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Il fabbisogno idrico dell’industria

Nel documento LA MADRE ACQUA: alcune riflessioni (pagine 41-44)

Capitolo 5: Impieghi dell’acqua

5.3 Il fabbisogno idrico dell’industria

L’acqua è vita, ma è anche la componente fondamentale di molti prodotti industriali.

Basti dire che in Italia il 10 per cento dei consumi di acqua è per la produzione di energia elettrica. Serve acqua non solo per produrre il vapore che azione le turbine, ma ancora di più per raffreddare tutto il sistema; serve acqua per produrre benzina, in un rapporto 18:1; serve acqua per la produzione di acciaio, in particolare nei processi di raffreddamento, nella cokeria, nell’altoforno che produce la ghisa e nei convertitori della ghisa in acciaio. La funzione può essere svolta anche dall’acqua salata, perciò molte acciaierie sono costruite in riva al mare. Sui consumi di acqua per l’acciaio, circolano dati discordanti. I minimalisti considerano solo l’acqua evaporata, ossia 10 m³ per tonnellata; i massimalisti,

tutta quella impiegata, ossia 250 m³ per tonnellata, considerando che l’acqua restituita è calda e inquinata. Anche l’alluminio si trova nella stessa condizione dell’acciaio; i dati sull’acqua utilizzata variano da 10 a 300 m³ per tonnellata. Ma l’acqua consumata dall’alluminio, non è solo quella per i processi di trasformazione, perché l’alluminio è uno dei prodotti industriali a più alto consumo energetico. Basti considerare che assorbe il 2 per cento di tutta l’energia elettrica prodotta a livello mondiale; per questo su molti fiumi che scorrono in prossimità delle miniere, sono state costruite delle dighe per produrre energia elettrica.

Serve acqua per produrre i computer; un solo microchip da 32 megabyte richiede 32 litri di acqua. Naturalmente l’acqua è un ingrediente fondamentale di tutti i prodotti industriali ottenuti con materie prime agricole. Un esempio è la carta che deriva dalla cellulosa di origine vegetale; il processo di trasformazione richiede 64 m³ di acqua, per ogni tonnellata di carta vergine prodotta, ma quella riciclata richiede solo 15 m³ per tonnellata. (Gesualdi F. 2007a)

Parlando di prodotti di origine industriale, non possiamo dimenticare il vestiario.

Prendiamo come esempio una t-shirt; la sua storia può cominciare in un campo di cotone dell’Africa, degli Stati Uniti o dell’Asia e subito capiamo che l’acqua svolge un ruolo irrinunciabile. In effetti per forzare la terra a rese produttive sempre più alte, si fa un uso sconsiderato di acqua, fertilizzanti e pesticidi. In molti casi i risultati sono: l’abbassamento delle falde acquifere, l’accumulo di sali nei terreni e la contaminazione ambientale. Nel suo percorso dal campo allo scaffale, il cotone subisce varie trasformazioni industriali e, ogni volta troviamo che la risorsa più penalizzata è l’acqua poiché se ne usa molta e perché viene restituita al territorio carica di sostanze chimiche; basti pensare al lavaggio, al candeggio, alla tintura. Anche in ambito calzaturiero, e in particolar modo nella fase di concia, l’acqua rappresenta la materia prima più sfruttata perché ce ne vuole tanta ed è ad alto rischio di inquinamento. Il processo consiste in vari trattamenti con sostanze chimiche, i passaggi sono una decina, e fra l’uno e l’altro, si effettuano abbondanti risciacqui per pulire le pelli da ogni residuo chimico prima della fase successiva. Prima i reflui conciari erano scaricati direttamente nei fiumi, con conseguenze disastrose, oggi le cose vanno un po' meglio perché la legge impone sistemi di depurazione più rigorosi ed efficienti. Per ridurre l’impatto dell’industria sull’acqua, è importante ridurre i nostri consumi e, orientarci sempre di più verso l’utilizzo di prodotti ottenuti con materiale riciclato. Un altro modo è obbligare le industrie a costruire cicli chiusi di acqua in modo da prelevarne il meno possibile dai fiumi e dalle falde. Negli Stati Uniti alcune acciaierie usano fino a 16

volte la stessa acqua, depurandola ogni volta in appositi serbatoi; lo stesso sta avvenendo in molte cartiere del mondo. L’inquinamento delle acque da uso industriale, è causato dallo scarico irrazionale di alcune sostanze che provengono dalla produzione. Alcuni composti chimici immessi nell’acqua, sono particolarmente dannosi per la salute dell’uomo e per la sopravvivenza di numerose specie. Sono ad esempio sostanze tossiche i cianuri delle industrie produttrici di antiparassitari e disinfestanti, il cromo residuo delle industrie di cromatura o di conceria, il cadmio delle industrie per la costruzione di pile e accumulatori. L’inquinamento industriale è dovuto dunque allo scarico nel terreno o direttamente in fiumi e mari, di acque contenenti sostanze tossiche e non biodegradabili, provenienti dalle varie lavorazioni. Un’altra forma di inquinamento è quello termico, che si verifica quando le industrie riversano nel mare o nei fiumi, tonnellate di acqua calda utilizzata per le loro lavorazioni. L’acqua più calda fa diminuire la solubilità dell’ossigeno in acqua, e porta a una variazione dei processi vitali e alla morte della flora batterica, causando anche moria di pesci e l’allontanamento di quelli che non sopportano temperature elevate. Infine l’emissione da impianti industriali di anidride solforosa e ossidi di azoto, provoca il fenomeno così detto delle “ piogge acide”, ossia la contaminazione dell’acqua piovana, che ha effetti devastanti sui laghi, fiumi e la flora in generale, determinando una riduzione dell’attività di fotosintesi e provocando gravi danni ai monumenti in pietra calcarea (che l’acido solforico trasforma in gesso).

Piuttosto che cercare nuove fonti sempre più costose e lontane è meglio sfruttare in modo più logico quelle esistenti tagliando gli sprechi, pianificando gli usi e razionalizzando le risorse idriche disponibili. Nello specifico sono importanti i seguenti interventi: uso di tecniche irrigue ad alta efficienza; uso di colture adatte alla specifica situazione meteo-climatica, sociale ed economica; riuso per l’irrigazione delle acque reflue depurate; sistemi di irrigazione di dimensioni ridotte; sistemi di drenaggio artificiale che permettano di evitare il fenomeno della salinizzazione; educazione e controlli sul corretto impiego di concimi e fitofarmaci; sostegno all’agricoltura biologica ed incentivi all’uso di fertilizzanti naturali ed insetti fitofagi; difesa delle terre più fertili da altri utilizzi (es. inurbamento). Infine, occorre sottolineare che il consumatore può fare molto per migliorare l’ambiente, semplicemente acquistando prodotti di stagione, di provenienza locale o nazionale, prodotti biologici oppure prodotti col marchio di qualità. (Gesualdi F. 2007b)

Nel documento LA MADRE ACQUA: alcune riflessioni (pagine 41-44)

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