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II Al-Farabi: gerarchia cosmico-politica ed emanatismo.

CITTÀ IDEALE

V. 2. II Al-Farabi: gerarchia cosmico-politica ed emanatismo.

Il legame tra cosmo, uomo e città resta ben saldo in al-Farabi, che in riferimento a questo argomento, come già emerso per altri aspetti della sua filosofia, mostra di far proprio l’insegnamento greco (platonico, aristotelico e neoplatonico) senza adombrare il chiaro background islamico della sua speculazione.

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82 Il tema della relazione posta tra la dimensione statuale - politica e quella cosmica è affrontato dal filosofo in diverse opere, in particolare viene ampiamente trattato nel Conseguimento della felicità, nelle Idee degli abitanti

della città virtuosa, nel Libro dell’ordinamento politico e negli Aforismi dell’uomo di stato. L’idea centrale sostenuta da al-Farabi al riguardo è quella

per cui vige un parallelismo tra il cosmo governato da Dio, il corpo dominato dal cuore e la società retta dall’imam.

I tre livelli della realtà sono così strutturati: in base ad un sistema emanatistico discendente, dall’Uno - Dio procedono una serie di Intelligenze e di corpi celesti, secondo un ordine scalare gerarchizzato che si articolano fino all’Intelletto Agente che ordina il mondo sublunare; all’interno di questo mondo si trova l’uomo, di cui gli organi e le facoltà sono legati l’un l’altro da un rapporto di servitù.

Al vertice tra le parti del corpo si trova il cuore e similmente tra le facoltà umane, quella razionale è la potenza dominante, tenuta a guidare le facoltà nutritiva, sensitiva e immaginativa; infine, il sistema politico di cui si auspica l’attuazione è quello in cui si costituisce un ordine gerarchico tra i componenti e che trova la sua guida nell’imam176.

Al riguardo nel capitolo XXVII della Città virtuosa al-Farabi scrive: «Come l’organo dominante del corpo è quello per natura più perfetto e sotto di lui vi sono organi che dominano su altri subalterni così il governante della città è il più perfetto dei componenti della città e sotto di lui vi sono uomini su cui egli comanda. […] Il governante della città è il Primo ed egli è la causa dell’organizzarsi della città e delle sue parti. […] Ciò accade per tutti gli esseri viventi. La relazione della Prima Causa [Dio] rispetto agli esseri viventi è analoga alla relazione del sovrano della città virtuosa rispetto agli altri cittadini. […] Tutti gli esseri viventi imitano la Causa Prima e perseguono il fine della causa prima. Così è necessario che avvenga per la città virtuosa, i cui componenti devono compiere atti, in ordine gerarchico, che imitino il fine del governatore capo»177.

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Cfr . M. Campanini, Introduzione a Scritti politici di al-Farabi, cit., pp.33-34.

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83 Sulla base della lettura dei testi che trattano tale tematica è possibile sostenere che il filosofo arabo, ponendosi in continuità con l’impostazione platonica espressa nella Repubblica, intende individuare le basi metafisiche della realtà politica ricorrendo all’isomorfismo posto tra i diversi ambiti della realtà.

Ciò appare in maniera evidente nell’opera appena citata, in cui lo spazio dedicato nella prima metà del trattato alle questioni teologico -cosmologiche denuncia la chiave di lettura del testo: la città terrena perfetta è la manifestazione dell’idea sublime della perfezione celeste, e il governante della stessa città perfetta è la manifestazione sublime della perfezione cosmica. Secondo Netton si tratterebbe di un “truismo”, un dato di fatto chiaro ed evidente: «il saggio governante della città virtuosa organizza gerarchicamente i suoi cittadini nello stesso modo in cui Dio struttura gerarchicamente i fenomeni naturali del suo universo, cominciando da se stesso e procedendo per via discendente fino alla materia prima e agli elementi»178.

Se da un lato in questa concezione sembra riecheggiare la tesi platonica che pone nell’Uno - Bene il principio sommo che orienta l’azione del demiurgo rispetto al cosmo e quella del re-filosofo rispetto alla fondazione e alla gestione della kallipolis, dall’altro l’idea di un ordine universale stabilito da Dio secondo i principi di equilibrio e giustizia appare profondamente legata al messaggio del Corano.

