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3. Il Mar Tirreno, caratteristiche e circolazione

3.1. Il Golfo di Napoli 1 Caratteristiche fisiche

Esso presenta una profondità media di circa 170 m e un’area di 900 km2 (Carrada et al. 1980).

Confina a nord con le isole di Ischia e Procida e i Campi Flegrei, e a sud con l’isola di Capri e la Penisola Sorrentina.

Il Golfo può essere suddiviso in tre sub-bacini marginali: la baia di Pozzuoli nell'area nord- occidentale; la baia di Napoli, situata nella regione nord-orientale, in corrispondenza della città di Napoli; il golfo di Castellamare, nella zona sud-orientale, influenzata dallo sbocco del fiume Sarno (Cianelli et al., 2011).

Esso comunica con il Mar Tirreno attraverso due aperture principali: la prima, chiamata “Bocca Grande”, situata tra le isole di Ischia e Capri è caratterizzata da una profondità massima di 600 e 800 m in corrispondenza dei canyon Magnaghi e Dohrn; la seconda, chiamata “Bocca Piccola”, situata tra Capri e la punta della Penisola Sorrentina (Punta Campanella), rappresenta il collegamento tra il Golfo di Napoli e quello di Salerno, attraverso una soglia di 74 m. La circolazione nel Golfo è fortemente influenzata dalla sua orografia (Fig. 19). Nella regione nordorientale, essa è dominato dal Vesuvio e dalle colline che circondano la città di Napoli, mentre più a sud, tra la regione di Castellamare e la penisola Sorrentina dalla catena dei monti Lattari. La zona occidentale, ad ovest di Napoli, è occupata dal sistema di vulcani dei Campi Flegrei.

Dal punto di vista oceanografico, il Golfo di Napoli può essere considerato un interessante area costiera, grazie alle sue singolari caratteristiche morfologiche e la presenza di una costa altamente urbanizzata (Gravili et al. 2001). Le prime conoscenze oceanografiche risalgono al 1953, anno in cui F. Wendicke riportò i primi dati idrologici del Golfo, acquisiti nei mesi estivi. Dagli anni 70 sono state condotte una serie di campagne oceanografiche e installate delle stazioni di ricerca fisse, allo scopo di acquisite diverse informazioni sull’idrologia e la dinamica del Golfo. Gli studi più recenti hanno messo a punto dei modelli che hanno chiarito e approfondito aspetti relativi alla circolazione superficiale (Gravili et al.,2001; Grieco et al., 2005; Mattia, 2007) ed ai processi di trasporto ad essa collegati (Roselli et al., 2007).

3.1.2. Masse d’acqua

Il Golfo di Napoli è caratterizzato dalla circolazione delle due masse d’acqua principali, tipiche del Tirreno centro meridionale. L’AW, che modificata lungo il suo percorso, raggiunge la profondità di 50-100 m, con salinità pari a 37.5 e temperatura che segue l’andamento stagionale e diminuisce con la profondità. La LIW, che si trova nelle stazioni più profonde (400-500 m) in prossimità della Bocca Grande. Il risultato del mescolamento invernale è l’Acqua Intermedia Tirrenica (TIW). A causa del riscaldamento estivo la TIW si ritrova a una profondità di circa 75 m, e forma l’Acqua Superficiale Tirrenica (TSW). Infine, si viene a formare un’altra massa d’acqua superficiale simile alla TSW, che a causa delle immissioni nel Golfo delle acque dolci provenienti dai fiumi Sarno e Volturno e degli scarichi urbani e industriali risulta essere meno salata e più calda della TSW (Carrada et al., 1980). In presenza di correnti dirette verso nord-ovest (NW), s’individuano due vene di questa acqua meno salata, una in prossimità del Sarno e l’altra in prossimità dell’area urbana di Napoli, esse vengono trasportate verso il largo a causa dell’azione combinata della topografia del sito, della struttura e della variabilità delle correnti.

In estate si osserva una marcata stratificazione della colonna d’acqua con conseguente formazione del termoclino e uno strato superficiale omogeneo di 20-30 m; in inverno, invece, si ha un forte rimescolamento lungo tutta la colonna d’acqua, con valori di temperatura e salinità abbastanza costanti.

3.1.3. Circolazione

La circolazione superficiale del Golfo di Napoli è influenzata da numerosi fattori che agiscono a differenti scale spaziali e temporali e dalla loro interazione con la topografia e orografia del bacino (Ciannelli et al., 2011). Le forzanti principali di questa circolazione possono essere identificate come remote, ovvero legate alla circolazione generale del Mediterraneo e locali ovvero legate alla batimetria e alla circolazione atmosferica di piccola scala (Gravilli et al., 2001). Tra le forzanti remote, Il vento risulta essere la più importante (Moretti et al., 1977; De Maio et al., 1985; Menna et al., 2008); seguito dalla circolazione del Mar Tirreno (Pierini e Simioli 1998; Gravilli et al., 2001).

