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Il Giappone grande potenza: ascesa e disfatta

1905-1914

A dispetto della nuova posizione di egemonia nell'Asia nordorientale guadagnata dopo il 1905, il Sol Levante continuò a vivere in un clima irrequieto. Gli strascichi di Portsmouth portarono Katsura alle dimissioni e al nuovo governo di Saionji, pupillo di Itō e presidente del Seyūkai; egli però cadde a metà del 1908 e Katsura tornò all'esecutivo, riuscendo a creare nel 1911 (appena prima di dimettersi) la Tokubetsu

Kōtō Keisatsu, una "polizia del pensiero" con la funzione di combattere le idee

socialiste ‒ per estensione, di controllare la popolazione. L'esercito aveva sviluppato l'ossessione di una guerra vendicativa zarista e premeva perché le conquiste sul continente asiatico fossero speditamente proseguite, approfittando del ridimensionamento russo e del caos in Cina ove, nell'ottobre 1911, la dinastia regnante Manchu era stata rovesciata dalla rivoluzione repubblicana del generale Yuan Shi-kai (1859-1916). La Manciuria, in particolare, era considerata essenziale ai fini della difesa strategica del paese, seguita dalla porzione più settentrionale della Cina propriamente detta (province di Jehol, Chahar, Hebei, Shanxi, Shantung) e dalla Mongolia interna. Il resto del Gabinetto civile, e in particolare il ministero degli Esteri, consigliava invece la prudenza circa le successive mosse nipponiche in Cina per diversi motivi: rappresentava un notevole bacino commerciale, esisteva il principio della Porta aperta e, soprattutto, non bisognava inimicarsi l'Occidente, perché il Giappone dipendeva dal commercio estero e marittimo; in primis con Regno Unito e Stati Uniti, ma pure con le colonie occidentali presenti in gran numero in Asia. In questo i governi si trovarono spesso d'accordo con i rappresentanti della marina militare, le cui navi erano costruite e spinte in grande misura da materie prime provenienti dall'estero. Al contrario questo rapporto di dipendenza economica dall'Occidente non era ben percepito nei ranghi dell'esercito (per nulla meccanizzato), i cui generali e massimi capi tendevano a vedere i problemi in un'ottica squisitamente militare: furono così poste le premesse per la fine di una

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strategia armonica tra i due servizi, dal 1907 divisi da un'animosa rivalità. La morte dell'imperatore Mutsuhito nel luglio 1912 e l'arrivo al trono del figlio Yoshihito/Taishō Tennō (1879-1926) debole nel fisico e nello spirito, complicarono i delicati equilibri di potere nello Stato nipponico: difatti, dopo la caduta del governo Saionji causata dall'esercito, si formò un terzo Gabinetto Katsura che, tuttavia, divenne obiettivo di una mozione di sfiducia formulata dal Seiyūkai e dal Rikken Kokumintō ("Partito nazionalista costituzionale", nato nel 1910). Katsura ottenne un'ordinanza dell'imperatore che la condannava, ma l'atto fu ignorato ed egli, nel 1913, si dimise dopo pericolosi cortei popolari ma non prima di aver formato un proprio partito, il

Rikken Dōshinkai ("Associazione degli alleati della Costituzione").27 Il successivo esecutivo Yamamoto, a sua volta durato poco, prese però provvedimenti contro l'ingerenza dei militari in politica e quell'anno stesso soppresse la legge che imponeva di assegnare i ministeri delle due armi a ufficiali in servizio attivo.28