Alcuni autori, tra cui L. Strauss179, si sono interrogati su quale fosse la più corretta interpretazione da dare a questo riferimento al principio di unità e di ordine presente nei tre livelli della realtà presi in esame da al-Farabi, alla luce di un generale porsi del filosofo al confine tra la filosofia e la religione.

È a questo punto interessante prendere in considerazione la proposta di lettura dell’interpretazione esoterica della falsafa islamica ed in particolare farabiana. Secondo questa impostazione ermeneutica- come riassume Leaman- i falasifah medievali sarebbero stati costretti a dissimulare le loro reali opinioni per ragioni di prudenza poiché spesso operavano in contesti dove era

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I. R. Netton, Al-Farabi and his school, Routledge, London- New York, 1992, p.47.

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84 opportuno mostrare di conformarsi alle dottrine dell’Islam. Ciò li portava a mascherare il loro reale pensiero «cosi che ogni lettore desideroso di capire il testo che stava leggendo avrebbe dovuto lacerare il manto dell’ortodossia per pervenire al nocciolo dell’argomentazione filosofica»180.

In realtà la lettura della biografia di al-Farabi porta a rigettare l’ipotesi che lo stesso vivesse in tale condizione di disagio intellettuale sotto la protezione del sultano sciita di Aleppo, di cui beneficiò nella fase dell’elaborazione delle sue ricerche filosofiche. Ancor più significativo, inoltre, è che negli scritti dell’autore il tema religioso non viene trattato in maniera allusiva o criptica, ma assume chiara centralità e ruolo fondativo rispetto ad altre tematiche. Se al-Farabi, come è già emerso nel terzo capitolo di questa tesi, non sembra aver mantenuto la medesima concezione rispetto al ruolo della religione passando nei suoi scritti da posizioni più o meno ortodosse , ciò non porta a sostenere che lo stesso volesse celare le proprie idee, né a confutare che, in ultima analisi, la sua speculazione resti ancorata ad una religiosità islamica cui aderì alla luce della sua sensibilità e formazione filosofica.

Tornando all’analisi della prima parte della Città virtuosa, i diversi capitoli dedicati alla materia teologica e cosmologica muovono dall’assoluta centralità che riveste il principio del tawid, l’idea di un Dio trascendente che si risolve nell’assoluta unità, contrapposto alla molteplicità e al divenire del mondo. In questa concezione è possibile constatare che al-Farabi riprende un tema forte del mu’tazilismo, corrente razionalista che, tentando di riconciliare filosofia e religione, descriveva Dio come ente assolutamente unitario- da cui poteva aver origine solo la Prima causa, e secondo un sistema emanativo da questa una catene di altre che mediavano tra Lui e il mondo sublunare-, e inconoscibile.

L’inconoscibilità di Dio è legata al suo essere assolutamente altro rispetto al mondo, che porta a definire la sua sostanza come fondamentalmente negativa: non ha corpo, né dimensioni, né parti, ma è l’unico a possedere l’attributo dell’esistenza in senso proprio181.

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O. Leaman, La filosofia islamica medievale, cit., p. 273.

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85 Tutto ciò che si trova nel mondo deriva da Dio mediante l’emanazione. «L’emanazione – osserva Campanini – è il nucleo centrale “forte” dell’opera farabiana. Essa implica una gerarchia di perfezioni tra la materia e la forma, tra i corpi celesti e quelli sublunari (capp. XII – XIII), così come tra le singole parti del corpo ( cap. XXI), tra queste e la città perfetta (cap. XXVI) o tra i capi della città perfetta – essi stessi perfetti – e gli altri cittadini (cap. XXVII).

Di caratteristico vi è allora che nella Città virtuosa (come del resto nel

Libro della scienza politica) si dà una sintesi, che sembra di carattere

prevalentemente platonico - aristotelico ma che è pure genuinamente islamica, tra il concetto dell’uomo come animale politico e della società come organizzato a somiglianza dei cieli. Si tratta di piani diversi ma interagenti»182.

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