno, indicandone a memoria il nome, come a sottolineare la dime- stichezza e la stretta relazione esistente tra loro. Lo nota subito Ratti che inizia il suo discorso rallegrandosi con il vicario, che così facendo dimostra “quanta sollecitudine abbia il pastore per le sue pecorelle”. Ai parroci la sua prima parola è “di congratu- lazione e di riconoscenza”. Li paragona prima al sale della terra e poi ai capillari che portano il sangue fino agli estremi lembi del corpo. “Voi ci siete dilettissimi – esclama loro – e questo dice quanto io confidi in voi, cui raccomando tutto il bene che con le industrie del vostro zelo potete fare a Roma”. Il discorso non sembra preparato, ben lontano dalle riflessioni dettagliate, ricche di passaggi logici e di citazioni bibli- che, come quelle di Benedetto. Pare piuttosto prevalere il sentimento, l’effusione di zelo, l’immediatezza. Pio XI dedica comunque la parte centrale del suo breve discorso all’Opera delle vocazioni sacerdotali, fondata da appena un anno, definendola “l’Ope- ra delle opere”. Ricorda a questo proposito il numero imponente e la qualità del clero milanese, quasi tutto diocesano (mentre a Roma prevalgono i religiosi), attribuendo i meriti ai parroci ambrosiani, dicendosi certo che anche a Roma i parroci sapranno fare altrettanto, con un impegno “tanto maggiore, quanto è maggiore il bisogno dei tempi che corrono, specialmente a Roma, ove sembrano accentrarsi più furenti le ire di Satana”. Roma, quindi sembra vista come città insidiata, non serena, il cui clero deve prendere esempio da quello lombardo. Conclude dicendosi certo che il sacerdo- zio “per vostro mezzo rifiorirà […] perché i popoli sono buoni se hanno un sufficiente numero di preti, di buoni preti”10.

7 Habemus Papam, in BCR, febbraio 1922, p. 115.

8 A.D.S., L’esultanza del clero romano, in ibidem, pp. 116-117.

9 Solo due giorni dopo, il 24 febbraio, la commissione preparatoria, guidata dai responsabili del Vicariato, saprà della decisione papale di confermare l’impegno e il programma della manifestazione. Cfr. Registro dei verbali ‘Congresso Eucaristico Internazionale 1922’, in ASVR, FSV, plico 207.

A profittare del credito papale è l’opera vocazionale guidata da don Giuseppe Ri- naldi che alla fine del ‘22 fa un bilancio “molto consolante” dell’avvio delle attività, in graduale sviluppo. Nella sezione sacerdotale si sono formati i primi “nuclei oranti”, tra cui i gesuiti della provincia romana. L’azione di sostegno a favore delle vocazioni è consistita nell’istituzione del semi-convitto, dedicato a S. Luigi, a fianco del seminario vero e proprio, per i giovani del ginnasio con qualche propensione per la vita sacer- dotale. Nel 1922/23 i semi-convittori risultano ben 25, tutti sussidiati dall’Opera. Tre alunni sono già passati al seminario Maggiore. Vengono mantenuti negli studi anche due universitari, uno al Capranica ed uno al Leoniano di Anagni. Altri giovani delle congregazioni mariane restano in attesa. I pagamenti sono stati quasi tutti coperti dalle entrate, passate dalle 10 mila lire del ’21 alle 30 mila del ‘2211. Propagandista dell’O- pera si è fatto perfino il card. Laurenti12. Anche il card. Pompilj è intervenuto con un messaggio del 22 novembre pubblicato dal ‘Bollettino del clero romano’13.