In politica estera, oltre a curare le relazioni con le principali potenze, si puntò a rafforzare la penetrazione economica in Cina e la difesa degli "speciali interessi" nella Manciuria che, per quanto fosse a tutti gli effetti una provincia di Pechino, già da prima del 1905 era considerata in Giappone una dipendenza quantomeno economica. Tokyo poteva impugnare l'accordo Taft-Katsura e il rinnovo dell'alleanza con i britannici, avvenuto nel 1907, dove si faceva riferimento proprio a speciali interessi. Che fosse una formula un po' vaga è indubbio e, difatti, si prestava pure all'interpretazione più larga che allora le dettero ministri e ufficiali giapponesi: preminenza imperiale in Manciuria allo scopo di proteggere denaro, cittadini e investimenti giapponesi e di erigere un saldo muro a difesa del confine settentrionale del protettorato di Corea, assorbita nell'agosto 1910 a seguito dell'assassinio del grande statista Itō nell'ottobre 1909. L'acquisizione della concessione del Kwantung rafforzò sia questa convinzione, sia le possibilità di investimenti nella Manciuria stessa la quale, nel 1907 e 1910, fu oggetto di un compromesso con la Russia che la divideva in un settentrione a preminenza russa e in un meridione a predominio giapponese. Le attività economiche nell'area furono principalmente portate avanti dalla Compagnia della Ferrovia della Manciuria meridionale (Mantetsu); essa formò un sodalizio con la guarnigione della concessione,

27 Henshall, Storia del Giappone, pp. 142-143, 157-158; Norman, La nascita del Giappone moderno, cit.,

pp. 219-220; Paine, The Japanese Empire, cit., pp. 74-75, 90. Per lo scontro tra esercito e marina sulla strategia migliore da adottare cfr. in particolare Matsusaka, The Making of Manchuria, cit., pp. 95-100 e Ramon H. Myers, Mark R. Peattie (a cura di), The Japanese colonial Empire, 1895-1945, Princeton University Press, Princeton (NJ), 1984, pp. 67-68.

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dal 1919 detta Armata del Kwantung, che doveva molto contribuire a destabilizzare la regione e i rapporti di potere tra periferia e centro.29

Infine è importante sottolineare la crescita e la ramificazione del discorso sull'imperialismo giapponese. Dagli anni 1880 i partiti liberali, siccome antigovernativi, avevano adottato un'accesa retorica espansionista da dirigere verso sud o verso il continente e rinfacciavano puntualmente all'oligarchia, poi al Gabinetto, l'incapacità di scrollarsi di dosso i trattati ineguali: la Dieta fornì loro il palcoscenico adatto per perorare una forte politica estera e, nel 1894, furono compattamente uniti nella scelta per la guerra. L'acquisizione di Taiwan e di una forte influenza in Corea accelerarono i richiami alla grandezza e alla missione del Giappone in Asia. Ukita Kazutami, direttore del giornale Taiyō (favorevole alla Costituzione e cristiano) divenne noto per la sua spiegazione dell'imperialismo, «la tendenza del momento» cruciale per il rafforzamento della nazione e da affiancare al potenziamento della carta costituzionale; dal connubio doveva nascere un Giappone democratico, cosmopolita e proteso all'aiuto materiale dell'Asia arretrata ‒ da forzare in caso di resistenze. Qualche voce dissonante provenne dal "gruppo degli asiatici", trasversale al mondo politico e annoverante anche il principe Konoe Atsumaro, che affermava l'appartenenza profonda del Giappone all'Asia e, pertanto, l'immoralità dell'imperialismo in Cina, Corea e Oceano Pacifico; inoltre erano critici sull'accettazione straniera del Giappone solo perché parzialmente occidentalizzato. Tra costoro i fratelli Miyazaki, attivisti liberali, conoscevano le miserie rurali e ritenevano indispensabile una rivoluzione in Cina per dare l'esempio agli altri paesi asiatici, Giappone compreso.30

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UERRA E LE RIPERCUSSIONI ASIATICHE

L'avvio della prima guerra mondiale assestò un forte colpo agli equilibri mondiali, compresa la sistemazione dell'Estremo Oriente. Fu anche il volano a lungo cercato per l'apparato economico del Giappone che, sino al 1914, aveva vissuto in una peculiare ubiquità: nei confronti dell'Europa e dell'America era un produttore di materie prime e

29 Beasley, Japanese imperialism, cit., pp. 98-100; Paine, The Japanese Empire, cit., pp. 80-82; Louise

Young, Japan's Total Empire. Manchuria and the Culture of Wartime Imperialism, University California Press, Los Angeles, 1998, pp. 29, 31.

