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2. Introduzione all’architettura militare d’epoca ottomana

3.2 Il confine

Il confine come linea appare molto legato alla concezione del mondo romano delle origini, è una segno marcato nel terreno che divide due territori. In lingua inglese, differentemene dall’italiano, notiamo due concezioni di confine diverse: il border come confine di stato (quindi lineare) e il boundary come confine ideale e culturale. Nel mondo arabo, pur non essendoci all’inizio una netta distinzione tra i diversi territori, venne poi a svilupparsi quell’idea della linea confinaria tra territori. Confine in arabo si dice ḥadd (pl. ḥudūd), i cartografi e geografi arabi usarono tale termine in maniera molto generale per ogni confine, specie per quello della dār al-islām. Nell’accezione ottomana poi ḥudūd andò ad indicare il confine statale, quello degli abitanti di frontiera, dei guerrieri che si battevano contro gli infedeli. In turco la parola confine viene espressa anche con il termine sınır, di antica origine greca (da súnoros, limitrofo),

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Power, Standen 1999, 22-25. 107

48 venne usualmente utilizzato nella seconda metà del Quattrocento nei documenti ufficiali attinenti ai confini esteri108. Dal 1699 con la pace di Karlowitz, come visto precedentemente, lo stato ottomano riconobbe ufficialmente una divisione di confine con gli Asburgo e questo portò di fatto alla concezione europea di confine statale109. In molti documenti, dal 1500 in poi, il sultano si definisce come “regnante su moltissime terre” detenute grazie agli sforzi e al potere della sua vigorosa stirpe, esso affronta la gestione degli affari di frontiera con i suoi visir e sottocomandanti. In questi scritti i territori sono stati suddivisi in province, regni e imperi e anche in terre, fortezze, città e domini. Contrariamente a quanto detto per la frontiera, il confine è qualcosa di più certo, di visibile, una linea che è stabile perché divide nettamente due porzioni di territorio relegandole nel loro spazio vitale. L’importanza della linea di confine è data dalla sua riconoscibilità e dalla sua “ufficialità”, essendo riconosciuta da ambedue le parti che divide; se tale approvazione non sussiste non ci troviamo più di fronte ad una linea di confine ma ad una barriera, un muro. Il confine di per sé non costituisce un elemento di guerra, anzi se viene tracciato è proprio perché si è siglata una pace o un accordo e questo è importante perché non sempre si arriva a delimitare dei confini stabili. Spesso i confini possono essere quelli già delimitati dalla natura come le montagne o i fiumi o anche quelli freddi e netti delle carte geografiche che “tagliano” i territori senza rispettare popoli, religioni o etnie110. Questi confini, emersi durante l’Ottocento, momento in cui le potenze europee dovevano dividersi le colonie mediorientali e nord-africane, non seguono l’andamento naturale dei territori e basta dare uno sguardo ad una cartina geografica per accorgersi subito che chi li ha tracciati lo ha fatto senza conoscere nulla dell’orografia locale. Non si sa molto dei primi confini tra ottomani e cristiani ma secondo fonti d’archivio si crede possibile che venne posta una linea di confine sui possedimenti ottomani in Rumelia (oggi Grecia centro- meridionale, Turchia europea, Bulgaria, Albania e Peloponneso) all’incirca nella seconda metà del Quattrocento. Una volta deciso dove apporre la linea di confine, subito dopo la costruzione, si passava alla sua identificazione sul terreno da parte di ufficiali di entrambi gli stati affinchè si potesse riconoscere effettivamente l’inizio e la fine di ambedue gli stati confinanti.

108 Pedani 2002, 12-13. 109 Pedani 2002, 16. 110 Pedani 2002, 39.

49 Fare un excursus sull’evoluzione dei segni di confine nel corso dei secoli sarebbe qui inappropriato ma basti ricordare che già in tempi romani si usavano pietre confinarie e anche nel Medioevo si utilizzarono alberi marchiati per indicare zone di confine. Per quanto riguardo gli Ottomani, con i confini veneziani ad esempio, essi erano soliti apporre delle “piramidi di sassi” che altro non erano che sassi del posto messi uno sull’altro fino a formare un cumulo piramidale. Oltre a questi metodi di segnalazione vi erano anche i cosidetti cippi che erano pietre, di grandi dimensioni, utilizzate per scandire le distanze e, più spesso, per segnare i confini. Questi cippi sul loro “corpo” potevano contenere iscrizioni, stemmi, lettere e numeri ad indicazione della loro progressione ed inoltre potevano anche essere spostati se il confine fosse cambiato111. Come per le frontiere, anche per i confini il ruolo di elemento di spicco viene rivestito dalle fortificazioni di confine. Possedere fortezze era di grande importanza soprattutto perché si potevano controllare meglio gli spazi aperti ed offrire maggiori sicurezze ai propri abitanti, con esse il nemico tra l’altro era meno propenso ad attacchi.

