Ciascuno dei fotografi (principalmente Parolini, Novi, Bulgari) che ha lavorato sui set di Bertolucci, mantenendo le personali cifre stilistiche (gestualità sospesa per Parolini, “scomunica del troppo reale” per Novi, deep focus ed eleganti dècadrages per Bulgari), sembra aver tacitamente dimenticato tutte le indicazioni (“Mai inquadrare un attore di spalle”, “Mai sfocare il soggetto principale”, “Ignorare le comparse”, ecc.) imposte dai direttori di produzione o dagli, spesso inflessibili, capi uffici-stampa.
Restituire senza musica, a volte senza colore, senza dialogo e senza movimento, il significato di un film: questo il primo, non semplice compito di un fotografo di scena; il secondo, (riservato ai più intraprendenti), potrebbe essere quello di realizzare il proprio film fatto di immagini fisse, ambientato dentro (ma anche fuori) la zona “intermedia” del set popolata di testimonianze, di dettagli segreti, gesti segreti che l’occhio “goloso” del “mangiatore di film” mai avrebbe conosciuto ed invece, grazie al lavoro di un talentuoso still- photographer, può scoprire ed apprezzare.165
«Nel cinema per raccontare una storia servono 24 fotogrammi al secondo. Il fotografo di scena, invece, deve raggiungere lo stesso obiettivo concentrando il tutto in pochi scatti»166. Deve realizzare, cioè, fotografie che abbiano una densità tale da rappresentare e raccontare il film.
Il fotografo di scena, che fa parte a tutti gli effetti della troupe, realizza le foto che saranno poi destinate all’ufficio stampa: le foto delle locandine, dei manifesti e quelle mandate ai vari giornali e riviste.
165 Op. Cit.,Marcello Garofalo, Bertolucci Images, p. 13
166 Quel fotografo è di scena, intervista ad Emilio Lari, in Professioni e Formazione, del
28/1/2009: www.lavorare.net/formazione/1151/quel-fotografo-e-di-scena, [ultima cons., 21/01/2013].
Dal punto di vista operativo, il fotografo di scena fotografa sulle luci del direttore di fotografia: è, quindi, un vero e proprio collega del direttore della fotografia, anche perché ha la possibilità di stare sul suo stesso punto di osservazione. Sta davanti alla macchina da presa per avere la stessa visione della macchina da presa.
Il fotografo di scena e il direttore della fotografia si aiutano, agiscono in sintonia e in pieno spirito di collaborazione. Si può affermare che sono a tutti gli effetti colleghi in quanto ad esempio, il direttore della fotografia aiuta il fotografo di scena quando terminano le riprese. Quando tutti gli attori e coloro che lavorano sul set vorrebbero andare subito via, il direttore della fotografia richiama l’attenzione dei presenti ed invita tutti a rimanere dicendo «Fermatevi... c’è la fotografia!». Gli attori, quindi, ripetono le battute per il fotografo di scena.167
Il fotografo di scena, di fatto, dovrebbe riuscire, attraverso i propri scatti, a cogliere in maniera obiettiva, cioè senza lasciar trasparire la propria interpretazione, i momenti ed i gesti rappresentativi di una scena. Essendo, però, la fotografia frutto di un particolare sguardo, a seconda delle personalità e rapporto che hanno instaurato con il regista, vi sono fotografi di scena che con i loro scatti sono riusciti a trasmettere una visione personale capace anche di creare deviazioni sull’andamento delle riprese.
Questo vale soprattutto, ma non solo, per i film di carattere sperimentale come quelli per cui fotografò Marilù Parolini agli inizi della propria esperienza nel cinema.
È evidente come, in un film senza sceneggiatura e costruito “giorno per giorno” la particolare visione del fotografo su di una particolare scena potesse donare una luce nuova, fonte di ispirazione per il girato dei giorni successivi.
167 M. Gatti, R.Guglielmin, La direzione della fotografia del cinema, Nuova arnica
Nel film What? di Roman Polanski c’era, ad esempio, il fotografo di scena Michael Cooper che stravolgeva completamente la storia. Questi stravolgimenti non erano graditi a Ponti, ma Roman Polanski li trovava importantissimi e, addirittura, li riteneva fonte di nuove ispirazioni.168
Bernardo Bertolucci ricorda l’eccezionalità dello sguardo di Angelo Novi, uno dei fotografi di scena che maggiormente collaborò con lui, come capace di catturare quelle sfumature che il regista è impossibilitato a cogliere.
Le tue foto mi rendono invidioso. Mi rubi i miei attori, mi rubi le scenografie, le luci, mi rubi la mia stessa messa in scena. Ne ricavi delle foto straordinarie, con angolazioni, sfumature, improvvisi trasalimenti, sguardi clandestini, che io, ancorato al film, non sarò mai in grado di cogliere.169
Chi, come Angelo Novi e Marilù Parolini, è riuscito a restituirci, attraverso le proprie foto, un altro film (un film personale), ha scavalcato il proprio ruolo di fotografo di scena attivando un processo creativo che è andato ad influire in primis sulle idee del regista e quindi sullo spettatore il quale, venendo a contatto con questo “secondo film”, potrà godere di un accesso privilegiato a quello che Garofalo definisce “inconscio del cinema”.
Nel percorso fotografico che si snoda dinanzi ai nostri occhi, creando noi stessi il movimento del cambio di scena, finiamo paradossalmente per “abitare una distanza” come Pier Aldo Rovatti sostiene a proposito dell’etica del linguaggio […]
In un movimento che potrebbe divenire abissale, lo spettatore, dinanzi ad una esposizione di immagini-cinema, che ambiscono ad essere “sintesi ideale”, […] ha l’illuminazione che proprio il riuscire a stare in tale scarto tra la sua memoria
168 Ivi.
169 Dichiarazione di Bernardo Bertolucci in op. Cit., Marcello Garofalo, Bertolucci Images, p. 9.
affettiva legata ai film e la sua reazione verso la fotografia che blocca una sola realtà del film medesimo, può fargli abitare la distanza di cui abbiamo detto, affidandosi ad un inconscio del cinema, quasi un inconscio dell’inconscio.170 Questa possibilità di esprimere il non espresso da parte del fotografo di scena sta diventando sempre meno attuabile: negli ultimi anni il mestiere del fotografo di scena sta cambiando: «Prima il fotografo di scena faceva una serie di foto – spiega Lari – che poi venivano vendute agli esercenti per pubblicizzare il film e venderlo. Si lavorava dall’inizio alla fine delle riprese. Oggi si viene chiamati solo due o tre volte a settimana per documentare, perché al posto delle foto si manda direttamente il film. E poi non ci sono più i compensi di una volta»171.
La figura del fotografo di scena sta pian piano sparendo: eccetto rari casi non esiste quasi più una figura che lavora a tempo pieno durante tutte le riprese facendo parte effettiva della realizzazione del film.
«Sempre più spesso il fotografo (che cura gli special per le riviste, per le televisioni) viene chiamato solo in momenti importanti del film oppure quando tutti gli attori sono presenti»172. Si sta perdendo, così, la possibilità di quella magia fotografica esprimibile soltanto da chi, essendo parte del film, non si limitava a fotografarne alcune scene scelte, ma ne poteva catturare l’inconscio restituendoci immagini magari mai proiettate sul grande schermo.