• Non ci sono risultati.

Sulla nunziatura di Germania (1607-1610)

4.II Rientro a Roma

Dalla primavera del 1609 la nunziatura di Germania cominciava a rivelarsi di giorno in giorno più difficile. La Dieta di Boemia era stata convocata per l’inizio del mese di maggio dai rappresentanti delle parti religiose avverse a quella cattolica, senza tener conto dell’autorità imperiale che ne aveva vietata la riunione. Così, più di cinquanta baroni del regno erano convenuti a Praga per far valere le proprie istanze, chiedendo al sovrano di sottoscrivere una serie di concessioni in materia religiosa. In più, l’incertezza e le divisioni degli uomini di corte non facevano altro che alimentare lo stallo politico, a favore delle speranze di successo «degli heretici» boemi d’ispirazione luterana e calvinista, ai quali presto s’aggiunsero anche quelli della Slesia.

Nel carteggio tenuto con Roma, la situazione praghese era spiegata con estrema lucidità e chiarezza dal nunzio Caetani, il quale dimostrava tutta la sua lungimiranza e capacità d’osservazione nel prevedere le disgrazie che attendevano la religione cattolica in un futuro non troppo lontano e i risvolti politici che soggiacevano agli eventi. Oltre a riconoscere con dolore la sua totale impotenza, considerato che le suppliche e le proteste contenute in varie polizze e memoriali inviati a Rodolfo II erano recepite solo tiepidamente dall’imperatore. È a partire da questo periodo, infatti, che le lettere della nunziatura di Germania – oltre a infittirsi – si riempiono sempre più di toni catastrofici. Da esse traspare la carica emotiva in tutta la sua drammaticità e la preoccupazione per una situazione confusa e problematica che non faceva presagire nulla di buono per la parte cattolica.

A corte Hannewaldt e Stralendorf, scriveva il nunzio nel maggio 1609, per quietare «gli heretici» consigliavano di accondiscendere alle concessioni che richiedevano in materia religiosa mentre altri, tra cui Attems e Hagenmüller, erano maggiormente propizi all’uso delle armi. Barwitz, invece, «né l’uno, né l’altro, ma sta timido e confuso». Dal canto suo, il nunzio tentava di «dar calore alle cose» affidandosi all’ambasciatore spagnolo Baltasar de Zuñiga1, poiché non aveva accesso diretto all’imperatore. Nella sua analisi esplicava molto lucidamente la rete d’interesse politico mascherata dietro alle questioni religiose, che correvano un pericolo ancora maggiore che con la concessione della stessa libertà di coscienza, non avendo alcun potere secolare che le potesse difendere2. Per quanto riguarda poi i potenziali pericoli per i cattolici praghesi, il Caetani non aveva sentore che potesse accadere qualcosa. Non temeva nulla neanche per la propria persona, tranne nel caso in cui

1 Su di lui mi permetto di rimandare al cap. 3.III

si fosse verificata una «sollevation accidental nella plebe bassa»3 che, nonostante i boemi fossero «gente da niente, e da mettersi in confusion da loro stessi», scriveva, avrebbe avuto conseguenze catastrofiche soprattutto a causa della «inresolutione, timidità et imprevidenza» che attanagliava la corte, prevedendo «che presto si trattarà di fuga, od impiastro». Insomma, concludeva: «Dio Benedetto solo può rimediare a questi mali»4.

Il momento era talmente grave, sia per l’ormai aperta dissidenza (anche armata), dei baroni e del loro seguito che non avevano più alcuna remora nei confronti dell’autorità, sia per le divisioni interne al partito cattolico che non consentivano una degna reazione. Alla metà del mese di giugno Antonio Caetani, l’ambasciatore spagnolo e l’arciduca Leopoldo d’Asburgo decisero di convenire «una matina all’alba (acciò non fussemo veduti) […] nel convento de Padri Cappuccini, et risolvemmo che Sua Altezza scrivesse una polisa efficace a Sua Maestà poiché non poteva haver audienza, et l’Ambasciatore et io usassimo alcune diligenze con questi ministri»5. Le istanze però non furono ascoltate. Infatti, i consigli vennero rigettati e «il negotio cadé tutto in mano de Ministri meri politici», i quali erano convinti, come riportato dal nunzio, che accettando di soddisfare le richieste in materia di religione, i baroni boemi e slesiani «si sarian quietati per il resto»6 abbandonando qualsiasi richiesta di carattere politico.

