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Il fattore linguistico nel recepimento delle direttive europee

1. La lingua del diritto dell’Unione europea e il linguaggio giuridico nazionale: una relazione complessa

Sin dalla nascita della Comunità economica, le istituzioni eu- ropee si sono poste come obiettivo principale – accanto al rispet- to delle diversità culturali e linguistiche, tutelate attraverso il prin- cipio del multilinguismo e della parità delle lingue ufficiali – an- che il «ravvicinamento delle legislazioni nazionali nella misura ne-

cessaria al funzionamento del mercato comune»2.

L’individuazione di tale obiettivo ha dato luogo, in questi decenni, a un intenso dibattito sia perché tale ravvicinamento può costitui- re un’interferenza negli ordinamenti giuridici degli Stati membri, sia perché l’adattamento dei sistemi giuridici nazionali al diritto del- l’Unione presenta numerose difficoltà. Un aspetto di queste difficoltà è sicuramente rappresentato dal recepimento delle direttive3.

Il processo di recepimento delle direttive illustra in maniera esem- plare come le scelte relative alle modalità di ravvicinamento e ar-

1Consigliere parlamentare anziano del Servizio per la qualità degli atti normativi del Senato

2Così l'articolo 3, lettera h), del trattato che istituisce la Comunità economica euro-

pea, fatto a Roma il 25 marzo 1957 e ratificato con la legge 14 ottobre 1957, n. 1203.

3M. Codinanzi, L'adattamento al diritto comunitario e dell'Unione europea, torino

2003; P. Rossi, Il diritto plurilingue europeo nella prospettiva del legislatore comuni-

monizzazione dei sistemi giuridici nazionali siano soggette a con- siderazioni di natura tanto giuridica quanto linguistica che le in- fluenzano in maniera sostanziale.

Poiché la direttiva è un atto normativo dell’Unione europea vin- colante in merito agli obiettivi, ma che deve essere attuato dai sin- goli Stati membri, questi ultimi possono scegliere la forma e le mo- dalità di integrazione nella legislazione nazionale senza necessaria- mente attenersi alla formulazione linguistica della direttiva, purché l’obiettivo normativo sia raggiunto.

I governi nazionali possono optare per una strategia di “adat- tamento” delle direttive stesse che, con ogni probabilità, compor- ta una traduzione intralinguistica con un ricorso, laddove possibi- le, ad equivalenti funzionali, oppure possono scegliere di adottare la forma e il linguaggio della direttiva, attraverso il cosiddetto “co- pia e incolla”, rischiando tuttavia di introdurre nell’ordinamento e nel linguaggio giuridico nazionale un’influenza “straniante”4.

4La terminologia è presa a prestito dalla teoria della traduzione e fa riferimento a

due opposti approcci: da una parte un approccio di “addomesticamento” secondo il quale il testo tradotto deve essere completamente adattato al contesto lingui- stico, giuridico e culturale di arrivo e deve pertanto essere indistinguibile da un testo scritto originariamente in tale lingua; dall'altra una concezione di “strania- mento” che punta a mettere in evidenza la natura “tradotta” del testo formatosi in un altro contesto linguistico, giuridico e culturale. Per quanto concerne l'applica- zione dell'uno o dell'altro approccio alla traduzione delle direttive, è stato notato che la scelta si fa ancora più complessa quando la direttiva contiene concetti o isti- tuti non presenti nell'ordinamento di arrivo; se, da un lato, l'introduzione di una norma siffatta senza una apposita integrazione nell'ordinamento esistente potrebbe risultare una “ricostruzione creativa della dottrina legale” dall'altro “il tentativo di rendere più docili i nuovi concetti equiparandoli a princìpi giuridici già esistenti nella dottrina nazionale comporterebbe una riduzione semplicistica dei concetti stessi": così h. Collins, e Voice of the Community in Private Law Discourse, in Eu-

anche nel caso delle direttive, ci si trova perciò dinanzi al pro- blema di fondo intrinseco dell’Europa: come riconoscere il valore della diversità e tuttavia promuovere l’uniformità5, nella consape-

volezza che le scelte linguistiche sono cariche di implicazioni giu- ridiche, politiche e culturali.

2. Il recepimento delle direttive: l’esperienza italiana

Elisabetta Silvestri ha poco fa brillantemente analizzato una rac- comandazione e i problemi legati ad una sua errata traduzione.

Per sottolineare la rilevanza del fattore linguistico nel recepimento delle direttive europee in Italia, non mi soffermerò sull’esame di sin- goli casi, sia pur significativi, ma ampiamente evocati in dottrina e oggetto anche di pronunce da parte del giudice nazionale.

Vorrei piuttosto attirare l’attenzione, in termini più generali, sul ricorso, a volte troppo generalizzato, alla tecnica del “copia e incolla” da parte dei soggetti deputati nel nostro ordinamento all’elabora- zione degli atti di recepimento.

Soluzione dettata forse dal timore di discostarsi troppo dal te- sto originario, da una certa frettolosità del lavoro redazionale o da una sottovalutazione delle implicazioni sottese a una trasposizione pedissequa di un testo da un sistema giuridico a un altro.