3.1.3.1 Circolazione in inverno

Durante la stagione invernale i venti spirano sul Golfo di Napoli principalmente dal quadrante Nord-Est con un’intensità massima tra 8 e 10 m/s. Le correnti superficiali spinte dal vento, si orientano in direzione sud-ovest, allontanandosi dalla costa e formando una zona di convergenza davanti alla città di Torre del Greco, in prossimità delle due aree adiacenti alla città di Napoli e Torre Annunziata (Fig. 20 ) (Moretti et. al., 1977; Cianeli et al., 2011).

Questo schema era stato proposto da Gravili nel 2001, che aveva ipotizzato un modello di circolazione barotropica forzata da venti non uniformi, allo scopo di mettere in luce l’effetto schermante del Vesuvio. Secondo questo modello, il centro del Golfo risulta caratterizzato da un area di convergenza mentre e in prossimità della Penisola Sorrentina e della Bocca Grande si hanno rispettivamente un gyre ciclonico e uno anticiclonico (Fig. 21).

Figura 21. Campo di forze che guidano la circolazione del Golfo in inverno (Gravili et al., 2001).

3.1.2.2 Circolazione in estate

In estate, la circolazione superficiale è fortemente dominata dal regime di brezza, che durante gli altri periodi dell’anno risulta meno intenso (Cianelli et al., 2011; Uttieri et al., 2011). Il regime di brezza è caratterizzato da venti che spirano da mare verso terra (sud-ovest) durante le ore più calde della giornata, e da terra verso mare (nord-est) durante le ore notturne e le prime ore della mattinata. In generale, quando il vento soffia da terra, la circolazione si dirige verso est, mentre quando il vento proviene dal mare la circolazione si muove verso la costa (Fig. 22). Le correnti superficiali ruotano di 90°C ogni 6 ore per adattarsi alla direzione del vento compiendo un giro completo in 24 ore (Cianelli et al, 2011). In queste condizioni, i tempi di rinnovamento delle masse d’acqua sono molto lunghi e gli scambi tra il mare aperto e la zona costiera sono ridotti (Buonocore et al., 2010; Cianelli et al., 2011).

Figura 22 Circolazione indotta da venti influenzati dal regime di brezza: a)a 06:00 AM; b) a 06:00 PM (Cianelli et al., 2011)

3.1.3. Qualità ambientale

Negli ultimi anni, Il Golfo di Napoli (Fig. 23), a causa dell’intensa pressione antropica dovuta all’incremento delle attività agricole ed industriali e all’elevata densità demografica è stato soggetto ad un forte degrado ambientale. Questo ha accentuato numerosi problemi come l’erosione costiera, la diffusione di batteri patogeni, l’input di sostanze tossiche da parte del fiume Sarno (Ribera d’Alcalà et al., 1989). Inoltre, esso sembra essere la causa della presenza di specie di fitoplancton come Ostreopsis ovata, o altre specie del genere Pseudo-Nitzschia che rilasciano tossine altamente dannose per la salute degli organismi viventi (Zingone et al., 2006).

È stato recentemente riportato che la cattiva qualità delle acque del Golfo di Napoli deriva principalmente dal problema degli scarichi urbani non opportunamente trattati, che incidono negativamente su numerosi fattori ambientali tra cui la trasparenza delle acque (Ribera D'Alcalà, 2010).

Per quanto riguarda la presenza di agenti inquinanti, Tornero e Ribera D'Alcala' (2014) hanno recentemente effettuato uno studio che mette in luce la presenza di elevati livelli di contaminanti organici di origine antropica. Tale contaminanti presentano concentrazioni ben al di sopra dei limiti legislativi e degli standard di qualità ambientale, soprattutto nelle aree industrializzate e alla foce del fiume Sarno, indicando una situazione di serio pericolo per la zona costiera e le sue risorse viventi. In particolare la situazione sembra essere molto allarmante per i metalli in tracce (Hg, Pb, Zn), gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e gli idrocarburi policiclici bifenili (PCBs).

