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NELLA COMUNICAZIONE DIGITATA

3. Il Giappone alla ricerca di un linguaggio Cool

A livello linguistico, la diffusione di identità metroetniche e metrolinguistiche comporta molteplici conseguenze ed evidenzia la problematicità dell’utilizzo stesso di un’etichetta quale ‘lingua giapponese’, ‘code-switching o ‘multilinguismo’4; al giorno d’oggi, infatti, ogni forma di comunicazione non può prescindere dall’integrare al suo

interno vocaboli stranieri (cfr. Takahashi 2001), e il multilinguismo è la norma, più che l’eccezione. Anche il Giappone è in qualche misura una società multilingue, in cui

multilinguals do not necessarily have a perfect or nativelike command of all the languages (or codes, as these languages or language varieties have come to be called) in their verbal repertoires. Multilingualism involving balanced, nativelike command of all the languages in the repertoire is rather uncommon. Typically, multilinguals have varying degrees of command of the different languages in their repertoires. (Saville-Troike 1996, 50)

Maher applica questa idea di multilinguismo al Giappone, sostenendo che «⽇本は多 くの⼈々が⽇本語以外の⾔語も使⽤して⽣活しているバイリンガル社会である と⾔える» (il Giappone si può definire una società bilingue, in cui la maggior parte delle persone utilizza nella propria vita anche idiomi altri dal giapponese; 1991, 7; trad. dell’Autore). ‘Bilingue’ o ‘multilingue’ è quindi non solo colui che ha una padronanza completa di una o più lingue altre da quella madre, ma anche chi le padroneggia solo di parte.

Lo stile di vita multiculturale che oggi si respira soprattutto nelle grandi metropoli giapponesi, in primis la capitale Tokyo in cui è evidente «the influence of the telecommunication and Internet culture of today» (Noriyuki 2006, 81), permette infatti l’intersezione di più speech communities, da cui deriva la necessità di sviluppare forme di competenza linguistica che consentano all’individuo di interagire in maniera efficace all’interno di una società globalizzata, caratterizzata da «new possibilities of local/global affiliation, which have not been imagined before» (Pennycook 2010, 592). Tale necessità, quasi scontata per gli stranieri residenti nell’arcipelago che devono imparare un idioma altro dalla propria lingua madre, si estende anche ai giapponesi stessi e soprattutto alle nuove generazioni, le quali si trovano a convivere con, e in parte ad assorbire, modelli culturali e linguistici altri, e quindi a sviluppare così quella ‘flessibilità linguistica’ già introdotta all’inizio del capitolo.

Negare il fatto che oggi assistiamo in tutto il mondo a fenomeni di contatto culturale e linguistico è anacronistico e limita la comprensione delle lingue moderne, le quali, per stare al passo con un mondo in continua evoluzione, prendono a prestito elementi le une

dalle altre. È importante però ricordare che tali fenomeni, seppur accelerati dallo sviluppo tecnologico, non sono una novità dell’età contemporanea, ma nelle loro forme più svariate caratterizzano la lingua e la cultura nipponica da sempre:

⽇本語でも「天麩羅」がポルトガル語あるいはスペイン語からの借⽤で あることや、「旦那」がサンスクリット語にまで遡れることは、知識が なければすでに分からなくなっている。漢字で表記されていると、つい 勘違いしてしまいがちだ。いや、そもそも漢字そのものが借⽤されたも のではないか。 借⽤にも⾊々ある。⾳そのまま取り⼊れるのではなく、意味を置き換え て新しく作る翻訳借⽤というものもある。英語の telephone のもとに、 phone を「電」、tele を「話」と訳して「電話」とする。同じように telegram では gram を「報」と訳して「電報」になるといった具合だ。 Anche in giapponese non vi è consapevolezza che ‘tenpura’ è un prestito linguistico dal portoghese o dallo spagnolo, e che ‘danna’ (marito, sir N.d.T) risale fino al sanscrito; poiché infatti [questi vocaboli] sono trascritti in kanji, si tende a fraintenderli. Anzi, i kanji non sono forse essi stessi un prestito linguistico?

Ci sono tante tipologie di prestiti linguistici. Per esempio, i calchi, in cui non vi è l’introduzione di un fonema tale e quale, ma la costruzione di un nuovo lessema modellato sul significato [del vocabolo originale]. Nel termine ‘denwa’, modellato sull’inglese telephone, ‘den’ sta per phone e ‘wa’ per tele. Allo stesso modo in telegram, gram viene tradotto ‘hō’ che in unione con ‘den’ genera ‘denpō’. (Kuroda 2011, 37; trad. dell’Autore)

Prestiti linguistici come quelli appena citati sono quindi parte della storia del Giappone ben prima della diffusione della telefonia mobile, e le loro manifestazioni nella messaggistica istantanea sono solo una declinazione dei molteplici fenomeni di contatto linguistico che hanno portato alla formazione della lingua giapponese come la conosciamo oggi.

Inoltre, i nati successivamente allo scoppio della bolla speculativa agli inizi degli anni ’90 non hanno conosciuto il Giappone ai tempi del boom economico, ma solo la

stagnazione economica e il declino demografico del ushinawareta jyūnen ‘il decennio perduto’ (poi diventato il ushinawaeta nijyūnen ‘il ventennio perduto’); è quindi ipotizzabile che le nuove generazioni tendano ad essere più critiche verso un modello economico e culturale che non è più in grado di assicurare loro alcuna sicurezza lavorativa, e di conseguenza più aperte verso modelli stranieri. La combinazione di questi due fattori, il progresso tecnologico da una parte e un contesto socioeconomico radicalmente diverso rispetto a quello delle generazioni precedenti dall’altra, ha portato ad un uso maggiore tra i digital natives di registri non standard, dando così origine a un nuovo paradigma: «cultural difference as cultural cool» (Maher 2005, 90).