L’uso di questa tecnica impedisce quel necessario adeguamen-

5Si veda P. Catenaccio, Aspetti linguistici e discorsivi del recepimento nel diritto inglese della direttiva 1993/13/CE del Consiglio concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, in Il Linguaggio giuridico. Prospettive interdisciplinari, a

to alle regole stilistiche e linguistiche della nostra tradizione giuri- dica e fornisce avallo a un impiego disinvolto del lessico giuridico, che utilizza in maniera “atecnica” espressioni che hanno nel nostro ordinamento una ben precisa accezione, o ricorre indifferentemente a termini diversi, sia tecnici sia del linguaggio comune, per espri- mere un medesimo concetto. Con conseguenze rilevanti ai fini del- la corretta applicazione della normativa e della sua interpretazione.

Né, a mio avviso, è sempre possibile invocare, a sostegno di que- sta pratica, la tesi secondo cui il reiterato uso non pertinente di lo- cuzioni intimamente legate a singoli ordinamenti giuridici nazio- nali può contribuire a spogliare le medesime locuzioni della loro por- tata tecnica6.

Se è comprensibile che il legislatore europeo, nel processo di ela- borazione delle direttive, faccia riferimento a “macronozioni” e a un lessico neutrale, ovvero, se questo non è possibile, ad un lessico mu- tuato dalla lingua del Paese in cui la proposta di direttiva è stata ela- borata, un recepimento accorto deve diffidare di soluzioni rapide e automatiche per ricercare invece la massima chiarezza nella for- mulazione ed escludere il più possibile ogni fonte di equivoco.

In questa ottica, solo quando sia la corrispondenza semantica che quella concettuale sono sicure la direttiva può essere recepita copiando la versione italiana; negli altri casi si dovrà procedere a una rielaborazione, che tenga conto del contesto normativo in cui la nuo- va disciplina si inserisce.

6a sostegno di questa tesi si osserva, ad esempio, che nessun interprete assennato che

oggi rinvenga in provvedimenti di origine europea riferimenti alla “rescissione” del contratto richiamerebbe seriamente alla mente il rimedio concesso dagli articoli 1447 e 1448 del codice civile: così P. F. Giuggioli, Lingua e diritto: problemi e prospettive

Del resto il Consiglio di Stato, già nel 20027, ha stabilito che il

recepimento delle direttive deve essere eseguito analizzando il con- tenuto delle stesse e avvalendosi di definizioni che non costituiscano la traduzione letterale e pedissequa del testo in lingua originale. ha inoltre imposto di controllare che il concetto espresso nella diret- tiva sia coerente con lo stesso concetto, se già esistente, o con ana- loghi concetti, qualora si tratti di concetti nuovi, già presenti nel- l’ordinamento nazionale, identificando, a tal fine, le espressioni ver- bali più efficaci a trasporre, nel nostro linguaggio giuridico, i con- cetti che il legislatore europeo intendeva esprimere, e discostando- si, se necessario, dalla terminologia della direttiva, per utilizzare quel- la propria del nostro ordinamento giuridico.

Sappiamo che una riflessione è da tempo in atto e che si regi- stra negli ultimi tempi una maggiore sensibilità, a livello governa- tivo e parlamentare, circa la necessità di assicurare un più attento e consapevole recepimento delle direttive europee attraverso buo- ne pratiche che consentano di intervenire sin dalla fase di elabora- zione della normativa europea.

L’apporto che il Parlamento italiano, e in particolare il Senato, fornisce in sede di espressione di pareri, e quindi quale contributo all’elaborazione della normativa europea nella cosiddetta fase ascendente, è già oggi molto forte.

Basti pensare che ormai da anni il Senato è tra le Camere più attive in Europa per numero di pareri resi nella fase di formazione della legislazione dell’Unione.

Sempre più di frequente in tali pareri, come pure in quelli espres-

si dalle competenti Commissioni della Camera dei deputati, sono contenuti rilievi e osservazioni di carattere testuale, linguistico e sin- tattico.

Inoltre, vorrei citare una positiva iniziativa realizzata nei primi mesi del 2016 dalla Commissione ambiente del Senato che ha pro- mosso una consultazione pubblica sul pacchetto “economia circo- lare” presentato dalla Commissione europea per la revisione di di- rettive già in vigore in materia di rifiuti.

In questo contesto, tutti i soggetti interessati (cittadini, istitu- zioni, associazioni, imprese, portatori di interesse...) sono stati in- vitati dalla Commissione del Senato a trasmettere le loro osserva- zioni in risposta a un questionario sul contenuto e sull’impatto del- le proposte della Commissione europea.

tra le criticità individuate nei contributi pervenuti, quella re- lativa all’ambiguità e insufficiente chiarezza delle definizioni con- tenute nelle proposte legislative presentate dalla Commissione eu- ropea è stata forse quella evidenziata con maggiore frequenza.

I suddetti contributi sono stati presi in considerazione dalla Com- missione ambiente nella risoluzione approvata il 14 giugno scor- so, trasmessa alla Commissione europea nel quadro del dialogo po- litico e come atto di indirizzo al governo per i negoziati in sede di Consiglio.

3. Il recepimento delle direttive: uno sguardo comparato

Un esame delle buone pratiche e delle questioni sorte nelle espe- rienze di altri Stati membri può consentire di arricchire la riflessione sul tema.