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una fonte di migranti (per quanto duramente ostacolati); paragonato a popoli arretrati e al resto dell'Asia, al contrario, forniva prodotti finiti ed era uno dei paesi che godeva dei privilegi del sistema dei trattati e della Porta aperta. Siccome le economie delle maggiori potenze erano completamente votate alla produzione militare e al foraggiamento dello sforzo bellico, il Giappone poté finalmente crearsi un bacino personale di commercio: in particolare conquistò vaste fette dei mercati statunitense, cinese e britannico con svariati tipi di prodotti tessili; fornì inoltre in quantità esponenziale manufatti finiti nell'area asiatica. Tra il 1914 e il 1918 la cantieristica mercantile passò da 51.500 a 626.000 t varate annualmente, aumentò il numero di veicoli a motore nel paese, la griglia ferroviaria aggiunse altri 500 chilometri di rotaie; ma soprattutto il Giappone divenne creditore di 3.035 milioni di yen, quando al 1913 soffriva ancora un debito (derivato dalla guerra contro la Russia) di quasi 550 milioni. Non solo. La classe dirigente sfruttò una clausola dell'alleanza con Londra, ancor prima che i britannici la contattassero, per dichiarare guerra alla Germania guglielmina e conquistare così i possedimenti tedeschi in Cina e nell'oceano Pacifico. La base navale a Tsingtao nello Shantung fu occupata entro il novembre 1914; furono poste sotto controllo anche le isole Palau, Caroline, Marshall e Marianne eccettuata Guam, statunitense.31

Il ruolo marginale nella guerra consentì inoltre a Tokyo di analizzarne lo svolgimento e le caratteristiche; specialisti ed esperti erano rimasti scioccati nel vedere che le potenze si combattevano con tutte le forze dal 1914, senza crollare nell'arco di 12-18 mesi come pronosticato. La guerra totale impressionò i militari nipponici e uscirono studi sul concetto, tra i quali quello più letto e acclamato (Teikoku kokubō

shigen, "Le risorse per la difesa nazionale dell'Impero" dell'agosto 1917) era stato

redatto dal maggiore Koiso Kuniaki. Le coeve ostilità avevano dimostrato che la vittoria e la sconfitta ruotavano attorno allo sforzo economico: pertanto, in preparazione a una nuova guerra totale, il Giappone avrebbe fatto bene a sviluppare una funzionale rete di cooperazione tra il governo e le grandi industrie e arrivare all'autosufficienza autarchica. Quest'ultima giaceva in Cina, secondo il maggiore, la quale doveva essere guidata (o tramite un'alleanza o con la forza) in una grande trasformazione economica per produrre, in grandi quantità e a prezzi convenienti, ferro, carbone, petrolio, stagno, derrate alimentari; non solo, prospettava un'unione doganale tra i due paesi e la nascita

31 Gatti, Il fascismo giapponese, cit., pp. 12-17, cfr. 18-24 per approfondimento sugli zaibatsu; Storry,

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di un blocco esclusivo sino-giapponese. Koiso si spendeva poi in dettagli su come promuovere lo sviluppo e garantire al massimo le comunicazioni. Il suo scritto, ispirato dalle ben note idee dell'esercito sulla Manciuria, vantava però una dimensione nuova, quasi vitale dell'impero, rimodellato da limes ad àncora di salvezza del kokutai, e neanche velatamente assegnava al solo esercito il ruolo di protagonista in simile impresa.32

