CAPITOLO VI: IL MANICHEISMO COME GNOSI
1. Il contributo di Emanuele Samek Lodovici
Nonostante E.S. Lodovici sia stato un interprete di spicco del pensiero agostiniano, l’analisi del filosofo messinese che vogliamo considerare fa riferimento non tanto alla sua produzione letteraria intorno ad Agostino, quanto invece all’interpretazione innovativa e sagace che egli ha dato del fenomeno che va sotto il nome di “gnosi”. Il testo di Samek Lodovici intitolato appunto
Metamorfosi della gnosi è il tentativo di descrivere quella tendenza – spirituale,
filosofica, religiosa – a considerare la condizione umana come una condizione destinata ineluttabilmente - e praticamente – ad essere oltrepassata, in quanto finita e limitata. È quindi doveroso precisare come il termine “gnosi”, utilizzato dall’Autore in questione, venga impiegato secondo un’accezione un po’ differente rispetto a quanto era stato stabilito stabilito nel colloquio di Messina del 1966, i cui testi sono stati raccolti da Ugo Bianchi in un’opera intitolata “Le
origini dello gnosticismo”, diventando un riferimento obbligato per chi tratti di
queste tematiche. L’ipotesi di lavoro di Bianchi poneva una fondamentale distinzione tra la “gnosi”, intesa come «conoscenza dei misteri divini riservata a una èlite»274, e lo “gnosticismo”, termine con il quale si designavano «un certo gruppo di sistemi del II sec.»275, nei quali è tematizzata «la presenza nell’uomo di una scintilla divina, che proviene dal mondo divino»276. Ora, quando parla di “gnosi”, Samek Lodovici non rispetta questa distinzione: il concetto esposto dal pensatore messinese pare piuttosto accorpare le caratteristiche della gnosi e dello gnosticismo, anche se il tratto fondamentale che interessa all’Autore è un altro, ed è il modo con cui la gnosi ha concepito il concetto di “limite”. Tutte
273 E.S. Lodovici nacque a Messina nel 1942. Discepolo di Vittorio Mathieu all’Università di
Torino, ha concentrato la propria attenzione di studioso sul cristianesimo delle origini e sulle influenze apportate ad esso dal neoplatonismo, oltre che sul pensiero di Agostino e Plotino. Morì prematuramente nel 1981.
274
U. Bianchi, Le origini dello gnosticismo. Colloquio di Messina 13–18 aprile 1966, E.J. Brill,
Leiden 1970, pp. XX.
275
Ibidem.
276
108 quelle correnti di pensiero, tutti quei fenomeni culturali e sociali che cadono sotto la categoria di “gnosi”, infatti, condividono secondo l’Autore un certo orientamento speculativo: il limite umano, in quanto limite, deve essere abolito, per dar luogo al ricongiungimento immediato con l’Assoluto. La singolarità, in quanto tale, fa problema; l’individuo, trovandosi in una condizione d’esilio, di rottura rispetto alla primigenia unità con il Tutto, deve – secondo gli gnostici – essere ricondotto e riassorbito nell’unità indifferenziata del divino.
Ricordiamo, per un momento, le grandi tesi del pensiero gnosticheggiante. La prima e fondamentale è questa: il mondo, e l’uomo nel mondo, sono il frutto di una caduta, di una frattura; l’intera realtà in cui ci troviamo è una realtà d’esilio. A questa prima affermazione ne segue una seconda che ne rappresenta un curioso rovesciamento. È vero che il mondo è malato, e con il mondo anche la storia, tuttavia, la salvezza c’è già perché, nonostante la frattura incolmabile, esiste qualcuno lo gnostico, l’eletto, che è in grado di colmarla. Lo gnostico infatti è fin dall’inizio dei tempi, dal momento della sua caduta nelle tenebre esteriori del mondo,
homoousios, della stessa sostanza del mondo divino, e come tale capace in forza della sua
originaria divinità di redimersi277.
L’Autore ha poi sottolineato la differenza qualitativa tra la visione cattolica del rapporto tra Dio e mondo e quella che fa riferimento all’atteggiamento spirituale della gnosi. Tra le due corre infatti una alterità incomponibile:
Il cristianesimo, come tutti sanno, è una religione storica, una religione che afferma che il mondo e la storia hanno un valore eminente perché in essi si incarna, non docetisticamente, il Logos di Dio. Tra Dio e il mondo, pertanto, non può sussistere un intervallo assoluto, semmai una differenza di livelli, e il cristianesimo ha in comune con la grecità un certo sospetto per tutte le affermazioni su Dio, o il divino, to theion, come totalmente Altro, Ganz Andere dal mondo. Si aggiunga, inoltre, che la tradizione greco-cristiana afferma sì la somiglianza tra il mondo e Dio, la non assoluta differenza, ma d’altro canto mantiene all’interno di questa somiglianza una dissomiglianza ancora più grande; tra il mondo e Dio sussiste una analogia che se da un lato esclude l’alterità totale, dall’altro non permette neppure la totale identità; e questa contrasta con la posizione antianalogica della gnosi per la quale una volta poste in opera le tecniche di salvezza, tanto puntualmente per i singoli che per la massa, non vi è nessuna ragione di dubitare che il mondo sarà a tal punto cambiato da coincidere con la civitas Dei278.