Nel corso del ’22 Pio XI eleva all’episcopato due sacerdoti impegnati in qual- che modo nella diocesi: mons. Giovanni Battista Rosa, vicepresidente dell’Unione missionaria del clero, che va a Perugia, dove era candidato fino a poco prima Faberj, saltato all’ultimo momento per via di un’aggressione subita sotto il colonnato di S, Pietro14; e mons. Alessandro Fontana, già parroco di S. Vitale poi passato a direttore spirituale dell’Apollinare, che va alla diocesi di Ferentino15. Nel numero del gennaio ’23 compare sul ‘Bollettino’ il commento alla Ubi Arcano Dei affidato alla penna esaltante di p. Gremigni, il quale afferma: “L’augurio che il S. Padre, nella sua prima Enciclica, formula, quasi luminoso programma, per la Chiesa di Dio, può e dev’essere norma santa, augurio dolcissimo per ogni cuore cristiano, ma soprattutto per ogni ani- ma sacerdotale. Regni Cristo nei nostri cuori e vi porti la sua pace”16.

Il primo anno del nuovo pontificato si conclude il 2 febbraio 1923 con una lette- ra di Pio XI al suo vicario sul tema della pace in Russia, per le “orribili e sacrileghe scelleratezze che si ripetono e si aggravano ogni giorno contro Dio e contro le anime”, temendo “con angoscia riaffacciarsi lo spettro pauroso di nuove conflagrazioni”. Per questo motivo ha deciso di celebrare una Messa di riparazione il prossimo 19 marzo a S. Pietro. Al cardinale chiede di voler “dare le opportune disposizioni per questa solenne supplicazione”17, in modo che i fedeli romani si uniscano a lui. Pompilj prov- vede subito con una notificazione nella quale ordina ai parroci di leggere la lettera del papa ai fedeli, che nei giorni 5-6-7 febbraio si recitino in tutte le chiese delle preghiere

11 Cfr. Opera delle vocazioni, in ibidem, febbraio 1927, p. 29.

12 Opera delle vocazioni, in ibidem, gennaio 1923, p. 109. Il card. Camillo Laurenti, pur nato ai Castelli, è tuttavia romano per formazione (capranicense), e per carriera, svolta a Propaganda Fide. E’ stato creato cardinale da Benedetto XV nel concistoro di metà giugno del ‘21, insieme a Ratti.

13 Cfr. ibidem, p. 110. 14 Cfr. Carillo, op. cit., p. 139.

15 Mons. Rosa proviene da Mantova ma si è formato a Roma al Seminario Lombardo, dopo un periodo passato nella sua diocesi è tornato a Roma in servizio alla Concistoriale e collabora con il Vicariato sui temi missionari. Mons. Fontana invece è completamente romano, uno dei funzionari di curia convinti da Faberj a passare al ministero diretto delle anime, divenendo parroco di S. Vitale, con viceparroco il giovane Scavizzi.. La sua nomina suscita i commenti più favorevoli della rivista dio- cesana che su di lui scrive: “E’ il suo riposo dopo la fatica […] le sue virtù e specialmente il suo zelo instancabile nelle opere di ministero ricordate, congiunto col desiderio più vivo e con l’industria più abile di far dimenticare se stesso, sono ben note tra noi, suoi confratelli di questo clero di Roma” ( in BCR, gennaio 1923, p. 109).

16 P.G.G., Pax Christi in regno Christi, in ibidem, p. 97. 17 Per la pace mondiale, in ibidem, febbraio1923, p. 114.

speciali per le stesse intenzioni e che tutte le altre iniziative di preghiera della quaresi- ma si attengano a tale spirito. “Ai fedeli Romani – spiega il vicario – il Padre di tutti i popoli si rivolge direttamente: coloro che gli sono più cari, più vicini si stringono alla sua Cattedra di verità, di carità e di amore; più intimamente partecipano ai Suoi gaudii ed alle Sue amarezze”18. L’editoriale del ‘Bollettino ‘ è ancora di p. Gremigni, il quale esorta tutto il clero ad unirsi al pontefice. “Lavoriamo – scrive - perché la voce del Papa trovi un’eco in tutte le anime di buon volere”19.