Agguantando al volo l'occasione che la guerra planetaria aveva generato, il Giappone aveva già agito in un certo senso per scalzare l'egemonia occidentale in Cina e sostituirsi nello sfruttamento del paese, o quantomeno di riuscire a presentare alle capitali europee il fatto compiuto e vedersi riconoscere una parte dei guadagni effettuati. Nel gennaio 1915, dopo laboriose discussioni agli Esteri e il nullaosta del governo Ōkuma (1838-1922) e dell'imperatore Taishō, il rappresentante giapponese a Pechino sottopose le Ventuno richieste a Yuan e al suo vice, il politico Sun Yat-sen (1866-1925) fondatore del Chun-guo Kuomintang o "Partito nazionalista cinese". Il documento era organizzato in cinque gruppi di domande per il governo repubblicano; i primi quattro non erano poi molto diversi dai privilegi già ben noti dai trattati ineguali, ma l'ultimo pacchetto prevedeva la nomina di consiglieri giapponesi nei settori chiave dell'esecutivo, il comando condiviso degli organi di polizia, la concessione di costruzione di ferrovie nel nord del paese e, infine, la sostanziale cessione della provincia del Fukien (dirimpetto a Taiwan). Yuan e Sun opposero un rifiuto tanto adamantino da convincere Yamagata e i pochi altri genrō a indurre Ōkuma e il ministro degli Esteri, Katō Takaaki (1860-1926) leader del Dōshinkai e discepolo di Komura, a rimuovere il quinto gruppo. Dopo tale modifica e altri aggiustamenti di dettaglio, nel maggio 1915 la Cina accettò le proposte nipponiche che, in sostanza, furono poco più di un ribadire gli interessi e i privilegi giapponesi già esistenti, eccettuato il prolungamento della concessione del Kwantung da 25 a 99 anni (sarebbe dunque spirata nel 1997), l'acquisizione della compagnia sino-giapponese che lavorava i giacimenti di ferro di Hanyeping e il diritto per cittadini giapponesi di circolare, commerciare, coltivare e costruire liberamente nella Manciuria meridionale ‒ una flagrante infrazione della Porta aperta. La mossa fu un disastro diplomatico perché dette nuovamente adito ai sospetti nutriti dagli anglosassoni sui reali obiettivi giapponesi in Cina che, ora era chiaro, prevedevano la preminenza imperiale. Il Regno Unito non ritenne più opportuno

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mantenere l'alleanza con il Giappone e, posto di fronte al bisogno di difendere i propri interessi in Oriente e intuito il primato economico-finanziario che gli Stati Uniti avevano raggiunto grazie al conflitto, si riavvicinò agli Stati Uniti. In caso di problemi in Asia orientale il depauperato Impero britannico avrebbe potuto contare sull'appoggio di Washington, in cambio del sostegno alla Porta aperta.33

Alla conferenza di pace di Parigi il Giappone vide riconosciute le conquiste effettuate e divenne un membro fondatore della Società delle Nazioni. Ma le delegazioni occidentali rifiutarono categoricamente l'idea, avanzata dalle rappresentanze giapponese e cinese, di includere nel carta del patto della Società una clausola di eguaglianza razziale. In particolare l'Impero giapponese aveva a cuore l'integrazione di un simile articolo per vedersi riconosciuto, senza mezzi termini o discriminazioni, lo status di potenza. Il secco diniego delle potenze vincitrici, ben comprensibile considerati i loro imperi coloniali, fu però vissuto come uno smacco umiliante e con profonda frustrazione. In tutto il Giappone non si capiva il perché di tale gesto né l'atteggiamento scostante delle grandi potenze, cui Tokyo apparteneva di fatto: la risposta al tormentoso dilemma sia secondo il comune cittadino, sia per ministri in posizioni di alta responsabilità, sia tra gli ufficiali delle forze armate, era razzismo. Nel quindicennio che va dalla vittoria sulla Russia alla pace di Versailles le reazioni, naturali, delle potenze alla sorprendente ascesa del Giappone furono facilmente travisate come un preciso piano, un complotto, per soffocare il giovane impero e impedirgli di godere di un sacrosanto "posto al sole".34