Le notizie che pervenivano da Praga7 preoccupavano molto la Santa Sede. Dal punto d’osservazione romano le concessioni che si apprestava a sottoscrivere l’imperatore avrebbero non solo portato alla rovina di quel regno, ma anche a quella di tutto il Sacro Romano Impero. Il cardinal Borghese deprecava senza mezzi termini le azioni eversive messe in campo dal partito riformato boemo e slesiano in armi, ma in particolare da Roma veniva condannata l’irresolutezza dell’imperatore, arrivando perfino a definirlo insano di mente, che pur avendo «la spada pendente di sopra il capo»8 non faceva nulla per scanzarla. Da quanto si legge nelle lettere della Segreteria di Stato, per non essere stato risoluto nel resistere alle istanze degli «heretici» – più calvinisti che luterani – Rodolfo II aveva macchiato indelebilmente il suo nome e la sua anima, tanto che «sarà

3 Plebe che però, secondo il giudizio del nunzio, «non è così feroce come l’Italiana per che se fosse, già tutta questa città saria foco, e fiamme […]», ANTONIO CAETANI A SCIPIONE BORGHESE, 11 maggio 1609, Praga. ASV, Fondo Borghese, serie II, 169, c. 19r-v.

4 ANTONIO CAETANI A SCIPIONE BORGHESE, 18 maggio 1609, Praga. ASV, Fondo Borghese, serie II, 169, cc. 42r-44v. Pochi giorni dopo, passato un consiglio straordinario richiesto da Rodolfo II, i toni delle lettere si fanno anco più drammatici. Cfr. [Appendice, doc. n. 24].

5 ANTONIO CAETANI A SCIPIONE BORGHESE, 22 giugno 1609, Praga. ASV, Fondo Borghese, serie II, 169, c. 125v. Anche perché il nunzio era fuori dalle grazie dell’imperatore e non riusciva a ottenere nulla dalle sue singole azioni. Si veda la protesta inviata a Rodolfo II dopo la concessione della libertà di coscienza ai boemi. Cfr. [Appendice, doc. n. 25].

6 ANTONIO CAETANI A SCIPIONE BORGHESE, 29 giugno 1609, Praga. ASV, Fondo Borghese, serie II, 169, c. 141r-v.

7 ANTONIO CAETANI A SCIPIONE BORGHESE, 25 giugno 1609, Praga. ASV, Fondo Borghese, serie II, 169, cc. 110r-111r. Cfr. [Appendice, doc. n. 26].

odioso a Dio et al mondo» e, siccome «non gli resta quasi più da vivere comincia assai per tempo a patir la pena del suo gran peccato nell’haver senza opporsi a nemici lasciate fare tante piaghe all’Imperio et alla Religione, anzi esser stato egli stesso quello che più l’habbia trafitta»9.

Da parte sua, il nunzio apostolico cominciava a lamentare la propria mortificazione per la piega che avevano preso gli eventi e per essere stato mero testimone e cronista della rovina, senza aver potuto porvi alcun rimedio come, invece, avrebbe richiesto la sua funzione diplomatica e il suo incarico di inviato apostolico: «Non posso non reputarmi se non infilicissmo, sventuratissimo», scriveva al Borghese, «che in tempo mio (se ben senza nessuna mia colpa) habbiano a sorger principij di ruine tali che non admittino più negotio» e che avrebbero potuto portare in breve all’«ultima ruina dell’Imperio, e della Religione»10.

Gli sforzi caduti nel nulla per fermare l’avanzata del campo riformato e le negoziazioni per la nascita della Lega Cattolica11 da contrapporre all’Unione dei principi protestanti nei territori tedeschi dopo i fatti di Donauwörth, coprono larga parte del carteggio fra Praga e Roma dalla metà del 1609 e per gran parte dell’anno successivo, che sarà l’ultimo passato dal nunzio Caetani alla corte imperiale12. In mezzo anche il dissidio sorto con l’arciduca d’Austria Leopoldo, che aveva accusato il rappresentante apostolico di aver contribuito alla rovina della religione e dell’Impero per non essere stato in grado di farsi ben volere da Rodolfo II. In sua difesa, il nunzio replicava aspramente alle accuse sfogandosi con il cardinal Borghese per le troppo frequenti macchinazioni della corte e denunciando come era stato spesso raggirato da calunniatori e da coloro che gettavano discredito sulla sua opera per metterlo in cattiva luce con il sovrano, adducendo ora che egli fosse «inimico di Casa d’Austria», e ora che fosse in favore del partito francese per quanto riguardava le trattative per la successione nel ducato di Jülich-Kleve. Non solo, il Caetani affermava di non meritare gli attacchi che venivano portati alla sua persona, anche perché nel suo ufficio – come egli scrive – non aveva fatto troppo ricorso né a silenzi, né a dissimulazione. E difendendo la sua coerenza nei princìpi e nelle opere, imputava la mal riuscita delle negoziazioni ai pareri molto diversi che erano sempre intercorsi tra lui e l’imperatore, il quale non aveva mai voluto intendere i