Ratti, insomma, non sembra voler imprimere alcuna sensibile svolta all’atteg- giamento impostato da Benedetto nei confronti della città di Roma, e neppure nei confronti della diocesi. Rispetto alle persone, egli conferma tutti gli ecclesiastici re- sponsabili della diocesi senza inserire nessun uomo nuovo. Rispetto alle idee, non si notano fratture rispetto alla precedente linea di tendenza di graduale riconquista della città. L’avvenimento del XXVI Congresso eucaristico internazionale di Roma, il pri- mo del dopoguerra, già preparato e voluto da Benedetto per la fine di maggio del ‘22, affidato per l’organizzazione ai responsabili del Vicariato, permette forse di analizzare in modo più evidente l’atteggiamento di Pio XI. Ratti, oltre ovviamente a confermare l’evento, si limita ad apportare al programma alcuni lievi, seppur significativi, ritoc- chi. La processione che si sarebbe dovuta svolgere in piazza S. Pietro, tutta all’interno del Vaticano, viene aperta alla città e spostata nel centro storico, tra S. Giovanni ed il Colosseo, dando luogo alla manifestazione religiosa di maggior ampiezza da quando Roma è divenuta italiana, suggellando quasi una nuova presa di possesso della città da parte della Chiesa20. Alla processione tuttavia Pio XI non partecipa, non va oltre nel processo di scioglimento della questione romana. Alcuni organi di stampa avrebbero auspicato addirittura la sua uscita dal Vaticano per la benedizione finale. E’ ‘La Civiltà Cattolica’ che si presta a smentirli21. La modifica apportata dal nuovo papa, tuttavia, va chiaramente in direzione di una maggiore apertura alla città ed in definitiva all’accet- tazione dell’italianità di Roma. Si tratta del resto di una mera accentuazione della stes- sa linea di tendenza che era già stata avviata da Benedetto. Pio XI dimostra, come già per la benedizione dalla loggia esterna della basilica, di voler procedere ulteriormente nel superamento delle ultime difficoltà post-risorgimentali sulla questione romana. Di conseguenza intende aprire ancor più alla normalità i rapporti della chiesa con la città. Roma è una città che Ratti intende cristianizzare a partire dalle espressioni più visibili della fede.

Rispetto alla diocesi, infine, l’atteggiamento sembra di parziale fiducia. Parziale perché l’impressione che ha di Roma non è buona, lo si capisce dal riferimento al cle- ro milanese, preso come paragone positivo, e poi perché non si trova in sintonia con i responsabili. Il card. Pompilj appartiene al cenacolo dei nostalgici di Pio X. In concla- ve ha probabilmente votato prima per Merry del Val e poi per La Fontaine, come tutto il gruppo. Si è disposto a votare per Ratti solo all’ultimo momento, quando ormai la conclusione sembrava evidente. Il modo di lavorare di Pio XI, alacre e industrioso, da buon lombardo, è molto diverso da quello tutto curiale, sottile e delicato, di Pompilj.

18 Notificazione, in ibidem.

19 P:G:G:, Tu es Petrus, in ibidem, p. 113.

20 Cfr. la seduta del 24 febbraio del comitato preparatorio in cui Pio XI, attraverso mons. Heylen, presidente del Comitato Internazionale, fa sapere di voler dare carattere più “popolare” alla processione finale (Registro dei verbali ‘Congresso Eucaristico Internazionale 1922’, in ASVR, FSV, plico 207).

21 “Qualche giornale […] si è avventurato a parlare dell’uscita del Papa dal Vaticano” per la be- nedizione finale. La rivista dei gesuiti smentisce affermando che il programma era stato già fissato “in gran parte” da Benedetto XV, prevedendo la benedizione finale “da darsi con il SS.mo dalla cancellata centrale della Basilica Vaticana” (in ‘La Civiltà Cattolica’, 1922, vol. II, p. 76).

Soprattutto non può condividere con lui l’atteggiamento di eccessiva prudenza, se non di pratica indifferenza, nei rapporti con lo Stato italiano. Per il momento, comunque, Ratti sembra accordarsi con quanto si stava già facendo da parte della diocesi nell’o- pera di riconquista della città.

3.2 - I discorsi ai parroci e ai predicatori

Dopo il primo incontro denso di affettività del ’22, ancora sotto l’emozione del conclave, la tradizione delle udienze con i predicatori e parroci per l’inizio della qua- resima continua per tutto il decennio, costituendo un buon segnale del pensiero del papa nei confronti della diocesi.