La diffidenza dell'Intesa fu alimentata nei mesi immediatamente successivi alla conferenza di Parigi da due altri avvenimenti. In Siberia, dalla primavera 1918, resisteva un baluardo dell'Armata bianca antibolscevica che in estate si decise di aiutare; in questo modo si sarebbe potuto anche trarre in salvo la cosiddetta "Legione cecoslovacca" e impedire che i materiali, i rifornimenti e il porto di Vladivostok cadessero in mano dei bolscevichi. La presenza militare occidentale fu mantenuta dall'agosto 1918 all'ottobre 1920, ma l'esercito imperiale aumentò sino a 73.000 uomini il contingente nelle province marittime russe e rimase nella regione per altri due anni, presidiando un vasto territorio tra Vladivostok e il lago Bajkal. Nell'estate 1920 i

33 Henshall, Storia del Giappone, cit. pp. 160-161; Paine, The Japanese Empire, cit., pp. 91-92; Patrick

Clancey (a cura di), International Military Tribune for the Far East, trascrizione dei volumi dattiloscritti al processo di Tokyo, HyperWar Foundation, pp. 46-47. In effetti le legislazioni della West Coast statunitense erano originate da un sincero disprezzo razzista per le masse di migranti nipponici.

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bolscevichi commisero un massacro di antirivoluzionari, cittadini e soldati nipponici a Nikolaevsk, e Tokyo rispose con l'occupazione della metà settentrionale di Sachalin. Il governo del celebre maresciallo Terauchi Masatake (1852-1919) ritenne necessario occupare in permanenza quella parte di Siberia, spinto dall'ardente anticomunismo e impaziente di sfruttare al meglio le occasioni presentategli dalla conflagrazione mondiale per formare un vasto Stato cuscinetto e alleato nell'Estremo Oriente russo e precludere iniziative economiche statunitensi come avvenuto nel 1905-1906.

Il 1º marzo 1919 in Corea e il 4 maggio 1919 in Cina si verificarono manifestazioni di inusitata grandezza a carattere culturale, nazionalista e anticoloniale. In Corea le folle chiedevano la fine del regime d'occupazione giapponese, il ritorno dell'indipendenza e soltanto allora il ristabilimento di un rapporto paritario tra Seul e Tokyo. In Cina, al contrario, le proteste erano indirizzate al sistema dei trattati e alle ingerenze occidentali ma, presto, emerse l'acuto scontento per l'ipotizzata cessione dello Shantung all'Impero giapponese. Il fenomeno coreano, però, che traeva diretta ispirazione dai Quattordici punti wilsoniani e si era saldato ai funerali del deposto imperatore Kojong, era quello che più allarmò i giapponesi e che ricevette l'attenzione mondiale: la brutale reazione nipponica, tra arresti e uccisioni, provocò un tale terremoto politico che il Governatore generale dovette dimettersi.35

Il governo allora, che dal settembre 1918 era nelle mani del conservatore presidente del Seyūkai Hara Takashi (1856-1921), impresse una sterzata decisa alla rotta nazionale. Assertore di un impero multietnico, ben saldato tra le sue componenti, Hara avviò una riforma di stampo moderatamente liberale nell'amministrazione coloniale e nei rapporti tra madrepatria e possedimenti: il provvedimento più noto fu l'apertura delle cariche di Governatore generale nelle colonie personalità civile. In politica estera decise che l'intervento nell'Estremo Oriente russo doveva finire, in ciò appoggiato dal ministro della Guerra generale Tanaka Giichi (1864-1929); accondiscese dunque a partecipare alla conferenza di Washington apertasi nell'ottobre 1921 e riguardante una vasta gamma di argomenti di politica internazionale. Ne scaturirono tre documenti differenti. Un trattato navale decise le quote di naviglio capitale, ovvero navi da battaglia, incrociatori da battaglia e portaerei, detenibili dalle principali potenze navali e Stati Uniti, Regno Unito e Giappone (le prime tre) ebbero riconosciuti i limiti

35 Beasley, Japanese imperialism, cit., pp. 158-162; Paine, The Japanese Empire, cit., pp. 92-94;

Matsusaka, The Making of Manchuria, cit., p. 235; Jun Uchida, Brokers of Empire. Japanese Settler Colonialism in Korea, 1876-1945, Harvard University Press, Cambridge (MA), 2011, pp. 143-144.