9 SCIPIONE BORGHESE AD ANTONIO CAETANI, 24 ottobre 1609, Roma. ASV, Segr. Stato, Nunz. Diverse 8, cc. 66v-67r.

10 ANTONIO CAETANI A SCIPIONE BORGHESE, 29 giugno 1609, Praga. ASV, Fondo Borghese, serie II, 169, c. 145r-v. Cfr. [Appendice, doc. n. 27].

11 ANTONIO CAETANI A SCIPIONE BORGHESE, 28 dicembre 1609, Praga. BAV, Fondo Boncompagni Ludovisi, E. 25, cc. 60r-61r, 62r-v.

12 Le epistole riguardanti la Lega Cattolica sono conservate in BAV, Barb. Lat. 6910. Le lettere che interessano esclusivamente il periodo che va dal mese di settembre 1608 al giugno 1609 sono state da poco edite in: T. ČERNUŠÁK

(a cura di), Epistulæ et acta Antonii Caetani 1607-1611. Pars IV. September 1608-Juinius 1609, in Epistulæ et acta nuntiorum apostolicorum apud imperatorem 1592-1628, Tomus IV, Instituti Historici Bohemoslovenici Romæ et Pragæ, Pragæ 2013.

concetti che gli venivano esposti e per questo non poteva biasimarli13. In questa lettera d’inizio gennaio 1611 il nunzio difende il proprio operato usando termini molto duri nel giudicare una corte imperiale in cui «regna ragione molto diversa, perché il male di che si patisce è frenesia e pervertimento di appetito, col qual si desidera sempre quello che più nuoce», e dove si trovano uomini «disturbatori della pace e della quiete pubblica e calunniatori delle persone honorate», alla testa dei quali, secondo il Caetani, c’era l’arciduca Leopoldo.

Dunque, pare che la volontà espressa da Antonio Caetani a Paolo V di «rinfrescar Ministro in questa Corte»14, non fosse stata per il desiderio di tornare in Italia, e neanche per stanchezza nello svolgere i suoi uffici o per l’insofferenza nei confronti del clima – che di certo ha avuto anch’esso un peso sulla decisione presa dal nunzio, come riportato nella biografia redatta da Cristoforo Caetani e da Milena Linhartova, curatrice della raccolta di parte del carteggio inerente la nunziatura praghese – bensì perché aveva ormai compreso di non godere più di alcun credito a corte e di non poter esplicare al meglio l’incarico diplomatico per il quale era stato scelto. Ormai non aveva margine di manovra: non riusciva più a far valere la propria influenza nei negoziati.

Anche se a malincuore, perché avrebbe voluto che il Caetani rimanesse per altro tempo presso la corte imperiale15, il pontefice accettò la richiesta del nunzio di essere sollevato dall’incarico esprimendo poi «piena soddisfazione»16 per come l’arcivescovo di Capua aveva svolto i suoi uffici, sicché «doppo haver dati per tre anni continui segni non ordinarij della sua prudenza, pietà, et valore» si era meritato la fama di «fidel ministro» e acquistando «laude di prudente»17.

Gli ultimi mesi del 1610 il Caetani li passò in attesa che Rodolfo II si decidesse a ricevere in udienza il nuovo nunzio apostolico Giovan Battista Salvago, vescovo di Sarzana, che fino a quel momento aveva ricoperto per più di tre anni lo stesso incarico a Graz; e al quale lasciò la propria

13 ANTONIO CAETANI A SCIPIONE BORGHESE, 10 gennaio 1611, Praga. BAV, Barb. Lat. 6910, cc. 20r-22v. Cfr. [Appendice, doc. n. 28].

14 Ibidem.

15 «Nostro Signore ha voluto anteporre il commodo e valetudine di Nostro Signore al suo proprio senso, secondo il quale havrebbe tardato molto più a darle successione. Però ha risoluto ultimamente mandare in suo luogo monsignor Vescovo di Sarzana […]», SCIPIONE BORGHESE AD ANTONIO CAETANI, 18 settembre 1610, Roma. ASV, Segr. Stato, Nunz. Diverse 8, c. 278r-v.