Nel 1923 l’incontro si tiene martedì 13 febbraio in Vaticano, come sempre, dopo la solita procedura del giuramento antimodernista dinanzi al vicario e al vicegerente. L’apertura è ancora affettuosa: “Sentivamo che il Signore ci diceva di benedirvi con la più larga delle benedizioni”, dice Ratti. Poi il discorso si sposta sul commento ad una frase di S. Paolo nella seconda lettera ai Corinti: “Parliamo davanti a Dio, in Cristo, e tutto per l’edificazione”. L’esegesi papale si sofferma criticamente sul verbo “parlare; non poetare, non declamare, non - come ci avvenne di sentire una volta proprio con l’orecchio nostro – recitare”. Narra quindi l’episodio in cui, seduto di fianco a due laici in una chiesa romana, durante l’omelìa di un noto predicatore, li vedeva scrollare il capo. Seguendoli all’uscita sentì che commentavano negativamente il suo modo di predicare come si trattasse di una recita. Ai parroci aggiunge: “E disgraziatamente era proprio così”. Di conseguenza, il consiglio che si sente di dare ai predicatori e parroci romani è: “Parlate dunque e parlate col cuore, e dal cuor vostro arrivate al cuore di coloro che vi ascoltano”22.

L’incontro del ’24 si tiene il 3 marzo e si apre con il riconoscimento che si tratta di una udienza “veramente singolare” che “non assomiglia a tante altre”. Definisce i convenuti dei “banditori della divina parola” a cui deve tuttavia comunicare “qualche solenne richiamo e qualche ammonizione” anche se non personalmente a loro, cioè alla diocesi nel suo complesso. Rinunciando al commento di qualche affermazione biblica (come nell’anno precedente), quindi, Ratti dice di non voler “perdere un’occa- sione preziosa” per trasmettere “alcuni almeno dei tanti desideri”. Ne sceglie due. Il primo è per l’Opera per la preservazione della fede, di cui ricorre il 25° anniversario, ricordando il fine della lotta a quella “tristissima” realtà che è la “propaganda prote- stante, la quale tante insidie, pericoli e tante vittime porta in mezzo ai nostri fedeli”. Il secondo desiderio è rivolto “in modo speciale ai Parroci di Roma” e riguarda di nuovo come per il ’22 il tema delle vocazioni sacerdotali. L’insistenza, ritiene, non potrà non sortire alcun effetto. Il papa conclude con fiducia e con una curiosa visione lirica riferita all’ambiente romano: “Scesi dai vostri pulpiti, si spegnerà delle vostre parole il suono immediato; ma l’effetto buono continuerà lontano: proprio come in quelle gran- di giornate, di cui Roma specialmente s’abbella, quando il sole è già scomparso sotto l’orizzonte, mentre il cielo è inondato ancora di splendori ed un solco di luce continua a contendere il campo alle tenebre della notte”23.

Il 1925 è l’Anno Santo e il colloquio del papa con i parroci ne risente, per la brevità e l’accostamento dei temi. Dopo aver definito la predicazione come “il Sacramento 22 Discorso del S. Padre ai Parroci e Predicatori Quaresimalisti di Roma, in BCR, marzo 1923, pp. 129-130.

23 Discorso del Santo Padre ai Parroci e Predicatori Quaresimalisti di Roma, in BCR, marzo 1924, pp. 129-131.

dei Sacramenti” afferma che quello del ’25 è un tempo di quaresima “doppiamente sacro poiché è la Quaresima dell’Anno Santo”. La santificazione richiesta si ottiene “con la felice attuazione delle due parti di un unico programma, cessare dal male e fare il bene”. Invitando a far pregare per il papa impartisce la sua benedizione a tutti “con il più intenso affetto paterno; in modo particolare all’E.mo Cardinale Vicario”24.

Il colloquio del ’26 è denso di temi e dunque anche un po’ più lungo del solito. Ratti apre l’incontro in modo molto affabile confidando che “per lui era quella una tra le più belle, le più desiderate, le più consolanti udienze che potesse mai avere”. Poi

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