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Il Buen Vivir secondo la prospettiva indigena

Sumak Kawsay: el Buen Vivir por un nuevo camino hacia un mundo mejor.

3.1 Il Buen Vivir secondo la prospettiva indigena

Il concetto di Buen Vivir e il relativo dibattito che attorno ad esso si è creato, ci arrivano direttamente dalla visione della vita e del mondo che hanno gli abitanti della periferia sociale della periferia mondiale (Acosta, 2010), da quei popoli e nazionalità indigene che vivono al di fuori delle logiche del mercato mondiale, da quella tradizione ancestrale in cui il Buen Vivir si configura come una opportunità unica e da perseguire per costruire una nuova società basata sulla convivenza dell'essere umano nel segno della diversità e armonia con la natura, partendo riconoscimento dei diversi valori culturali esistenti nel mondo (Acosta, Gudynas,2011).

Analizzando il concetto, possiamo notare gli errori e i limiti delle diverse teorie dello Sviluppo71, limiti ed errori che spianano la strada a

70 Bisogna sottolineare che la forza da parte del Governo di proclamare e di applicare il concetto del Buen Vivir risiede proprio nella forza economica del Pese, dovuta proprio alla esportazione (e alla estrazione) del petrolio.

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nuove opzioni alternative e il Buen Vivir si configura come un'insieme di queste opzioni alternative.

Eduardo Gudynas e Alberto Acosta scrivono:

“ Il Buen Vivir non è, dunque, una tipologia di sviluppo alternativo che si colloca in un lungo elenco di opzioni, bensì l'alternativa alle teorie dello sviluppo. … Si tratta di una idea pluralista che è in continua costruzione e discussione, e non solo nei paesi andini” (Acosta, Gudynas,2011).

E ancora:

“ I concetti del Buen Vivir mettono a rischio queste idee72

. Nascono da un legame diretto con i saperi tradizionali che erano assoggettati, mettono in discussione le contaminazioni culturali e si allontanano dalla idea di sviluppo come crescita economica. Nelle cosmo-visioni indigene non esiste un concetto di sviluppo inteso come la concezione di un processo lineare, come il susseguirsi di stati anteriori e posteriori. Non viene difesa la visione di uno stato di sottosviluppo che deve essere superato, e nemmeno di una meta di “sviluppo” che deve essere raggiunto, imponendo lo smembramento delle relazioni sociali e la distruzione dell'armonia con la natura. In molti casi, non esiste la dicotomia occidentale che separa la società dalla natura. E non esiste neppure la concezione di povertà come

definisce come contemporanee, ad esempio Björn Hettne, oppure quelle che definisce ”post-sviluppiste”, ad esempio Gianfranco Bottazzi e Gilbert Rist. 72 Le idee a cui si riferiscono gli autori sono le idee di progresso profondamente

radicate nella cultura latinoamericana e che hanno un carattere eurocentrico. Queste idee hanno intendono lo sviluppo come crescita economica, raggiunta attraverso l' aumento delle esportazioni oppure attraverso gli investimenti stranieri.

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carenza dei beni materiali o di un concetto di ricchezza inteso come abbondanza. In altre parole, il Buen Vivir mette in discussione la stessa validità dell'idea di progresso. Secondo la cosmo-visione indigena, lo sviluppo sociale – il suo sviluppo? - è una categoria permanentemente in costruzione e riproduzione. In questa categoria, sta il gioco della stessa vita.” (Acosta, Gudynas,2011).

Il Buen Vivir condivide ed è ben ancorata ai saperi e alle tradizioni indigene, condivide con queste ultime la “cosmovisione indigena”, che consente di sviluppare delle reti sociali sostenibili e contemporaneamente conservare una spiritualità che riesca a mantenere il rapporto tra la natura, l'universo e gli esseri umani ( De Marzo, 2009).

Le comunità indigene chiamano “Pacha Mama”, che significa “Madre Terra”, il loro rapporto con l' ambiente che ci circonda, con la natura che sta intorno in noi, con la terra che è madre in quanto ci ha dato la vita e garantisce la nostra sopravvivenza. Partendo da questo semplice concetto possiamo comprendere l'importanza che ha per gli indigeni, importanza che noi occidentali sembra abbiamo dimenticato (De Marzo, 2009).