16 Ibidem.

17 Si legga anche quanto scrive Cristoforo Caetani, secondo il suo punto di vista, sulla fine della nunziatura di Germania: «Era l’Arcivescovo di Capua di complessione assai malinconica et dilicata, et più sentiva molto rigore di quel cielo et gravissime gli erano le continue fatiche del corpo et le molestie dell’animo, delle quali (per i tempi che correvano) era molto piena la sua carica. Nelle quali doppo haver dati per tre anni continui segni non ordinarij della sua prudenza, pietà et valore, et doppo haverla essercitata sempre con particolarissima sodisfattione, non meno di Papa Paolo, che dell’istesso Rudolfo Imperatore et degl’Ambasciatori di tutte le corone et d’altri Prencipi la residenti, fu spinto dalla necessità che haveva della sua salute di chieder licenza, che se ben per gli urgentissimi bisogni che correvano et per i pericoli ch’alla Religione et Cattolici soprastavano, ricusò Papa Paolo di dargliela per all’hora, condescese nondimeno di lì a pochi mesi a consolarlo, anteponendo il commodo et valetudine dell’Arcivescovo al suo proprio senso, secondo il quale haveria quel Pontefice tardato molto più a darli il Successore, che fu Monsignor Vescovo di Sarzana all’hora Nuntio a Gratz Prelato di rara qualità», C.CAETANI, Vita del Sig., cit., cc. 33v-34r.

relazione finale sulla nunziatura di Germania nel dicembre dello stesso anno18. Intanto non lasciava di continuare il suo rapporto epistolare con la Segreteria di Stato, dando ragguagli sulla situazione politica boema e lodando molto il suo successore per la buona disposizione e la confidenza che usava nei suoi confronti. Finalmente, nella lettera del 24 gennaio 1611, si ha la notizia dell’avvenuto incontro fra l’imperatore e il Salvago19, che consentiva ad Antonio Caetani di chiudere definitivamente con la sua permanenza a Praga ponendosi sulla via del ritorno in Italia.

Dopo aver fatto sosta prima a Monaco, ospite del duca di Baviera, e poi a Innsbruck dove era stato ricevuto dall’arciduca d’Austria Massimiliano d’Asburgo, fratello minore dell’imperatore, alla fine di febbraio giunse a Roma, dove «fu con particolar benignità visto et accarezzato da Papa Paolo e dal Signor Cardinal Borghese [e] doppo haver raguagliato in voce Sua Santità del stato della nostra Santa Religione et dell’Imperio di Germania (con i Prencipi Cattolici della quale si era per servitio dell’istessa Religione abboccato nel ritorno che fece in Italia) et visitato il Sacro Collegio, subitamente se ne passò alla sua residenza di Capua per rivedere et pascere quell’anime ch’erano state date alla sua custodia et per esercitare quelle funtioni che gli erano tocche della sua agricultura spirituale»20.

***

Fare costante riferimento all’intervento divino per porre rimedio ad eventi forieri di future castrofi e affinché venga mostrato il retto cammino ai governanti, è un’invocazione che ricorre spesso nelle lettere del nunzio in Germania. Il Caetani, un po’ perché uomo di chiesa e un po’ perché realmente inefficace sotto il profilo politico, ritorna più e più volte ad affidarsi alla mano di Dio per salvare la religione cattolica nelle terre su cui sventolava il vessillo imperiale e limitare i patimenti a cui sarebbero andati incontro i fedeli della Chiesa romana. In effetti, sin dai primi mesi di nunziatura si palesarono le difficoltà che attendevano l’arcivescovo di Capua nella sua prima esperienza politica in una corte straniera. Come si comprende dal carteggio con la segreteria apostolica durante la permanenza presso la corte imperiale, gli ostacoli principali alla riuscita di trattative e negoziati diplomatici, nonché al buon governo, secondo il nunzio erano da ricercarsi nelle opposizioni poste dagli uomini di corte per propri interessi personali e nell’inettitudine al governo dell’imperatore Rodolfo II, spesso ritratto come una persona collerica e potente con gli uomini di cui si circondava, ma al contempo malinconica, sola, irresoluta, timida e incapace di

18 Si veda: S.GIORDANO (a cura di), Le istruzioni, cit., vol. 2, pp. 713-773. BAV, Vat. Lat. 13460, cc. 260r-309r, [copia].