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di 500.000 e 300.000 tonnellate nel famoso rapporto 5:5:3: decine di unità sullo scalo, oppure quelle più obsolete, dovevano dunque essere demolite e, per il Giappone, ciò significò la rinuncia al grandioso programma "8-8" ‒ otto corazzate e otto incrociatori da battaglia, ritenuto il minimo indispensabile per reggere un eventuale confronto con la United States Navy. Nel trattato delle Quattro potenze Stati Uniti, Regno Unito, Giappone e Francia si impegnarono a non costruire fortificazioni o a non incrementare le proprie forze militari nei possedimenti asiatici a nord di Singapore e a ovest delle isole Hawaii; in questo trattato fu, in un certo senso, amalgamata l'alleanza anglo- giapponese del 1902, sebbene non fosse stata rinnovata come previsto nel 1921. Infine nel trattato delle Nove potenze tutti gli Stati con interessi in Cina accettavano di non imporre ulteriori trattati ineguali unilaterali, in altre parole accettavano l'ufficializzazione della Porta aperta. Notare che, in questo terzo documento, il Giappone rinunciava espressamente all'occupazione dello Shantung, che tornava alla Cina, eccettuati i diritti ferroviari e lo sfruttamento di miniere di sale, condivisi tra Tokyo e Pechino. In seno alla marina imperiale, però, si consumò un confronto tra il ministro ammiraglio Katō Tomosaburō (1861-1923) e il suo consigliere viceammiraglio Katō Kanji (1870-1939) che recriminava per il colpo gravissimo inferto alle legittime aspirazioni nipponiche, al prestigio della Marina e alle capacità di difesa del kokutai. A parer suo, e poi di vasta parte dell'opinione pubblica, il Sol Levante era stato declassato al secondo posto per ragioni esclusivamente razziali. Hara tuttavia non vide i frutti del suo operato, perché nel novembre 1921 un giovane sciovinista lo aveva ucciso a colpi di pugnale alla stazione di Tokyo, sembra come vendetta per non aver promulgato una proposta di legge sul suffragio universale ed essersi dimostrato debole con gli stranieri. L'aderenza ai termini dei trattati passò dunque al Gabinetto di Takahashi Korekiyo (1854-1936) che evacuò lo Shantung, fece demolire diverse corazzate in cantiere e nell'ottobre 1922 completò il ritiro dalla Siberia, un'avventura che ormai era largamente impopolare. L'unico vero guadagno rimediato da Tokyo fu l'occupazione quinquennale della porzione settentrionale di Sachalin tra 1920 e 1925.36

36 Beasley, Japanese imperialism, cit., pp. 159-162; Henshall, Storia del Giappone, cit., pp. 161-162;

Clancey, International Military Tribune, cit., pp. 56-60; Storry, Japan and the Decline of the West, cit. pp. 121-123, 126-127; Douglas Ford, La guerra del Pacifico, Il Mulino, Bologna, 2017 (ed. originale 2012), pp. 27-28.

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LI INCERTI ANNI VENTI

Il Gabinetto Hara fu quello che aprì la stagione della "democrazia Taishō", un breve periodo in cui sembrò che la Costituzione e le istituzioni di rappresentanza potessero prendere il sopravvento. Gli inizi, in realtà, non erano stati promettenti: nel 1918 erano esplosi moti per il rialzo dei prezzi del riso, la riconversione industriale a una produzione di pace contrasse momentaneamente la crescita economica del paese, incremento demografico e industrializzazione pesarono sulle campagne. Inoltre nel settembre 1923 un devastante terremoto colpì la piana della capitale, ove per giorni, sotto la legge marziale, oppositori politici e circa 6.000 coreani furono assassinati dalla gendarmeria, dai soldati e dai comitati civili di vigilanza. Ma sin dagli anni della guerra il Parlamento aveva rafforzato il proprio ruolo costituzionale, stante da una parte la

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