3.1.3.1. Idrocarburi policiclici aromatici (IPA)

Gli IPA rappresentano una vasta classe di composti idrocarburici costituiti dall’unione di due o più anelli benzenici e contenenti esclusivamente atomi di carbonio e d’idrogeno. Essi rappresentano un gruppo di contaminanti liposolubili ampiamente diffuso nell’ambiente. Per le loro proprietà cancerogene e mutagene (Lehr e Jerima, 1977; Yan, 1985; White, 1986), questa classe di composti è stata oggetto di numerosi studi (Neff, 1979; Mcelory et al., 1989; Tolosa et al., 1992). Gli IPA possono essere naturali o di origine antropica (Yang et al., 1998). Le principali fonti naturali sono rappresentate dagli incendi boschivi, eruzioni vulcaniche (Xu et al., 2006), biosintesi da parte di batteri e piante (Krauss et al., 2005) e processi di diagenesi a bassa temperatura di materiali organici sedimentari, che portano alla formazione di combustibili fossili. Invece le maggiori fonti antropiche degli IPA sono rappresentate dal traffico veicolare (Schauer et al., 2003), dalle attività industriali (Yang et al., 2002), dal cracking di prodotti contenenti petrolio e carbone coke (Gridin et al., 1997).

Lo studio degli IPA in ambienti costieri riveste grande importanza poiché queste aree ricevono notevoli quantità di inquinanti attraverso scarichi urbani ed input fluviale. Grazie alle loro proprietà fisico-chimiche (scarsa solubilità, alta liposolubilità, etc.), gli IPA possono essere accumulati nella rete trofica rappresentando un pericolo per gli organismi viventi (Kennish, 1992). Ad esempio possono essere accumulati nei pesci (Hellou et al., 1995) e in numerosi organismi

acquatici comunemente mangiati dall’uomo, rappresentando un elevato rischio anche per la salute umana. In generale, i pesci hanno una maggiore abilità a metabolizzare gli IPA ad esempio rispetto ai molluschi, dove i composti tendono a persistere più a lungo (Meador et al., 1995).

Tutti questi motivi gli IPA sono stati inseriti nella lista di sostanze da monitorare con priorità da parte della US Federal Water Pollution Control Act e da Environmental Protection Agency (EPA).

3.1.4. Caratteristiche biologiche

Da un punto di vista biologico, il Golfo di Napoli può essere suddiviso in due sub-sistemi: uno eutrofico ed uno oligotrofico. Il primo caratterizza la costa nord-orientale e risulta fortemente influenzato dagli apporti terrigeni (discariche urbane e industriali) provenienti da un’area fortemente sovrappopolata. Inoltre, la costa settentrionale è influenzata dalle acque dolci del fiume Volturno, mentre il fiume Sarno, fortemente inquinato, sfocia nella parte meridionale del Golfo. Il secondo sistema è situato nella parte centrale del Golfo, e presenta caratteristiche simili alle acque oligotrofiche tirreniche (Carrada et al. 1981; Ribera d’Alcalà et al. 1989). Gli scambi tra queste due sub-sistemi sembrano essere favoriti dalla circolazione locale (Casotti et al. 2000).

Uno dei maggiori studi effettuati nel Golfo di Napoli riporta i pattern stagionali delle comunità planctoniche, registrati dal 1984 al 2000 (Ribera D'Alcalà et al., 2004). Questo studio è stato condotto nella stazione LTER “Marechiara” (MC) situata a due miglia nautiche dalla città di Napoli.

La stazione di campionamento MC è caratterizzata da acque superficiali dominate per tutto l’anno da diatomee e nanoflagellati. In estate si registrano bloom di piccole specie che si susseguono e si sovrappongono le une alle altre (Scotto di Carlo et al. 1985; Zingone et al. 1990; Ribera d'Alcalà et al. 2004). In generale, il 90 % del fitoplancton della stazione MC è costituito da cellule < 5μm. Il ciclo annuale del plancton è caratterizzato da una prima fase di crescita in inverno, una seconda nella tarda primavera/inizio estate e una terza in autunno (Fig. 24). Lo sviluppo di queste tre fasi è strettamente associato alle caratteristiche ambientali del sito (Ribera d'Alcalà et al., 2004).

Figura 24. Media stagionale della clorofilla a nella stazione MC, nel 1984-2000 (Ribera d’Alcalà et al., 2004).

Il primo bloom fitoplanctonico è stato osservato a Febbraio-Marzo, prima del periodo di stratificazione primaverile. Esso è dominato da grandi colonie di diatomee e piccoli fitoflagellati che si distribuiscono uniformemente lungo tutta la colonna d’acqua (Ribera d’Alcalà et al.,2004; Zingone et al., 2010). Generalmente, Il bloom invernale è osservato in tutto il Mediterraneo, molto probabilmente a causa delle condizioni meteorologiche molto stabili associate allo spostamento verso ovest del sistema di alta pressione Siberiano (Duarte et al., 1999). In questo periodo si registrano bassi valori di biomassa sia dei ciliati che del mesozooplancton. Viene quindi probabilmente predata solamente una piccola frazione del fitoplancton, favorendo il suo accumulo.