19 ANTONIO CAETANI A SCIPIONE BORGHESE, 24 gennaio 1611, Praga. BAV, Barb. Lat. 6910, c. 40r. 20 C.CAETANI, Vita del sig., cit., BAV, Barb. Lat. 6030, c. 35r-v.

mantenere saldo il timone dello Stato che guidava, esposto senza riparo agli accadimenti, interessato solamente a contrastare la volontà del fratello Mattia di succedergli sul trono imperiale.

La penna del Caetani torna varie volte ad imprimere sulla carta questi aspetti. Man mano che la nunziatura procede e pur intravvedendo saltuari spiragli di salvezza per la religione cattolica nel confronto con il campo riformato, ogni mese che passa essa si fa sempre più dura mentre scrive i giudizi del nunzio sull’operato della corte praghese e del suo conduttore, così come sono forti i toni delle reazioni di condanna che giungono da Roma. È proprio in una delle ultime lettere, quella in cui il nunzio, ormai sollevato dall’incarico, replica in modo piccato alle accuse di incapacità mossegli dall’arciduca Leopoldo d’Asburgo, che si manifesta tutta l’amarezza dell’inviato pontificio per i rivolgimenti succedutisi proprio negli anni in cui si è trovato a Praga e, soprattutto, per le impetuose nubi che si stagliavano all’orizzonte.

Nonostante le difficoltà incontrate dal Caetani nei tre anni di residenza alla corte imperiale, la sua richiesta di essere sollevato dall’incarico era stata ricusata in un primo tempo dal pontefice, comunque grato e soddisfatto, così almeno di legge nel carteggio, dell’operato del suo rappresentante. Prendendo come riferimento le problematicità poste dai temi affrontati nelle pagine precedenti e non dimenticando che il nunzio si mosse all’interno di contesto variegato di forze politiche, territoriali, “nazionali”, confessionali e sociali che non sempre rispettavano l’autorità cesarea, l’azione diplomatica di Antonio Caetani si era fregiata di alcuni importanti successi. Su tutti la decisiva opera che ha portato all’elezione al cardinalato di Ferenc Forgách, arcivescovo di Strigonia. Il quale avrebbe dovuto fungere da baluardo cattolico e uomo forte dell’Impero nell’area ungherese-danubiana sia per tenere testa ai riformati e all’aristocrazia magiara, che nei confronti del turco.

Le scelte della Santa Sede miranti al rilancio della Chiesa cattolica, sulla base dei dettami del Concilio di Trento, erano rivolte al contrasto della diffusione delle confessioni riformate, così come alla riconquista o alla salvaguardia delle comunità cattoliche. Oggettive difficoltà, infatti, erano legate spesso alla conflittualità con le locali autorità religiose, restie a limitare le proprie libertà decisionali. In quest’ambito un altro successo può anche essere considerato lo scioglimento del nodo relativo al nuovo suffraganeo della chiesa di Bamberga e, in seguito, al successore del vescovo defunto, che avrebbe potuto riscattare il mal governo passato.

Nel solco della lotta al campo riformato e per evitare l’erosione del consenso sociale e politico del cattolicesimo all’interno della comunità, si può affermare che il Caetani non lesinò di operare in favore del ravvivamento della religione cattolica facendo ricorso alle facoltà che l’incarico di nunzio in Germania gli riservavano, come concedere dispense per celebrare matrimoni fra soggetti di confessioni diverse e distribuire oculatamente le licenze per leggere libri proibiti. E in particolare,

gli riuscì di evitare, con grande soddisfazione del papa e del cardinal nipote, che il Premonition to Christian Princes, del re Giacomo I d’Inghilterra, venisse ricevuto dall’imperatore.

Al contrario, il nunzio non parve troppo lungimirante quando, verso la fine del 1607, si palesò la conquista e l’occupazione della città franca evangelica di Donauwörth, da parte delle truppe cattoliche del duca di Baviera dietro mandato imperiale, che i riformati condannarono come una profanazione della pace religiosa e politica. Un accadimento che il Caetani salutò con giubilo lodando lo zelo del Wittelsbach, per poi comprenderne la grave portata solamente in seguito, quando divenne una reale spia d’allarme di quanto sarebbe accaduto negli anni successivi, con la contrapposizione armata dei due campi confessionali, fino allo scoppio della Guerra dei Trent’Anni.

III

Documenti correlati