Con questa affermazione, non è nostra intenzione sottovalutare fenomeni discriminatori quali il razzismo, con cui ancora oggi le comunità straniere residenti in Giappone si devono purtroppo confrontare, ma riteniamo utile evidenziare l’emergere di un modello culturale alternativo che può aiutarci nell’interpretazione del MIM e delle pratiche sociali adottate dai digitial natives, suoi maggiori fruitori.

3.1. MIM? Cool!

La messaggistica istantanea in particolare, anche per la sua natura più informale rispetto ad altri mezzi di comunicazione, favorisce atti di trasgressione linguistica ed esemplifica una maggiore consapevolezza del rapporto che intercorre tra linguaggio ed identità da parte dei suoi utenti, i quali manipolano a proprio piacimento stili e linguaggi di speech communities spesso diverse da quella di riferimento:

both Japanese and ethnic minorities ‘play’ with ethnicity (not necessarily their own) for aesthetic effect. It involves a cultural crossing, self-definition made up of borrowing and do-it-yourself, a sfumato of blurred ‘identities’, what one might term Metroethnicity. The operating system of this Metroethnicity is Cool. Ethnic absolutism is out. Cool is in. (Maher 2005, 89)

È evidente quindi come, in netto contrasto con le teorie espresse dalla prima e dalla seconda corrente di studi sociolinguistici, le quali «focused on apparently static categories of speakers and equated identity with category affiliation» (Eckert 2012, 93), non vi è più

un rapporto binario tra identità e linguaggio, in cui il secondo è ovvia conseguenza della prima e il parlante è soggetto passivo delle convezioni sociali a lui imposte.

Il MIM inteso non solo come modalità di comunicazione ma anche come spazio virtuale in cui la comunità di utenti interagisce e si confronta, diventa luogo privilegiato per studiare il nuovo rapporto che lega linguaggio ed identità, poiché soprattutto nel registro digitato si manifesta il rifiuto delle categorie tradizionali, in primis l’etnia, come unici criteri di costruzione identitaria; ad esse, si sostituisce il principio di Cool e la ricerca di un linguaggio che, più che prestigio, ricerca esteticità ed espressività. Le modalità di comunicazione che sfruttano la connessione ad Internet, di cui la messaggistica istantanea è esemplificativa, riflettono infatti una società dalle molte sfaccettature, caratterizzata dall’incessante scambio di informazioni attraverso la rete, in cui l’individuo ha a propria disposizione svariati strumenti linguistici che gli permettono, e gli richiedono, di adattarsi a molteplici situazioni.

Uno degli aspetti più interessanti che emergono dall’osservazione della comunicazione digitata nel suo svolgersi è la consapevolezza che gli utenti dimostrano nella scelta dello stile e del registro linguistico da utilizzare. Inoltre, la dimensione scritta del MIM permette di osservare varianti ortografiche, spesso utilizzate con scopi stilistico- pragmatici, non indagabili nell’oralità. L’uso, formalmente irregolare ma ormai socialmente accettato, che gli utenti del MIM fanno oggi dei sistemi di trascrizione della lingua giapponese, i quali saranno analizzati nel dettaglio nel prossimo capitolo, è esemplificativo della ricerca di un linguaggio dai confini sfumati, che integra al suo interno elementi ibridi pur mantenendo una propria identità giapponese. Nello stesso modo in cui il ragazzo incontrato a Shibuya si appropria di un’identità etnica (o meglio, metroetnica) pur senza avere la padronanza linguistica che solitamente l’accompagna, l’integrazione, per esempio, di vocaboli di matrice anglofona all’interno della lingua giapponese, favorita nel MIM dalla possibilità di cambiare facilmente sistema di scrittura, non rappresenta una negazione dell’identità o della lingua giapponese; piuttosto, la lingua inglese e l’identità etnica ad essa associata diventano sue integrazioni, da usare o scartare a proprio piacimento, per creare forme metrolinguistiche (Otsuji 2015, 106) attraverso le quali l’utente crea nuove possibilità espressive. Di conseguenza, non vi è un rifiuto del concetto di etnia di per sé, ma ad esso si accompagnano oggi molteplici identità

linguistiche e culturali che rispecchiano l’eterogeneità della società odierna e rispondono alla necessità di essere Cool.

In questo secondo capitolo, in continuazione con il primo, abbiamo proseguito con l’analisi teorica del contesto sociale e linguistico in cui si colloca la messaggistica istantanea. Nel prossimo, vedremo come i concetti fino ad ora presentati si manifestano nella pratica comunicativa; per fare ciò, abbiamo deciso di restringere il campo d’analisi ad un espediente linguistico già più volte citato, il quale si manifesta nel MIM in lingua giapponese e contribuisce a produrre una comunicazione espressiva: l’uso innovativo del katakana, e dei prestiti linguistici ad esso in qualche misura connessi. Speriamo così che la nostra ricerca, seppur limitata e non sufficiente a presentare la varietà del linguaggio digitato nel suo complesso, possa essere in qualche misura rappresentativa di alcuni degli espedienti comunicativi che determinano un linguaggio Cool in Giappone nel contesto della messaggistica istantanea.