La fortezza è un importante simbolo di confine perché su di essa vengono stipulati trattati e accordi; spesso quando si cedeva una roccaforte allo stato nemico la si dava spoglia, ovvero senza armi e munizioni al suo interno. Tale prassi però non era sempre rispettata. Altri problemi legati alle fortificazioni di confine riguardavano l’uso di queste opere militari da parte di briganti e malfattori che se ne appropriavano essendo queste poste in zone abbandonate o, appunto, di confine. Da notare che molto spesso questi edifici non erano stati costruiti o restaurati in tempi di guerra bensì in pace e che queste costruzioni potevano venire distrutte se non si riusciva ad ottenerle durante i colloqui per la pace. Alla fine l’accettazione dei confini da parte di due stati ha portato anche al superamento di una prima ed acuta fase bellica tra entità diverse e questo è stato molto importante specie per i commerci tra l’impero e le potenze europee. Non bisogna poi dimenticare che non esiste solo il confine lineare ma anche uno meno delineato e allo stesso tempo molto sentito che è quello culturale e che gli inglesi definiscono boundary. Ciò che è opposto alla frontiera, vista come luogo di contesa dove qualcuno arretra e altri avanzano, è quindi il confine, realizzato per una separazione più netta, continua ma anche tollerante112.

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Pedani 2002, 45-46. 112

50 3. STUDI SULLE FORTIFICAZIONI OTTOMANE

1. Lo stato degli studi e delle ricerche

Lo stato degli studi sulle fortificazioni riguardanti il periodo ottomano a tutt’oggi è lungi dall’essere soddisfacente. Pur non mancando accurati studi storico-archeologici su specifici casi di fortificazioni ottomane, in particolare sulle strutture in migliore stato di conservazione, siamo del tutto privi di opere complessive in questo campo. Infatti, non vi sono studi che mostrino un panorama completo (e diversificato per aree) delle strutture difensive, così come degli eventi che le hanno interessate. Tuttavia, va precisato che lo studio storico, archeologico e architettonico di queste opere è un settore nascente negli studi ottomanistici. È comprensibile, quindi, come sia impossibile avere un quadro completo per via di studi ancora compiuti o in fase di svolgimento.

Questo stato delle cose è già di per sé il primo motivo delle difficoltà della presente ricerca. Considerato anche l’elevato numero di fortezze posizionate nelle più svariate regioni dell’impero Ottomano e tenendo a mente le aree analizzate in questa ricerca (Anatolia, Balcani ed Est Europa), sarebbero oltre cinquecento le fortezze degne di nota o almeno una volta citate nelle fonti dirette o negli studi di archeologia o di architettura. Le costruzioni militari che tra i secoli XIV e XVIII hanno segnato l’espansione ottomana sono state per lo più escluse dalla ricerca scientifica, a favore di strutture che possono essere ascritte ad un ambito militare, ma che rientrano anche nell’architettura civile, ovvero le costruzioni di comunicazione militare, come ponti e dighe. Gli Ottomani continuarono il grande lavoro dei Selgiuchidi nell’ingenieria civile, poiché avevano bisogno di ottime infrastrutture per muovere truppe, armi e vettovaglie da una frontiera all’altra113.

Si possiedono pochissimi studi sulle prime fortezze ottomane costruite nei primi anni della nascita del sultanato, ma anche per i periodi successivi manca un’organizzazione sistematica delle fonti, che siano esse primarie o secondarie. Inoltre, esiste una difficoltà di fondo a reperire il materiale (nella migliore delle ipotesi si tratta di articoli e saggi) che, oltre a non essere spesso specifico sull’argomento, va cercato in pubblicazioni di ambiti anche molto diversi come la storia, l’architettura civile o militare.

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