277
E.S. Lodovici, Metamorfosi della gnosi, Ares, Milano 1991, pp. 8-9.
278
109 Lo scopo della gnosi è quello dell’assimilazione dell’uomo con Dio, del finito con l’Infinito, del contingente col necessario; essa afferma che «bisogna fuggire da questo mondo se non è possibile rinvenirvi una purezza assoluta; o che bisogna rifiutarlo se in esso si continua a percepire lo scandalo del limite, del bisogno, della sofferenza, della morte»279. Lo gnostico vuole essere Dio.
Tutti questi elementi contribuiscono a comprendere il motivo per cui anche il manicheismo, nonostante non sia mai nominato esplicitamente da Samek Lodovici, possa rientrare nella categoria più ampia della “gnosi”. Non è l’anima umana della stessa sostanza del regno della Luce? Non è quella manichea una grandiosa favola di liberazione e di ritorno alla originaria unità? Non c’è forse, negli Eletti, l’affascinante tentazione di una completa identificazione col divino? Lo gnostico nutre la convinzione di possedere una libertà incondizionata, senza limite, uguale a quella di Dio: «È, infatti, dello gnostico la convinzione suprema di poter godere di una libertà assoluta, non soggetta ad alcun vincolo, come, in tesi, deve essere pensata quella di Dio»280. Il rifiuto del limite umano è, così, anche il rifiuto di tutti quegli aspetti della realtà che resistono al nostro utilizzo e alla nostra – presunta – onnipotenza, come le leggi, sia fisiche sia morali, le quali mostrano senza riserve la condizione finita dell’uomo. Quello dello gnostico è il tentativo di toglimento di sé nell’indistinzione divina, nell’in- differenza che scompone tutti i confini e tutte le forme della singolarità. Ciò si pone in una posizione di totale contrasto rispetto al modo in cui Dio ordina e crea l’universo: la creatio ex nihilo infatti è una posizione della differenza – per riprendere le parole di Beierwaltes281 -, come testimoniano i concetti di mensura e numerus, i quali, in quanto limiti dell’ente creato, de-finiscono tutto ciò che è nella sua unicità e differenza rispetto a tutto il resto. La sussistenza ontologica e la bellezza del creato risiedono entrambe nel fatto che Dio crea enti determinati, dotati di una certa forma, di una certa strutturazione matematica, delimitati e differenti gli uni dagli altri. Il singolo, nella gnosi, «aborrisce da questa sua condizione di frammento»282, desiderando fuoriuscire dall’ordine divino per
279
E.S. Lodovici, Metamorfosi della gnosi, Ares, Milano 1991, pp. 11.
280
Ivi, pp. 18-19.
281
W. Beierwaltes, Agostino e il neoplatonismo cristiano, Vita e Pensiero, Milano 1995, cap. III.
282
110 vivere nella dis-misura, in una completa «destrutturazione dell’identità individuale»283.
La gnosi è quindi da sempre nemica del principio di non contraddizione, visto come il principio stesso del limite. Un ente, proprio per il fatto di esistere, rispetta il PDNC, appunto perché è se stesso e non altro: l’esser-altro è invece il vano desiderio di tutte la tendenze gnosticheggianti; la gnosi tende quindi a sostituire l’immaginazione al raziocinio, ovvero la facoltà deputata a cogliere i principi primi dell’essere.
L’atteggiamento gnostico non conclude la propria parabola con la tarda antichità, bensì è il filo conduttore di molte correnti di pensiero a cavallo tra ‘800 e ‘900: Samek Lodovici individua nel marxismo l’esempio per antonomasia della gnosi contemporanea; esso contiene la promessa di un riscatto “escatologico” da ogni limite (familiare, sociale) e da ogni antagonismo, in funzione di una società perfetta. Un altro fenomeno riconducibile alla gnosi è il femminismo ideologico, con la sua pretesa di considerare secondaria (e, al limite, non originaria) la differenza sessuale tra uomo e donna. Quello di Agostino, per converso, è un ripensamento in senso positivo del concetto di limite: nonostante esso rappresenti una delle condizioni del nostro agire male (per l’uomo è possibile peccare proprio in quanto è imperfetto), tutta la filosofia di Agostino esalta, come abbiamo visto in precedenza, la finitezza dell’ente creato, il suo essere costituito entro i propri limiti. Tutti gli enti creati, secondo l’Ipponate, sono appunto altrettanti beni, anche se imperfetti e corruttibili. L’affermazione rivoluzionaria di Agostino secondo cui tutto ciò che è, in quanto è, è bene mostra tutta la sua portata antimanichea e antignostica nel rilanciare l’idea della finitezza aperta alla trascendenza dell’Assoluto, con il quale non è mai però identificabile. L’essere misurato di tutto ciò che è creato, è un bene, in quanto condizione stessa dell’esistenza creaturale: il finito possiede quindi secondo Agostino quella bontà in senso ontologico che gli veniva negata dagli gnostici.
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