La maggior parte dei predatori hanno dimensioni piccole (≤1 mm) e non sono quindi in grado di predare le grandi colonie di diatomee. In tarda primavera-estate (Marzo-Aprile) si registra il maggiore bloom fitoplanctonico, legato soprattutto all’apporto di nutrienti da terra. In questo periodo i picchi di biomassa fitoplanctonica si alternano a valori molto bassi. Questa situazione riflette la discontinuità della disponibilità di nutrienti per l’alternarsi di acque che vengono trasportate prima dal Tirreno e poi dalla costa (Modigh et al., 1985).

In estate, la struttura della colonna d’acqua confina il bloom fitoplanctonico nello strato superficiale (0-10 m) (Scotto di Carlo et al., 1985). Si osserva inoltre un gradiente di biomassa del fitoplancton dalla zona nord-orientale della baia di Napoli verso le zone costiere meridionali e la parte più esterna del Golfo (Zingone et al., 1990). La comunità fitoplanctonica risulta altamente diversificata, sono state identificate quantità notevoli di diatomee in forma solitaria e di

dinoflagellati, entrambi di piccole dimensioni; Mentre lo zooplancton risulta essere composto principalmente da cladoceri (Ribera d'Alcalà et al., 2004) che grazie alla riproduzione per partenogenesi formano grandi comunità (Fig. 25).

Figura 25. Media stagionale delle abbondanze dei differenti gruppi tassonomici nella stazione MC, nel 1984-2000 (Ribera d'Alcalà et al. 2004).

L'ultimo e il meno pronunciato bloom fitoplanctonico si presenta in autunno (Ottobre- Novembre), esso è supportato da diatomee, soprattutto dalle specie tipiche di questa stagione (Fig. 25). Questo bloom sembra essere favorito dall'apporto di nutrienti terrestri, come durante l’estate. È stato infatti osservato che la profondità del nutriclino è maggiore rispetto a quella interessata dal mescolamento autunnale (Carrada et al., 1980). Anche in autunno si registra una diminuzione della biomassa fitoplanctonica spostandoci dalla costa verso il mare aperto (Zingone et al., 1995). A differenza dell’estate, la maggior dispersione dei nutrienti, dovuta al tipo di circolazione e alla maggiore profondità del mixed layer, determina una distribuzione più estesa della comunità fitoplanctonica in tutto il Golfo. In questo periodo le condizioni metereologiche note come “l’estate di San Martino”, favoriscono la produzione primaria con tassi simili a quelli osservati in estate, nonostante la disponibilità luminosa sia minore (Zingone et al., 1995). In questo periodo la biomassa del mesozooplancton è caratterizzata da una generale diminuzione, ad eccezione dei copepodi che raggiungono livelli simili a quelli osservati in primavera (Ribera d'Alcalà

et al., 2004). Inoltre la biomassa dei coccolitofori, aumenta notevolmente rispetto le stagioni precedenti.

Il comparto fitoplanctonico ha mostrato un cambiamento quali-quantitativo tra l’inizio della serie storica (1984) e gli anni più recenti. Si osserva una diminuzione in termini di biomassa e un aumento in termini di abbondanza (Ribera d'Alcalà et al. 2004). In questo scenario il ruolo del microzooplancton nel Golfo di Napoli sembra acquisire sempre una maggiore rilevanza.

SCOPO

Lo scopo primario del presente lavoro di tesi è lo studio della dinamica stagionale ed interannuale della DOM nella stazione costiera di ricerca ecologica a lungo termine “Marechiara”(MC), situata nel Golfo di Napoli.

In sintesi, le domande a cui questo studio ha cercato di rispondere sono le seguenti: 1) Il DOC e le proprietà ottiche (assorbimento e fluorescenza) della CDOM presentano un

chiaro ciclo stagionale?

2) Si possono osservare differenze significative nei tre anni di studio?

3) La struttura fisica della colonna d’acqua influenza la distribuzione del DOC e della CDOM? 4) Il DOC e le proprietà ottiche (assorbimento e fluorescenza) della CDOM presentano una

variabilità interannuale sia nei valori/concentrazioni che nella distribuzione verticale? 5) Esiste una correlazione tra proprietà ottiche (assorbimento e fluorescenza) della CDOM e la

distribuzione del DOC?

6) L’impatto antropico influenza la dinamica della DOM (e il ciclo del Carbonio) nel Golfo di Napoli?

Tale obiettivo è stato raggiunto mediante l’analisi della distribuzione del DOC e delle proprietà ottiche della CDOM, che rispettivamente forniscono importanti informazioni di tipo quantitativo e qualitativo sul pool della DOM.

Questi parametri sono stati inoltre correlati con i parametri fisici (temperatura e salinità) per identificare i principali processi che determinano la concentrazione e la distribuzione della DOM.

È da sottolineare l’importanza di questo di questo studio in quanto presenta la prima serie storica di dati di DOC e CDOM nel Mediterraneo.

MATERIALI E METODI

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