Questi principi avvicinano gli uomini e le donne al resto degli altri esseri viventi, creando, o meglio restituendo, quel legame che è composto da connessioni di tipo spirituale e biologico e restituendo quello che dovrebbe essere l'unico ruolo dell'uomo in questo mondo, cioè il ruolo di amministratore della casa comune: amministratore e non consumatore, deturpatore e padrone del nostro pianeta. Questo passaggio, scrive Giuseppe De Marzo, è molto importante affinché si possano cogliere le motivazioni per cui le soggettività emergenti criticano aspramente, opponendosi, lo sviluppo, sinonimo di modernità e progresso, ma anche e soprattutto di innumerevoli e

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incalcolabili danni ambientali ( De Marzo, 2009).

Ciò che il comportamento sconsiderato, dettato dalla logica del profitto e dell'accumulazione originaria, ha provocato è una scollamento nel rapporto tra gli esseri umani e i cicli naturali della Terra, provocando le crisi ambientali e climatiche a cui purtroppo ci stiamo abituando: scongiurare il peggio è possibile, ma solo se riusciamo a sovvertire il paradigma, cambiando totalmente il sistema in cui viviamo.

Ciò che gli indigeni ecuadoriani, e non solo, hanno colto, lasciandosi ispirare delle loro tradizioni millenarie, è la consapevolezza del ruolo dell'individuo: recuperare e sviluppare ciò che l'individuo stesso rappresenta.

Il Buen Vivir deve essere considerato come una categoria in continua trasformazione e costruzione, come la categoria centrale della filosofia di vita delle diverse società indigene; al suo interno ritroviamo la storia, i processi sociali e culturali indigeni, di questi popoli da sempre considerati la periferia del mondo. Il Vivere Bene non vuole essere solo l'alternativa allo sviluppo in termini economicistici, il Buen Vivir si fonda sui principi culturali dei nativi indigeni, si nutre delle tradizioni culturali, del sapere contadino, delle esperienze e delle conoscenze del mondo indigeno tradizionale (Acosta, 2012).

Scrive Alberto Acosta:

“… (il Buen Vivir) accetta come elemento di giunzione la relazionalità e la complementarità tra gli esseri viventi, uomini e non. Si plasma attraverso i principi dell'interculturalità.” (Acosta, 2012)

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occidentale, rompe con la logica antropocentrica del capitalismo, ci impone un cambiamento e propone il superamento del Capitalismo (Acosta, 2012).

La Costituzione dell'Ecuador non è che il frutto di questa consapevolezza e delle decennali lotte che hanno visto protagonista gli indigeni, che hanno portato avanti l'idea del bene comune, di un nuovo sviluppo possibile alternativo fondato sulla giustizia sociale ed ambientale, sulla valorizzazione e il rispetto delle diversità e del patrimonio comune, con una spiccata attenzione verso le generazioni che verranno (De Marzo, 2009).

Le parole chiave per lo sviluppo di questo paradigma di sviluppo sono plurinazionalità, interculturalità, economia solidale e sociale,

rispetto per i diritti della natura (De Marzo, 2009), la ricerca di uno

stile di vita alternativo vengono espressi e sostenuti nelle lotte popolari .

Fu proprio la “Confederación de Nacionalidades Indígenas del Ecuador”, la CONAIE, che presentò alla società ecuadoriana e alla Assemblea Costituente, nel mese di ottobre del 2007, il progetto del “Buen Vivir” come punto centrale della proposta su cui basare la nuova costituzione.

Esemplificativo è il sottotitolo del documento presentato dalla CONAIE: “Por un Estado Plurinacional, Unitario, Soberano, Incluyente, Equitativo y Laico” ci indica chiaramente che si trattava di una proposta politica in cui il “sumak kawsay” era l'elemento centrale. Notiamo, già nella introduzione, dopo che l'attenzione era stata focalizzata sulla particolare congiuntura economica e sociale che stava attraversando il paese, il “Buen Vivir” emerge al centro della critica del modello capilista, delle implicazioni coloniali e delle radici ancestrali da cui può derivare una nuova forma di vita:

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“Un momento di profonda speranza per le grandi maggioranze del paese che lottano per la costruzione di una società post-capitalista e post-coloniale, una società che promuova il buen vivir trasmettendo di generazione in generazione dai nostri antichi “taitas” e “mamas”, una società che recuperi gli insegnamenti di popoli ancestrali e possa vivere in armonia con la nostra Madre Terra” (CONAIE, 2007). 73

3.2 L’inizio del cammino: l’approvazione della nuova